RIFORMA DELLA COSTITUZIONE. RITORNA IL DIBATTITO

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L’articolo, messo ieri qui in rassegna, di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, che auspicava una riforma della prima parte della Costituzione insieme a una serie di riforme liberali ispirate alla proposta di tassa unica al 25% formulata dall’Istituto Bruno Leoni (vedi qui Nicola Rossi, “Una flat tax al 25% per salvare il Paese dal fisco”,  una sua intervista al Sole 24 ore “Piaccia o no, la flat tax è trasparente”, e sul Foglio l’articolo di Carlo Stagnaro, “Una flat tax di sinistra”), ha suscitato un interessante dibattito. Ieri sul Corriere è intervenuto Valerio Onida dicendo che della flat tax si può discutere, benché egli sia contrario, ma non già di riforma dei principi della Costituzione (“La Costituzione garantisce i diritti sociali dei cittadini”). Oggi, di nuovo sul Corriere interviene Sabino Cassese, favorevole a una riforma del fisco, e non del tutto contrario a una revisione della prima parte della Costituzione, che però rinvia a tempi più maturi, proponendo invece interventi riformatori “minori” sulla pubblica amministrazione (“Riformiamo i ‘rami bassi’ delle nostre istituzioni”). Sul Mattino, invece, Biagio De Giovanni, filosofo di sinistra ora vicino al Pd, sostiene che la difesa a oltranza della Costituzione del 1946 rischia di fare da sentinella a una postazione sempre più vuota, e sostiene che è tempo di nuovo potere costituente, da mediare però con il livello costituzionale europeo (“Costituzione, le ragioni per cambiare”). Non si inserisce in questo dibattito, ma tocca temi vicini l’intervento di Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore, che descrive i guasti prodotti dall’esito del referendum del 4 dicembre e si augura un’intesa di governo tra le principali forze politiche non populiste, dopo le prossime elezioni, che riprenda in mano la riforma costituzionale con l’obiettivo di assicurare la stabilità del governo (“Un patto di governo per le riforme”). Anche un arruffato articolo di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere di due gioni fa, va in direzione di un’esigenza di maggior efficienza delle istituzioni (“La politica senza potere nell’Italia del non fare”).

 

 

 

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  1. Dopo aver letto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 21 luglio c’è di che essere estremamente preoccupati sia perché ipotizza la revisione della prima parte della Costituzione, e dunque del sistema di principi fondamentali e di valori che hanno modellato il nostro sistema Paese e le sue istituzioni per oltre 70 anni, sia perché collega questa modifica alla introduzione della “Flax tax” del 25% uguale per tutti da applicare alle principali imposte, al posto dell’attuale sistema di imposizione progressiva. A parte tutte le possibili, e assolutamente necessarie, valutazioni di costituzionalità della “Flax tax”, ciò che del ragionamento di Panebianco mi preoccupa sono due elementi fondamentali: il primo è che il punto centrale del suo ragionamento non è tanto la modifica della prima parte della Costituzione ma l’intrinseca e positiva valutazione della “Flax tax” come strumento di forte rilancio del sistema economico e di cui la modifica della costituzione ne è solo la naturale, ovvia e necessaria conseguenza, tanto che arriva a chiudere il suo pezzo augurandosi che la “discussione sulla “flax tax” costringerà, finalmente, molti a trattare in modo meno acritico i principi costituzionali su cui si regge la Repubblica”; il secondo è che, mentre non c’è alcun automatismo tra riduzione delle tasse e rilancio dell’economia, chi beneficia di tale riduzione sono le fasce reddituali più elevate, quelle che oggi hanno una imposizione dal 25 al 43%, e dunque la “flax tax” appare di fatto come una misura “pro ricchi” di puro stampo neoliberista. Per queste ragioni, al momento più di principio che di merito, sono molto più in sintonia con Romano Prodi e Enrico De Mita che ritengono inaccettabile questa proposta.

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