“Cattolici democratici in campo”. Un percorso

| 3 Comments

La dizione “Cattolici democratici in campo” – per l’iniziativa tenutasi all’Istituto Sturzo lo scorso 25 novembre – una qualche ambiguità o reticenza l’aveva.  Perché, da un lato, la “c” del campo in cui si intendeva scendere era minuscola, ma, dall’altro lato, l’iniziativa è nata in cui un momento in cui un nuovo movimento politico – “Campo progressista” , dunque un campo con la “c” maiuscola –  si è fatto largo nello spazio della politica militante.  Reticenza che in un certo senso è rimasta anche a iniziativa conclusa. O forse si potrebbe parlare di sobrietà e di cautela.

A condurre l’incontro è stato Franco Monaco, parlamentare del Pd, ma notoriamente assai critico della attuale linea politica di quel partito e, in particolare, della sua guida politica, il quale da tempo ha rivolto la sua attenzione a Giuliano Pisapia e al suo “Campo progressista”, tenuto a battesimo nel febbraio di quest’anno. Monaco ha spiegato che scopo dell’incontro era di fare il punto sul cattolicesimo democratico, e farlo da tre angolature. Una storica, una teologica e una politica, di attualizzazione politica. Il punto di vista storico è stato affidato a Guido Formigoni, primo coordinatore della rete c3dem e docente di Storia contemporanea alla Iulm di Milano. Quello teologico a Carlo Casalone, già provinciale d’Italia dei gesuiti e ora presidente della Fondazione Carlo Maria Martini. Quello politico è stato, di fatto, oggetto della discussione tra lo stesso Franco Monaco, che però non ha voluto tenere una specifica relazione limitandosi a coordinare l’incontro e a chiosarne gli interventi, Giuliano Pisapia, che del cattolicesimo democratico potrebbe dirsi un osservatore esterno e un estimatore, David Sassoli, europarlamentare del Pd da due legislature e dal 2014 vice presidente del Parlamento europeo, e Bruno Tabacci, già più volte deputato Dc, poi assessore al Bilancio con Pisapia a Milano, dal 2013 deputato e presidente del Centro Democratico (formazione che aderisce al Pd) e fin dall’inizio accanto a Pisapia nel lancio di Campo Progressista.

L’incontro ha richiamato un buon numero di giornalisti, visto il particolare momento politico, e ha visto la presenza in sala anche di Piero Fassino, che ha poi preso la parola. Nulla, ovviamente, dell’incontro è finito sulle pagine dei giornali, che hanno mostrato interesse esclusivamente a una precisazione di Pisapia, su una sua precedente dichiarazione  sul fatto di estendere o meno la coalizione di centro sinistra anche ad Angelino Alfano, e a uno scambio di battute, a fine convegno, tra lo stesso Pisapia e Fassino (si vedano: G. A. Falci, “Il giallo di Pisapia che prima apre e poi chiude ad Alfano”, Corriere della Sera; Vincenzo Spagnolo, “Centrosinistra: Pisapia frena su AP”; Giovanna Casadio, “Pisapia a Fassino: ‘Alleati solo con chi approva ius soli e testamento biologico’”, Repubblica). Oltre a giornalisti e fotografi, erano presenti all’incontro una cinquantina di persone.

Guido Formigoni ha ripreso, con qualche aggiornamento, una lettura del cattolicesimo democratico “tra storia e politica” che aveva già proposto di recente (per esempio a Parma nella scorsa primavera: vedi qui) e che ha sintetizzato ricorrendo a un duplice schema . Il primo presenta l’articolazione delle diverse sfaccettature del cattolicesimo politico su due assi: laicità/identità e sinistra/destra. Da esso emerge che verso il polo della identità si collocano il cattolicesimo intransigente (verso destra) e il cattolicesimo sociale (verso sinistra), e che verso il polo della laicità si collocano il cattolicesimo liberale (verso destra) e il cattolicesimo democratico (verso sinistra). Si tratta delle quattro posizioni canoniche del cattolicesimo politico, che naturalmente hanno attraversato la storia degli ultimi cinquant’anni con una serie di spostamenti e contaminazioni. Il secondo schema cerca di dare conto di un’ulteriore articolazione del cattolicesimo, per quanto riguarda l’area del centrosinistra e della laicità: qui i due assi sono quello che va dalla laicità moderata alla laicità radicale e quello che va dal centro alla sinistra. Verso il polo della laicità moderata si collocano, a destra, l’istanza di una tendenziale unità politica dei cattolici in un partito di centro-sinistra, e, a sinistra, il volontariato sociale; mentre verso il polo della laicità radicale si trovano, a destra, il liberalismo progressista, fautore della democrazia governante, e, a sinistra, il riformismo forte, che rilancia la partecipazione orizzontale.

Dopo aver osservato che, in ogni caso, il cattolicesimo democratico non è mai stato un gruppo coeso, una lobby, e che negli scorsi decenni ha avuto sia momenti di forte rilevanza sia momenti di eclissi, Formigoni ha detto che oggi esso è certo una minoranza ma mantiene le sue radici e può avere ancora una sua vitalità. Vitalità che dipende , certo, in primo luogo dalle sue risorse interne, ma anche dal clima complessivo del paese. Sul piano ecclesiale, dopo trenta anni di marginalità subita, oggi l’approccio di papa Francesco apre, e anzi sollecita, nuovi  spazi di impegno; sul piano politico-culturale, Formigoni lamenta una subalternità di tutte le sinistre alla cultura politica dominante di segno neo-liberista e la carenza di luoghi significativi di elaborazione culturale. Un rilancio del cattolicesimo democratico è possibile oggi, ha concluso Formigoni, se ci si impegna a interpretare il mondo attorno ad alcuni nodi di fondo: la ripresa del ruolo della statualità, la centralità del lavoro, l’orizzonte europeo, il valore (e il limite) della politica, la costruzione di identità e al tempo stesso il riconoscimento reciproco su un terreno di laicità matura, il rilancio di reti sociali e comunitarie secondo una tradizione personalista che va oltre l’individualismo. Insomma, è possibile dare un contributo specifico a un progetto riformatore, aprendosi a contaminazioni virtuose.

Il gesuita padre Carlo Casalone, che ha una specifica competenza soprattutto in campo bioetico, ha tratteggiato alcuni aspetti del rapporto di papa Francesco con la politica. Bergoglio – ha detto – non interferisce nella contesa tra le parti politiche, ma è sommamente interessato alla politica con la “P” maiuscola. La chiesa, dunque, sta fuori dalla politica, ma sfida la politica tutta ad essere all’altezza del suo statuto ideale. Casalone ha toccato quattro punti. Il primo è l’approccio contemplativo di papa Francesco, che – ha osservato – è quello stesso che aveva il cardinal Martini. Un approccio, cioè, che implica di guardare ai diversi fenomeni e alle diverse letture possibili, cercando collegamenti tra di esse, di guardare oltre l’apparenza immediata e il tempo breve, di osservare quanto accade non con estraneità ma con partecipazione, con un coinvolgimento che stabilisca relazioni. E’ un approccio centrato sull’ascolto: una chiesa che, tutta insieme, in modo sinodale, ascolta il mondo, assume e trasforma in sofferenza personale, ecclesiale, quello che accade al mondo (cfr. Laudato si’, 19); una chiesa che si pone come un soggetto tra gli altri, e non più al centro (com’era un po’ ancora nella Gaudium et spes). Un secondo punto è l’attenzione a un cammino personale di conversione permanente, che Casalone ha chiamato “contro-culturale”. Bergoglio giudica riduttivo, perché unidimensionale, il paradigma tecnologico. Richiama la necessità di porsi in modo fortemente critico verso la cultura tecnologica dominante, assumendo stili di vita indipendenti. Ed esorta a guardare il mondo dalle periferie. Il terzo punto è l’attenzione al popolo: è nella appartenenza al popolo che ciascun individuo, ciascun cittadino trova la sua piena identità; si tratta quindi di camminare sulla via in cui cammina il popolo, partecipare dall’interno al cammino del popolo, alla relazione dinamica in cui la realtà del popolo si sostanzia. Infine, il quarto punto: i quattro principi che Bergoglio ha individuato (ad esempio nella Evangelii gaudium) per riuscire a costruire un progetto comune, un progetto per il bene comune. Si tratta di dare una soluzione matura ad alcune tensioni: tra pienezza e limite, tra idea e realtà, tra globale e locale.  Per Bergoglio, ha ricordato Casalone, il tempo è superiore allo spazio, e perciò si deve avere una visione lunga, attivare processi e non invece cristallizzare spazi; l’unità è superiore al conflitti, e dunque si deve “assumere” il conflitto, il quale è inevitabile, e sopportarlo, portarne letteralmente il peso, e così, riconoscendolo, trasformarlo e portarlo verso una soluzione; la realtà è superiore all’idea, cioè l’idea tende a trasformarsi in sofisma, a stravolgere la verità, per cui va privilegiata la realtà, però illuminata dal ragionamento, superando il realismo ingenuo; il tutto è superiore alla parte, ma è il tutto del poliedro e non della sfera, la quale cancella le diverse parti, per cui – è l’esempio che ha fatto Casalone –  la proprietà privata è un valore, certamente, ma è subordinata alla destinazione universale dei beni.

Alle due relazioni iniziale hanno fatto seguito gli interventi dei politici presenti. Ha iniziato Giuliano Pisapia, che si è sentito in consonanza con le parole del padre gesuita sull’approccio alla politica che ha tradotto nell’orientamento a “volare alto e però guardare in basso”. Pisapia non ha toccato l’attualità politica. Si è limitato a ricordare alcune delle figure del mondo cattolico che, a lui laico e privo di appartenenza ecclesiale, negli anni scorsi lo hanno particolarmente arricchito. Ha ricordato un incontro di sindaci con papa Francesco, in cui lui temeva che alla fine arrivasse la benedizione del papa e non sapeva bene come comportarsi, e invece è arrivato semplicemente un cordiale arrivederci…  Ha detto di aver ascoltato, dal nuovo arcivescovo di Milano, mons. Delpini, parole molto belle e condivisibili di critica alla politica gridata, ai profeti della protesta, alla gente che si lamenta e basta. Ha citato La Pira per la sua visione locale e globale insieme. Ha ricordato la Pacem in terris, che lo affascinò da giovane, e Madre Teresa di Calcutta. Ha poi detto che ciò che oggi lo unisce ai cattolici democratici è il considerare il dialogo come una grande opportunità e il confronto come una ineliminabile necessità. Ha detto che guarda al mondo del volontariato perché quella è una realtà in crescita, proprio mentre, purtroppo, sono sempre di meno le persone che si dedicano alla politica.

Dopo Pisapia è intervenuto David Sassoli che ha constatato, malinconicamente, come in tutta Europa i cittadini votino sempre meno, siano sempre più inclini a prestare fede a retoriche populiste e non credano più nella classe politica. E ha richiamato le tesi del fiammingo David van Reybrouck nel suo recente libello, Contro le elezioni, che invita ad abolire le elezioni, a non scegliere più con il meccanismo elettorale i componenti del Parlamento, e ad affidarsi al sorteggio per determinare coloro i quali hanno la responsabilità di scrivere le leggi dello stato. Sassoli ha detto che si deve uscire dall’orizzonte soffocante del neo-liberismo, che sempre più allontana la società dalla politica, e che questa sfida non la si può affrontare che stando dentro al centrosinistra, tenendo insieme tutte le sue diverse sensibilità.

L’apporto al dibattito di Franco Monaco (“rinuncio al mio intervento”, ha detto, per far spazio agli altri) si è concentrato su pochi punti: la critica alla “teoria bislacca” della disintermediazione che ha prevalso negli ultimi tempi e che favorisce la crisi della democrazia; il sostegno alla tesi, che egli attribuisce al cattolicesimo sociale in particolare, secondo cui non è sufficiente l’uguaglianza dei punti di partenza, ma ci vuole anche quella dei punti di arrivo (bisogna – ha detto – mirare all’uguaglianza sostanziale); l’affermazione che “Campo progressista” è uno spazio plurale, di ispirazione ulivista, e che ha l’obiettivo inderogabile di “costruire ex novo il centrosinistra”.

L’intervento di Bruno Tabacci ha toccato i tasti del rimpianto, di quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto. Ma il rimpianto, ha detto, non riguarda tanto la Dc quanto la politica tout court. Si è percorso per lungo tempo un piano inclinato. Tabacci ha richiamato alcune figure del mondo cattolico che hanno tenuto insieme, con rigore ed efficacia, fede e politica: tra esse Giovanni Marcora, che ancora nei primi anni Ottanta al mattino nell’auto che lo portava al ministero invece di sentire le ultime notizie preferiva recitare le orazioni, e don Mazzolari, che a Bozzolo nel secondo dopoguerra prendeva le difese dei partiti contro la presunzione, già antipolitica, di certe liste civiche. Sull’oggi Tabacci ha sottolineato alcuni punti: il positivo tentativo di Campo progressista di unire tanti gruppi frammentati; il sostegno a Fassino nel cercare di tenere insieme il centrosinistra; la condivisione con Guido Formigoni della necessità di recuperare un ruolo maggiore allo Stato; il richiamo alla Populorum progressio di Paolo VI, e dunque alla priorità dell’impegno verso i migranti e verso lo sviluppo dei loro paesi per costruire le basi della pace; la critica a certo leghismo anti-immigrati che circola ancora in certe parti della chiesa; la fiducia nell’Unione europea. “La vecchia sinistra Dc è più a sinistra di certa sinistra di stampo liberale”, ha commentato Monaco.

Tra i presenti in sala c’erano persone che hanno vissuto l’esperienza della Lega democratica. Tra queste Roberto Pertile che è intervenuto per rilanciare un tema che era caro a Scoppola, a Ardigò e a Ruffilli, in polemica con alcuni economisti del Pci di allora (Spaventa, Visco, Pedone): privilegiare gli investimenti e non invece i consumi. La Germania lo fece – ha detto Pertile – e se ne sono visti i frutti. L’Italia no; scelse lo sviluppo dei consumi… E oggi l’Italia sceglie i bonus, di nuovo sacrificando gli investimenti pubblici e in capitale umano. Pertile ha chiesto che le due anime del Pd, o meglio della sinistra, le “due chiese” di allora (gli anni Sessanta), dialoghino davvero su questi argomenti, e cioè su come creare sviluppo nel paese. E’ intervenuto anche Mario Catania, già ministro delle Politiche agricole nel governo Monti e deputato del Centro Democratico di Tabacci, il quale ha osservato che il cattolicesimo democratico ha gli stessi limiti di tutto il mondo progressista oggi: non riesce a leggere la società italiana, e di essa meno ancora riesce a leggere le periferie. Il suo invito è a cercare di riportare i valori della sinistra dentro la società, cosa che è più importante del riuscire a far approvare una qualche legge progressista. Anche Catania, come Tabacci, è ora impegnato in Campo progressista.

Ha infine preso la parola Piero Fassino. Ha dato la sua lettura della crisi sociale, che è simile negli Stati uniti come in Europa, e che si può sintetizzare nel riferimento al “forgotted man” citato da Donald Trump il giorno della sua elezione. Fassino, che era arrivato in tempo per ascoltare il gesuita Casalone, e che lo ha molto apprezzato, ha ripreso il tema dell’ascolto, l’ascolto delle paure della gente verso gli immigrati o l’ascolto delle proteste degli insegnanti per doversi spostare di centinaia di chilometri, come pure il tema di dar vita a percorsi pazienti di riconoscimento reciproco, riconoscimento tra interessi particolari e interessi generali. Fassino ha detto che c’è un gran bisogno di un centrosinistra largo e plurale. E si è dichiarato d’accordo con l’esigenza posta da Franco Monaco di un “nuovo inizio” per il centrosinistra, una nuova stagione in cui le forze che hanno valori comuni sappiano dialogare e confrontarsi. “Quando lo si è fatto” – ha detto – il paese ha capito”. All’intervento di Fassino è seguito quello di Angelo Sanza, un altro degli ex Dc impegnati nell’iniziativa di Pisapia, in cui vedono soprattutto il valore di una proposta di democrazia partecipata, in un tempo in cui la partecipazione dei cittadini si va sempre più riducendo un po’ ovunque.

Monaco ha chiuso l’incontro osservando che si può ancora scommettere sulla fecondità della tradizione cattolico-democratica, ma – dice – a due condizioni. Che la si riveda, sapendola criticare; e che si sappiano vagliare le condizioni politiche concrete in cui metterla in gioco.

 

Giampiero Forcesi

 

 

 

 

 

 

 

3 Comments

  1. Torno a chiedere gentilmente la disponibilità delle slide presentate dal prof. Guido Formigoni e da Padre Carlo Casalone al convegno del 25 novembre all’Istituto Sturzo.
    Per il prof. Formigoni ci sono quelle di Parma che sono simili, ma mancano quelle di Padre Casalone.

    Le slide sono molto interessanti – cosi come tutto il convegno – e sarebbe buona cosa rendere disponibili per tutti i lettori di c3dem almeno le due relazioni di base se non fosse possibile l’intero convegno.
    Grazie
    Franco Peta

    • Grazie non le abbiamo ancora e stiamo aspettando di averle dall’autore
      Appena le avremo le metteremo a disposizione di tutti sul sito.
      Grazie dell’attenzione

  2. Non so se sono stata una cattolica democratica. Penso di sì. Ho fatto parte degli Indipendenti nelle liste del Pci berlingueriano e della strategia del “compromesso storico”. Sempre di sinistra (perfino sinistra dc), non comunista, molto critica della DC a cui ancora attribuisco i danni d’origine dei guai trasmessi alla Seconda Repubblica; tuttavia pensavo che un paese che non aveva avuto alternanza di governo non fosse sano e che, per quello che il Pci dimostrava di essere in Italia, fosse degno di essere alternativa di governo. Detto questo, ritengo che quel tempo sia indicibilmente lontano e mi meraviglia che, nelle brevi sintesi riportate, nessuno abbia parlato dei ritardi di fronte ai cambiamenti radicali del nostro tempo, della globalizzazione, dei pericoli per la democrazia dati dai nazionalismi e dai particolarismi in Europa, della necessità di consolidare l’Unione europea come vero problema di programma elettorale. Di non tenere conto dei “segni dei tempi”, il primo dei quali oggi è rappresentato dalle potenzialità della soggettività femminile e della necessità di nonviolenza politica. Come cattolica mi sembra di dover sottolineare l’urgenza di difendere il Concilio (che non abbiamo difeso dagli attacchi della gerarchia ostile) oggi ripreso da Papa Francesco contro cui sta manifestandosi una campagna agguerrita di fondamentalisti cattolici. Ovvie le constatazioni sul “malessere sociale”, più importante cogliere le potenzialità trasformative sia nel senso della laicità che dell’opzione politica. Ma non la vecchia laicità poco sentita dal mondo cattolico, tanto meno la vecchia politica.
    O forse erano davvero necessarie le relazioni intere…

Rispondi a GIANCARLA CODRIGNANI Annulla risposta

Required fields are marked *.