La rete delle Associazioni

Sono 26 al momento le Associazioni che fanno parte della Rete “Concilio, Costituzione, Cittadinanza”, ma si pensa e si spera che molte altre possano aggiungersi strada facendo.

Questo è l’elenco delle associazioni aderenti:

 

7 Comments

  1. desidero segnalare che il 27 novembre prossimo si terrà una giornata di studio dedicata alla memoria di felice balbo, animatore – con sebregondi, motta, fè d’ostiani e molti altri – di quel “movimento dei lavoratori cristiani” che negli anni della “liberazione” e appena successivi indicò un percorso etico, culturale e politico che ha consentito a molti di non soccombere nel dualismo tra la politica conservatrice delle forze di governo e la rigidità frontista dell’opposizione di sinistra
    ne parleremo con vittorio possenti e giorgio rivolta, giovanni turbanti, giulia boringhieri e giulio sapelli in una giornata presso l’istituto gramsci di roma

  2. Chiedo di essere tenuto informato sulle vostre iniziative. Grazie

  3. buon giorno,vorrei sapere se a Cagliari (citta’ dove vivo ) vi e’ un’associazione legata a c3dem

    • No, non siamo costituiti su base territoriale. Provi a sentire una delle associazioni legate a c3dem, quella che più le interessa, prendendo il numero di telefono e/o l’indirizzo dal sito, e chiamando magari le sapranno dire qualcosa.
      Cordiali saluti
      la redazione

  4. Buongiorno. Come si può aderire alla rete?

    • Ecco, le condizioni sono quelle scritte in fondo alla Home page. Il contributo per i singoli è volontario. A buon cuore…
      Grazie e cordialissimi saluti

      Aderisci a
      “Costituzione, Concilio, Cittadinanza – per una rete fra cattolici e democratici” e sostieni, con un contributo, questo portale http://www.c3dem.it ; comunica la Tua adesione a info@c3dem.it. Per il versamento del contributo: presso
      Banca Prossima
      Codice IBAN:

      IT86T0335901600100000067110

  5. Che guaio, dimenticarsi sempre della lingua italiana

    Anche questa tornata elettorale è andata e, ancora una volta, conferma la confusione in cui ci dibattiamo.
    E fosse solo una questione italiana!
    Ma andiamo con ordine.
    La base concettuale e lo slogan diffuso dei 5 stelle è stato (lo sarà ancora?) “potere al popolo”.
    Che bisogno c’è di questo slogan? “democrazia” (demos kratos e chiedo scusa ai linguisti per la forma sbrigativa!) non vuol dire esattamente la stessa cosa? Ecco come si mena per il naso la massa: facendo finta di dire una cosa nuova e incarnando solo cose risapute, ma facendole apparire nuove mediante facce meno note: chi conosceva Di Maio cinque anni orsono?
    Il movimento suscitato da Grillo ha origine nel momento in cui l’oligarchia che controlla il PD ne rifiuta l’ammissione come rinnovatore del partito. La stessa oligarchia che non si scuote per la perdita di contatto con le masse, segnalata vistosamente dalla condizione dei sindacati. Sempre la stessa oligarchia che non cessa di praticare la maniacale, depressiva abitudine della “sinistra” di dividersi nel momento di usare il potere delegatole dal “demos”: piuttosto che accettare il parere della maggioranza si imbraccia la bandiera e si muore sulla barricata: magati da solo. Figura eroica, ma inutile, capace solo di riprodursi in fazioni (fazioni = frazioni di elettorato).
    Anche Renzi è stato abbattuto con la stessa tecnica e chi si è illuso così di avere promosso una nuova maggioranza è stato contraddetto dai fatti: il “no” vinse sul “si” , ma il PD ne uscì totalmente deteriorato e molti sono i segnali che fanno sospettare una liquidazione definitiva, come fu per la quercia e l’ulivo: basta seguire un po’ i tanti siti in rete : prendo a esempio il sito “c3dem” vivacissimo sino a quel momento, sconvolto dal confronto di idee che diventa contrapposizione referendaria e quindi il silenzio: là dove apparivano molti interventi quotidiani, adesso qualche trafiletto quindicinale! Come i c3dem un’altra dozzina di siti!
    Tento di uscire dal sentimento di impotenza che conduce alla tecnica dell’assenza (il calo dei voti è principalmente calo della sinistra).
    E’ il momento di affrontare decisamente la distinzione tra il piano culturale, quello politico e quello dell’esercizio del potere.
    Tale distinzione in qualche modo esiste, ma è piuttosto una separazione: il piano della ricerca e dell’elaborazione culturale spesso vola su piani scarsamente comunicanti con l’ambito dei grandi numeri. Il tramite tra il piano in cui si ricerca e si formulano nuove idee e la cultura di massa è, da millenni, garantito dalla scuola: ma nell’esperienza degli ultimi anni, le “scuole di politica” sono apparse più come passerelle pre-elettorali, che ambiti di ricerca, didattica e sperimentazione. Niente a che vedere con la qualità (non eccelsa, per carità! e faziosa, di parte ma “educativa”) delle scuole dell’Azione Cattolica post bellica o dei Pionieri del PCI, perfino della GIL prebellica, con i suoi eccessi di divise e moschetti (sennò come spiegare l’attaccamento ereditario a quello stile di vita?): certo, quest’ultima era solo educazione all’ordine e all’obbedienza, piuttosto che educazione alla libertà, ma pur sempre era un portarti fuori dalla condizione di non comprensione.
    Provo a semplificare il ragionamento esaminando il quadro non solo locale (nazionale).
    Oggi i modelli che si confrontano sono essenzialmente due: uno, rigorosamente oligarchico, praticato nei maggiori potentati mondiali (Cina, Russia e Stat Uniti, più gli imitatori, dall’Egitto al Brasile, ma l’elenco è lunghissimo) e l’altro, derivato dal liberalismo di chi contratta con il potere assoluto alcuni ambiti decisionali, che hanno prodotto le democrazie di modello europeo occidentale, riprodotte, con varie tonalità di maggiore o minore “consapevolezza” sociale da chi, di volta in volta, assume il potere: sempre dominato dalla logica del “partito” cioè dall’essere d’accordo per principio, non per programma.
    Qualche embrione di nuova vita: il “quaderno bianco” di Prodi.
    Lo cito non perché sia stato una rivoluzione, ma esprimeva un’intuizione: che per governare non basta più essere alleati per fede, o meglio: il governo non è un momento in cui mettere in discussione principi etici e modelli culturali; questo confronto deve avvenire prima (e sempre! ininterrottamente!) nella società, ma poi, attraverso una fase di scelta e di individuazione di risorse, attuato in maniera inderogabile, secondo un programma a termine (ciclo elettorale).
    Quell’esperienza fu limitata, mal riprodotta nel PD dalla successiva fase elettorale, che si concentrò sui quattro documenti programmatici Renzi, Civati, Pittella, Cuperlo, che espressero molto bene (male, male!) il livello di capacità di elaborazione, ma soprattutto la non distinzione tra i piani della proposta di idee e di governo.
    Che fare?
    Ecco la domanda che ci rivolgiamo da quasi due secoli (che non si pone chi spera nel capo, chiamandolo “potere al popolo”).
    Il metodo delle “scuole di politica” è praticato da molti.
    Ma sono ancora poche, soprattutto sono scuole che producono piccoli numeri di persone, che però rischiano di assumere un ruolo, nella migliore delle ipotesi, simile a quello che fu degli “intellettuali di sinistra” nella fase ancora dominata dalle ideologie.
    Per non dire (con grande dispiacere) di quanto c’era di intuito e di non realizzato nell’introduzione dell’educazione civica nei programmi della scuola: ma del fallimento della straordinaria idea della scuola unificata, causato dalla sua attuazione senza preparazione di chi doveva attuarla non è qui luogo per parlarne.
    Dato per scontato che l’attuale fase elettorale ha periodo variabile e verifiche con frequenza da tecnica commerciale (verifichiamo in Abruzzo, ma vedrete in Sardegna! verifichiamo in Sardegna! ma vedrete in Piemonte….. vedrete alle Europee….. vedrete un bel niente), si verificherà sempre lo stesso risultato, incapace anche di gestire il successo, perché subito dopo arriva chi lo mette in discussione, magari alleandoti con te, ma per fare poi la stessa fine: cerco di spiegarmi, perché mi pare che quanto Salvini sta facendo con i 5 stelle sia più o meno quello che Craxi fece alla DC: si alleò e se la mangio, ma andato al potere fu spedito al ricovero! Chissà se Salvini dovrà emigrare in Tunisia per evitare di parlare dell’eredità che ha dovuto ingoiare da Bossi: i milioni, che sono stati il prezzo della leadership in Lega).
    Usciamo dalle tristezze.
    E se ne esce solo se si intraprende decisamente un nuovo percorso: non è quello della scelta Zingaretti-si, Zingaretti-no: con buona pace di chi lo sostiene, o di chi gira per l’Italia a presentare libri, o di chi comunque va allo scontro elettorale (anche il 3 di marzo rischia di essere solo questo, per frazionare ancora di più quel che resta) e l’esito lo sapremo il 4 marzo da come si comporteranno le fazioni.
    Dato il tempo a disposizione, temo che anche la tornata europea non sarà altro che una conferma di tendenza (così poi tanti populisti affolleranno Bruxelles, magari per fare perfino respirare meglio Farange e sostenere Orban).
    La prospettiva si costruisce (guardate un po’ da quanto lo aveva capito Brunelleschi) con il punto di vista, che prevede l’esistenza dei punti di fuga, che non sono la porticina per defilarsi se qualcuno ti attacca, ma il punto dove le linee del disegno si ricongiungono stabilendo il limite dell’oggetto rappresentato.
    Occorre ristabilire il ruolo in cui si definisce e si rende pubblico il punto di vista: ecco il ruolo degli ambiti culturali (elaborazione di idee) e politico (confronto di idee e momento delle scelte).
    Il terzo piano è il momento in cui quanto è stato scelto viene attuato: è il momento del governo, del fare, che non può essere sottoposto che a una verifica su periodicità elettorale, a patto che non si giochi su elezioni ogni tre mesi per tenere sempre il fiato sospeso con il ricatto a breve.
    Questo serve solo per dare spazio a chi non disponendo di un vero programma di lavoro a lungo termine, di barcamenarsi con manovre di piccolo cabotaggio: ma navigando sotto costa non si scopre l’America!

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