Il Manifesto Zamagni e il nuovo Pd di Zingaretti: ci può essere una relazione?

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Emerge in questi giorni una domanda rivolta, non tanto indirettamente, al cattolicesimo democratico e popolare, e a quel cosiddetto “Manifesto Zamagni” che ne vuole incarnare la storia accompagnandolo verso il futuro. La domanda è tacita, rimasta sino ad oggi dietro le quinte. Questo perché depositata in quella grande riserva silenziosa che ha sempre caratterizzato la prudenza unita alla solitudine molecolare e frammentata di questa nobile cultura politica cattolica, ancora divisa in mille rivoli identitari, separata e dispersa.

E’ però auspicabile che la domanda esca allo scoperto al più presto, così come è augurabile che ci siano tempestive risposte non appena si chiarirà bene verso dove guarda la recente proposta del segretario del Pd Nicola Zingaretti.

I commenti che hanno accompagnato la sua proposta di rifondare il Pd, chiarita con un’intervista a Repubblica, si sono concentrati sulle sue aperture verso i “sindaci italiani, le Sardine e la società civile”. Senza troppo sforzarci, sono però argomenti, temi e categorie, cari a quella galassia cattolica più attenta alla politica, e più coinvolta nell’impegno sociale. Sia i sindaci con le loro comunità e con le loro autonomie, quanto la società civile con i suoi corpi intermedi, e, ora, le Sardine col loro bisogno di ‘Buona Politica’ non odiosa – quella del dialogo e della mediazione, quella che difende il clima, quella pacata e attenta agli ultimi e ai diversi – compongono infatti una parte importante delle storiche radici culturali del cattolicesimo politico più avvertito e progressista.

Cosa vuol fare, allora, Zingaretti? Vuole rifondare il Pci? Vuole fare un partito monolitico e chiudersi su un pensiero unico di stretta osservanza marxista o postmarxista? Vuole che le “culture politiche” che eventualmente aderiranno a questa sua idea stiano in disparte e non diano fastidio? Oppure pensa a un partito plurale, a partire dalla sua composizione, e a una dialettica interna che eviti l’appiattimento del dibattito? Un nuovo partito che si interroghi soprattutto sui tempi storici che viviamo e su quelli che verranno, oppure un partito che guarda al passato?

Io non so, a questo punto, se si possa ipotizzare una relazione tra le intenzioni di Zamagni e quelle di Zingaretti. Mi limito solo a registrare che, almeno sino ad oggi, c’è stato silenzio sia da parte dei 500 firmatari del Manifesto, sia da parte dell’attuale segretario del Pd. Tutto chiuso, quindi? No, perché è stata l’intervista di Macaluso sul Nuovo partito, pubblicata l’indomani sullo stesso giornale, che mi ha destato curiosità e interessi. Ne parlo soprattutto perché mi sono accorto che dall’alto della sua veneranda età e facendo leva sul suo mai rimosso “comunismo” novecentesco, Macaluso, pur dimostrando scetticismo sulla proposta, la riveste da par suo con questioni di alto valore simbolico e procedurale che dovrebbero fare pensare. Non ha avuto infatti timore a ricordare che lui non ha mai aderito al Pd, perché l’operazione di unire a suo tempo “ un pezzo di sinistra e un pezzo di ‘sinistra Dc’…, non è stato un processo politico-culturale, bensì un incontro tra stati maggiori”.

Ripensando a quello che è successo in questi anni, è forse difficile non dargli ragione. E se si tratta di avviare un processo politico-culturale e non politico-partitico, come non vedere allora un certo legame tra la proposta Zingaretti e il Manifesto Zamagni? Lo scetticismo di Macaluso è rivolto soprattutto all’assenza di giovani, che non vede coinvolti nel progetto di un nuovo partito. E nel mentre continua ad essere molto critico (e col dente avvelenato) sulle scissioni di Bersani, Renzi e Calenda, irrilevanti a suo avviso nell’intercettare una domanda politica, consiglia infine a Zingaretti di “valutare quali sono le forze che vogliono concorrere a formare un nuovo partito”. Ecco. Le nostalgie di Macaluso verso una sinistra-sinistra sono note. Anche perché è per lui difficile declinare una nuova sinistra che non metta al centro il lavoro e i lavoratori, la “classe operaia” e le diseguaglianze, forse interpretati con tradizionali chiavi di lettura. Ci sono però nuove sfide che ci portano a valutare i diritti dell’uomo, la giustizia, una nuova questione sociale, e perfino – in un mondo 5G – le sacrosante libertà, con paradigmi del tutto nuovi. Ma tali da interrogare il nostro “pensare e agire politicamente” misurandoli con i cambiamenti epocali sotto i nostri occhi e con quel Futuro che papa Francesco vede assente. Gli occhi di Macaluso sono spesso rivolti al passato, ed è comprensibile. Ma quando consiglia di non dimenticare la centralità politico-culturale di un processo di rifondazione, e di guardarsi attorno per vedere le forze disponibili a fare un Nuovo partito, dimostra quel realismo politico che è sempre mancato a chi ha preferito scegliere gli “stati maggiori” dimenticandosi di quelli minori e della dimensione culturale di un processo che non è solo aggregazione statistica di forze, ma che deve riunire necessariamente valori e visioni del mondo diversi, per farne una migliore sintesi adeguata ai tempi.

Vado al dunque. Sono persuaso che l’emarginazione della “sinistra Dc” – per dirla con Macaluso – dentro il Pd non è stata colpa della vecchia guardia post-comunista presente nel Pci-Pds-Ds e negli “stati maggiori” del Pd, ma è stata favorita e facilitata dal silenzio, a volta timoroso e timido, di quanti provenivano da quella laica e robusta “corrente” democristiana, rimasti appartati e dispersi, senza nessuna voce unitaria di rilievo nazionale. E va ricercata anche in un’incomprensibile voglia di stare divisi e rimanere slegati, accontentandosi di un modesto spazio di visibilità locale permesso dalle decine e decine di associazioni e gruppi a cui il Manifesto Zamagni si è rivolto. I tempi si sono maturati. E se proprio non la vogliamo chiamare una “corrente Zamagni” interna al “Nuovo Pd”, naturalmente una corrente politico – culturale e non di tessere, chiamiamola come vogliamo. Ma decidiamoci di fare di quel Manifesto qualcosa di concreto prima che sia troppo tardi.

Ecco, se attorno al Manifesto si sono incontrate e scontrate l’anima realista del cattolicesimo democratico e popolare, tesa a fare da “pungolo” dentro il Pd – come a suo tempo suggerì Dossetti per la Dc -, e quella utopica di Todi, tesa a rifare un partito di soli cattolici se non proprio della vecchia Dc, il suggerimento e le preoccupazioni di Macaluso di avviare questa volta un processo politico-culturale, con quelle forze disponibili a un Nuovo partito è da prendere molto sul serio.

E interessa anche i cattolici democratici e popolari rimasti attenti al Manifesto Zamagni e  alla ricomposizione unitaria auspicata.

 

Nino Labate

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