Ritorno al popolo? Una discussione

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“Innestare sul cattolicesimo democratico il popolarismo di Bergoglio”. Su questa proposta di Lino Prenna si è svolto qualche tempo fa un interessante incontro, nel quale hanno preso la parola soprattutto Pierluigi Castagnetti e Michele Nicoletti. Con riflessioni acute, schiette, e qualche dubbio. Un tema che in un modo o nell’altro tornerà. Come raccogliere gli stimoli di Bergoglio per rinnovare la politica in Italia?

 

 

Si terrà ai primi di settembre un seminario dell’associazione “Agire politicamente” dedicato al “nuovo popolarismo”. Il tema è molto sentito dal coordinatore nazionale dell’associazione, Lino Prenna, che vi ha dedicato poco tempo fa un piccolo ma impegnativo libro, già recensito su questo sito (Dal cattolicesimo democratico al nuovo popolarismo, Il Mulino 2021. Sottotitolo: Sui sentieri di Francesco). La scorsa primavera (il 27 aprile) si è tenuto a Roma, all’Istituto Sturzo, un incontro on line sullo stesso argomento (“Il nuovo popolarismo: il ritorno al popolo”) che mi pare utile riprendere qui per trarne qualche primo elemento di verifica della validità o meno della proposta avanzata.

Nel suo breve intervento introduttivo all’incontro Lino Prenna sintetizzò il suo intento. “La mia operazione – disse – consiste nell’innestare sul cattolicesimo democratico il popolarismo di Bergoglio”. A suo avviso sono molti i punti in comune tra il cattolicesimo democratico e papa Bergoglio: la convergenza sull’antico testo della Lettera a Diogneto e dunque sulla “identità in tensione” del cattolico che agisce in politica; il rapporto critico ma non oppositivo nei confronti della modernità; il ruolo fondamentale della mediazione, che Bergoglio interpreta con la sua visione  dialettica delle “opposizioni polari”, ricavata dagli studi su Romano Guardini. L’apporto nuovo, però, arrecato da Bergoglio è la sua concezione del “popolo”. Per Prenna si tratta di un popolarismo non politico ma culturale, incentrato su una forte esperienza (certo, latinoamericana) di cristianesimo popolare, cioè profondamente radicato nel popolo. Quello che Prenna chiama, auspicandolo, “nuovo popolarismo” è (dovrebbe essere) la “comprensione politica” del cristianesimo popolare, il farne un progetto politico. Si tratterebbe di un popolarismo che richiama quello di Sturzo degli inizi del secolo scorso ma che ne è distinto, alle prese com’è con un contesto storico profondamente diverso. La domanda che viene posta è dunque la seguente: su questa strada si può ipotizzare una attualizzazione del cattolicesimo democratico?

Il primo intervenuto nel dibattito è stato Pierluigi Castagnetti, autore già della prefazione al suddetto libro di Prenna, che ha iniziato con un’affermazione tranchant: “Il libro appare fuori tempo”. Affermazione dovuta, soprattutto, alla forte emozione provocata in Castagnetti,, come in tutti, dallo scoppio della guerra in Ucraina. Oggi ne siamo già un po’ distaccati, ma a fine aprile si era nel pieno dello sconcerto. “Il nostro confronto – disse Castagnetti – avviene in un momento in cui la pena riempie la nostra anima, la nostra testa”. Non solo pena, anche l’obbligo di “scegliere da che parte stare”. Ed anche la consapevolezza che in questa guerra “si sta giocando il destino del mondo”, e che le bandiere dell’ecologia e del disarmo vanno ripiegate inevitabilmente perché serve riaprire le miniere di carbone e perché i Paesi occidentali sono di fatto spinti ad aumentare le spese militari. E però, riflette Castagnetti, è vero che “è tornata prepotente la domanda di politica”. E dunque anche la domanda di quale politica.

L’ex leader democristiano, e ultimo segretario del Partito Popolare, dice di vedere di buon grado il neo-popolarismo, ma ammette di essere “meno papista di Prenna”. Non crede, cioè, che papa Francesco abbia una chiara consapevolezza di cosa sia stato il popolarismo nella storia italiana. Ne sono una dimostrazione i discorsi da lui rivolti, in questi anni, ai Movimenti popolari, che a suo avviso parlano “di un altro mondo”. E anche la Fratelli tutti non dice, in realtà, più di tanto… Insomma, per Castagnetti, “è compito dei laici di indicare le vie della politica”. Quanto al riferimento a Sturzo, anche a distanza di cento anni, è secondo lui del tutto valido. E’ al famoso discorso di Sturzo del 1905 (Ai liberi e forti) che Castagnetti fa risalire la nascita del cattolicesimo democratico, e cioè la scelta da parte dei laici della democrazia. E Sturzo è stato un precursore, per certi aspetti, del Vaticano II. Castagnetti dice di considerare il neo-popolarismo come “un personalismo storicizzato”. Quel personalismo che è stato tradotto nella Carta costituzionale e che ha bisogno di essere sempre storicizzato, riattualizzato nei diversi momenti storici, alla luce del principio che la persona viene prima dello Stato. Questo personalismo egli è convinto che possa giocare ancora oggi un ruolo, perché “ai partiti serve una cultura politica” e ii personalismo declina una serie di valori e di direttrici in grado di sostanziare tutt’oggi la cultura politica; egli cita il senso profondo della comunità, il pluralismo, un approccio multipolare alla politica internazionale, l’approccio al nodo pace/guerra, etc.).

Sul tema del “ritorno al popolo” Castagnetti mostra alcuni dubbi. Dice che “Prenna cerca di tirarlo dalla sua parte”. Ma, a suo avviso, ritornare al popolo va bene, ma sapendo che la sapienza popolare è assai spesso discutibile. “Viviamo in tempi – dice – in cui dominano gli influencer…”, e, dunque, “qual è la coscienza del popolo?”. “Con quali modalità ritornare al popolo?”. Certo, prosegue, la politica ha bisogno di legittimazione, e per questo il popolo è essenziale. Non solo, ha bisogno di ri-legittimazione dal momento che spesso sembra pensare che “le cose accadano a prescindere dalla politica stessa”; ha bisogno di essere responsabilizzata, di farsi consapevole che essa “è il luogo in cui si decide che cosa succede”. Però a Castagnetti l’espressione più volte usata da Bergoglio, “costruire il popolo”, non piace. O meglio la trova molto legata al contesto latinoamericano. Egli ritiene che ci sia bisogno, piuttosto, di “educare il popolo a saper leggere quel che accade”, ad essere consapevole della natura di quegli strumenti tecnologici, i social media, che lo portano a una visione acritica delle cose. Sta qui un compito fondamentale della politica. Saper leggere la storia. Castagnetti, a questo proposito, e concludendo, cita Dossetti che sempre raccomandava di leggere la Bibbia e, con essa, libri di storia. E’ lo stesso richiamo, ricorda Castagnetti, che era caro ad Aldo Moro che sottolineava l’importanza della “intelligenza degli avvenimenti”.

A quello di Castagnetti sono seguiti gli interventi della giovane deputata del Partito democratico Chiara Braga, che soprattutto ha condiviso la necessità di alzare la qualità culturale del partito in cui milita e ha dichiarato di ritenere che il cattolicesimo democratico, cui pure lei non appartiene, esprima elementi culturali di forte attualità rispetto alle sfide del tempo presente; e quello del domenicano padre Alessandro Cortesi che ha ricostruito gli elementi teologici che sono alla base del pensiero di papa Bergoglio e ha condiviso la proposta di Prenna, sottolineando la necessità per i cattolici di “uscire dai recinti”, di impegnarsi a costruire esperienze di vita comunitaria, e di farlo a partire dal coinvolgimento delle persone più fragili.

L’ultimo intervento è stato di Michele Nicoletti, docente di Filosofia politica a Trento. A differenza di Castagnetti, si è mostrato più in sintonia con Prenna nel ritenere che sia bene che il cattolicesimo democratico prenda sul serio la sfida di Bergoglio nella stagione nuova in cui ci troviamo. Del resto, è  caratteristica del cattolicesimo democratico proprio quella di saper riflettere sui rapporti tra fede e storia. Ed oggi sarebbe di grande interesse di fare nuovamente lo sforzo di riflettere su questo rapporto. Meno d’accordo con Prenna, però, si dice Nicoletti rispetto all’uso dell’espressione “popolarismo” o “neo-popolarismo”, che non gli sembra possa essere una chiave interpretativa valida. Perché se si prende la nozione di “popolo” nel senso di classi popolari, e dunque non di una nazione nella sua interezza, si deve riconoscere che oggi non ci sono quasi più né contadini né operai e che la solidarietà che un tempo si creava all’interno delle classi popolari oggi è in via di scomparire. “Dove abbiamo oggi, noi – si chiede Nicoletti – forme di vita solidale?”. Che tipo di città abbiamo costruito? Che politiche sociali, familiari, abbiamo sviluppato (in Italia specialmente)? Se poi si prende l’altro senso della nozione di “popolo”, cioè l’insieme di tutti i cittadini di una nazione, dovremmo chiederci – sottolinea Nicoletti – se questo popolo che vogliamo “costruire”, per usare il linguaggio di Bergoglio, è quello degli italiani oppure è quello degli europei. Ponendo l’interrogativo, egli lasciava chiaramente trasparire il suo pensiero: oggi sarebbe il caso di “costruire” il popolo europeo.

Dal pensiero di Bergoglio, e quindi anche dalla ripresa che ne ha fatto Lino Prenna, Nicoletti coglie, però, un altro aspetto sul quale lavorare: il tema della dialettica degli opposti, l’approccio alla realtà considerata sempre nella sua tensione tra poli diversi, l’imparare a vivere dentro le contraddizioni e farne anzi elemento di creatività. Il pensare dialettico aiuterebbe, ad esempio, nel caso della guerra in Ucraina, a vedere l’istanza pacifista e quella della resistenza armata come poli dialettici, dei quali cercare la composizione. Per Nicoletti, in conclusione, il compito più urgente oggi – e che anche il cattolicesimo democratico potrebbe cercare di assolvere da parte sua – è piuttosto quello di interpretare e di attualizzare la Costituzione e le culture che l’hanno ispirata.

Fin qui quell’incontro. Sono alcuni semi sparsi. Ma il cantiere è aperto. Si tratta di tenere vivo l’impegno a riflettere sulle vie da percorrere per rianimare la politica, per rigenerare la democrazia. Oggi, in questo contesto così cambiato. Col vangelo e con il senso della storia. Con gli stimoli di Bergoglio che ci chiama a “ritornare” al popolo, a starci dentro, con fiducia e creatività. Del resto, il distacco di partiti e politica dal popolo, da tanta parte di esso, non è il principale, acclarato, motivo di preoccupazione per il nostro Paese?

 

Giampiero Forcesi

 

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  1. Molto interessanti questi spunti e questo articolo. Credo che dobbiamo evitare di “tirare la giacca” al Papa sul tema del popolo, adattandolo ai nostri schemi. Bergoglio non è certamente populista e in più occasioni ha dato precisazioni e rassicurazioni su questo punto, ma quando parla dei popoli ha in mente soprattutto la sua esperienza sudamericana e in generale quella dei mondi non occidentali. Il suo richiamo è per noi una provocazione non semplice da cogliere: “tornare al popolo” – che sia fatto di operai e contadini come un tempo o di precari, piccoli imprenditori, commercianti, impiegati, addetti ai servizi ecc. non cambia poi molto – cioè sapersi riconnettere con una realtà complicata, variegata, a volte immatura ed istintiva, spesso preda di pulsioni e scelte superficiali e che eppure ha in sè qualcosa di autentico, di vitale, una capacità di reagire, di resistere, di andare avanti, di reinventarsi e, talvolta, di esprimere anche una propria “cultura” (pensiamo, mentre scorre l’estate, alla persistenza delle sagre e dei ritrovi comunitari – spesso di carattere religioso – in tutti i paesi, anche i più sperduti e interni, persino alla faccia degli eventi prettamente turistici). Pensiamo a Pasolini, al suo affetto per quelle genti poco istruite e sicuramente poco sagge ma piene di disperata speranza… Diciamoci la verità: la Chiesa occidentale, il cattolicesimo democratico, in generale il cattolicesimo impegnato, io stesso, facciamo una certa fatica a dialogare e metterci in sintonia con quella miriade di persone che non sono laureate e forse nemmeno diplomate, che hanno mille limiti (ma perché forse la classe intellettuale è così tanto migliore, pur avendo ben altri strumenti e possibilità…?) ma esprimono il popolo che vive giorno per giorno, famiglie che cercano di andare avanti nonostante tutto, con resilienza, a volte in lotta contro avversità improvvise e inaudite. Da quanto tempo, cari amici, non frequentiamo un bar di periferia verso le 18 o 19 di sera? Attenzione: ciò non significa, appunto, fare i paternalisti o i populisti, rinunciare ad esercitare quella capacità di lettura e coscienza critica che è un dono da far fruttare, anche nell’interesse di quelle stesse persone. Inutile che io scimmiotti ambienti che non mi appartengono nel vano e ridicolo tentativo di essere o apparire diverso da quello che sono, tra l’altro non essendo tale operazione nemmeno utile a nessuno. No, il tema è saper dialogare e sintonizzarsi col popolo (di cui anche noi siamo parte), perché le proposte, le idee, le analisi siano più ancorate alla realtà, non solo quella letta sugli articoli e sui libri, ma quella vissuta ogni giorno dalle persone che ci circondano. In questo senso, se c’è una classe di persone che andrebbe ascoltata con enorme attenzione è quella degli insegnanti: essi sono parte per definizione della classe intellettuale ma a contatto continuo con ogni settore e provenienza sociale e con una scala di età che va dai ragazzi ai loro genitori fino, in alcuni casi, persino ai nonni (che si occupano die nipoti scolari). Finisco con un aneddoto: al candidato sindaco del centrosinistra a Parma, che poi ha vinto le elezioni, ho dato un suggerimento: vuoi capire com’è la città oggi, soprattutto quella di cui nessuno parla? Fatti un bel po’ di giri sugli autobus.

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