PER UN DIBATTITO SCHIETTO E LIBERO TRA I CATTOLICI SUL MOVIMENTO 5 STELLE

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Il Corriere della Sera torna sul tema dei rapporti della Chiesa con il M5S con un colloquio di Massimo Franco con il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino il quale si differenzia dalle posizioni del direttore dell’Avvenire, Marco Tarquinio (“Galantino e i rapporti Chiesa-M5S. ‘Non possiamo fare sconti a Grillo’”). Su Settimana News interviene Domenico Rosati con intervento assai equilibrato che auspica tra i cattolici “un dibattito schietto e libero” (“Se Grillo salta nell’Avvenire”). Sull’Unità Sergio Staino critica l’intervista di Tarquinio al Corriere perché “dimentica totalmente la vera natura del M5S” (“I cattolici e il Diciannovismo grillino”). Sul Foglio Maurizio Crippa dialoga con Mauro Magatti intorno alla domanda: che cosa ci trova di interessante il mondo cattolico in Grillo? (“E’ la Chiesa che insegue Grillo, o viceversa?”), e Massimo Introvigne dichiara: “Nessuno stupore, le affinità tra la Chiesa e il Movimento di Grillo ci sono”. Su Italia Oggi Giuseppe Turani scrive: “Niente è chiaro nei Cinquestelle”. Dal canto suo Gustavo Zagrebelsky chiede: “Il M5S si apra ad alleanze chiare prima delle elezioni” (intervista a Il Fatto). Marco Bentivogli, segretario Fim-Cisl, critica le posizioni del M5S sul lavoro e il sindacato (benche nel titolo non si veda…): “L’M5S e il programma sul lavoro” (Avvenire).

 

 

 

 

 

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  1. PER UN DIBATTITO SCHIETTO E LIBERO TRA I CATTOLICI SUL MOVIMENTO 5 STELLE

    Indubbiamente il tema dei rapporti tra la Chiesa e il M5S, in particolare dopo l’intervista di Grillo ad Avvenire del 19 aprile scorso e quella del Direttore di Avvenire Marco Tarquinio al Corriere della Sera, nonché per le conseguenti e varie prese di posizioni che ne sono seguite, è divenuto argomento rilevante nel dibattito politico anche perché richiama altri temi oggetto del programma del M5S come, ad esempio, quelli sul lavoro e la disintermediazione nel rapporto di lavoro, sulla politica estera e il rapporto con Usa e Russia o sull’Europa.
    In particolare sui temi del lavoro e della disintermediazione il 13 aprile scorso “Il Dubbio” aveva pubblicato un interessante articolo di Savino Pezzotta dal titolo “Il sindacato non può limitarsi a difendere il suo ruolo”, di seguito riportato perché non pubblicato su “c3dem”, a cui è seguito un mio commento “Cinque stelle, corpi intermedi e sindacato”.

    IL SINDACATO NON PUO’ LIMITARSI A DIFENDERE IL SUO RUOLO
    Savino Pezzotta
    13 aprile 2017

    La presentazione del programma lavoro del movimento cinque stelle ha suscitato molti interventi e un diffuso stupore, soprattutto per la proposta superare o, addirittura abolire, ogni forma di disintermediazione tra lavoratore e azienda. Una proposta che correttamente è stata vista come un attacco al ruolo contrattale e negoziale del sindacato. Cinque Stelle, ora, alla luce dell’accordo ALITALIA , dovrebbe spiegare come si gestiscono situazioni complesse come quella della Compagnia di bandiera e se è possibile gestirle attraverso l’eliminazione di ogni forma di disintermediazione.
    Non ci si deve però meravigliare che vengano avanzate proposte che pensano alla eliminazione o al ridimensionamento dei corpi intermedi, anzi la ritengo conseguenziale alla logica del Movimento che persegue la disintermediazione nella politica e che ora tende ad invadere il sociale. Sembra che a questo movimento diano fastidio tutte le forme di rappresentanza collettiva (partiti e sindacati). Ciò che mi turba non è il populismo che anima i grillini, ma una visione che tende a definire il predominio della politica sul sociale.
    È abbastanza evidente che ci troviamo innanzi a un’idea di chiaro stampo thatcheriano. Alla cui base c’è una concezione economica e valoriale, quella dell’individuo. Tale visione, che si traduce in un individualismo esasperato (“non esiste la società; esistono gli individui”), è favorita dall’uso individuale della rete. Questo modello non può che creare una forma oligarchica di potere politico e riduce la partecipazione solo al voto o a dei referendum, di fatto viene negato lo spazio pubblico del dibattito, del confronto e della deliberazione.

    Inoltre, ho avuto l’impressione, leggendo e udendo i diversi commenti compresi quelli sindacali, che si continui, sui temi del lavoro e del sindacato, ancorati ad un argomentare vecchio e segnato dai paradigmi elaborati e consolidati negli ultimi due secoli, che, pur avendo avuto una grande rilevanza, non sono più in grado di leggere, interpretare e modificare la realtà del mondo del lavoro di oggi.
    Ho l’impressione che si fatichi a pensare quello che sta cambiando e si preferisce restare ancorati alle idee del passato e alla loro strutturazione piuttosto che guardare in faccia il reale e le novità che contiene e la natura delle conseguenze e delle sfide che la nuova economia pone alla politica e al sindacato. Parafrasando Polany possiamo dire che siamo immersi in una nuova grande trasformazione che pone ineludibili domande sui tratti della nuova rivoluzione industriale (che viene definita terza o quarta), sull’ambiente da tutelare, conservare e valorizzare, sull’economia circolare, digitale e le economie di collaborazione, la robotizzazione e altri cambiamenti che stanno modificando il panorama produttivo e sociale.
    La grande domanda che mi pongo è se la nostra società e i soggetti che la formano sono preparati a reagire adeguatamente a questi processi di cambiamento e a gestirli.
    Credo che vi sia la necessità di dare vita a una serie di interventi:
    • definire un intreccio virtuoso tra politiche pubbliche e iniziativa privata in settori nei quali e possibile la creazione di nuovi posti di lavoro. La strada delle normative sul mercato del lavoro è ormai superata quello che serve è la definizione di nuove tutele e nuovi diritti capaci di mantenere un chiaro riferimento al principio di uguaglianza. Invece di porci questioni inutili come quella della disintermediazione o l’uscita dall’euro sarebbe utile e necessaria una reale e rigorosa discussione politica e per un ripensamento dei principi di diritti fondamentali delle persone al lavoro o in opera. La via da seguire è la creazione di un diritto comune europeo del lavoro con diritti fondamentali per le persone che lavorano. Nel nuovo mondo digitale, è importante mettere a fuoco, contemporaneamente, i diritti dei lavoratori, degli utenti e dei consumatori;
    • rilanciare gli investimenti pubblici (in Italia gli investimenti pubblici restano drammaticamente inferiori ai livelli pre-crisi) e tendere alla costruzione di una politica industriale adeguata per l’Europa;
    • promuovere un concetto di competitività basato sulla qualità, le competenze e la partecipazione dei lavoratori;
    • garantire una giusta transizione verso la nuova economia;
    • pensare a nuovi tipi di relazioni industriali e un nuovo modello sociale per l’Europa”.
    Tuttavia, va considerato con attenzione il sorgere di un nuovo paradigma di organizzazione del lavoro caratterizzato da una massiccia concentrazione di capitali e dal crescente dominio di aziende multinazionali. C’è una pervasiva diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con accesso universale e mobile a Internet.
    La nuova divisione globale del lavoro sia nella produzione e servizi ha ormai raggiunto una massa critica sta prendendo due forme: il movimento di persone dai posti di lavoro e il movimento di posti di lavoro verso le persone. C’è una nuova ondata di automazione, mentre l’outsourcing sta decimando molti posti di lavoro tradizionali in Europa. I nuovi posti di lavoro sono in luoghi diversi attraverso la creazione modelli diversi di dilatazione spaziale.

    Inoltre, la crescita, favorita dalle nuove tecnologie, delle attività self-service, come la prenotazione e l’acquisto di biglietti, libri e merci on line, ha trasformando il lavoro retribuito in lavoro non retribuito. Un nuovo paradigma di organizzazione del lavoro sta emergendo e richiede una nuova organizzazione dei tempi di lavoro e di vita e un intreccio tra attività produttive e di servizio con la cura di sé, delle persone, dell’ambiente e delle relazioni sociali.
    La tecnologia e robot possono cambiare molte cose ma le loro ricadute sociali possono essere regolate. Il ministro Calenda ha aperto un interessante dibattito su Industria 4.0, quello che manca è un vero dibattito sulla dimensione sociale nell’economia digitale. Sappiamo che la rivoluzione tecnologica non può essere fermata per cui spetta ai responsabili politici, ai sindacati e altri attori un disegno trasparente e non ideologico capace di modellare i tratti di fondo della nuova società.
    È necessario un approccio globale per affrontare la crescita delle disuguaglianze, della mobilità umana e la crescita delle competenze anche per contenere e frenare il divario digitale tra le lavoratrici e tra lavoratori e generazioni, servono percorsi formativi basati sull’apprendimento permanente.
    Il sindacato non può limitarsi, innanzi alle provocazioni di “cinque stelle”, ad autogiustificare in forma difensiva il suo ruolo. Dopo la caduta e l’esaurimento delle ideologie lavoriste che attraversavano e animavano la società e segnavano la politica e la democrazia, non si può arrendersi alla logica liberista e reattiva che anima molti movimenti populisti e che ha inquinato parte delle forze del riformismo sociale, si deve avere il coraggio di proporre un’oltre per far avanzare una visione sociale dentro la quale ci sia un approccio positivo e emancipatorio dell’uso delle nuove tecnologie , in modo che le stessa non siano esclusivamente piegate alla logica del profitto, ma orientate anche ad ampliare le opportunità , la dignità e la libertà delle persone, a generare le forme nuove di partecipazione economica, di creatività sociale e di nuovi stili di vita rispettosi dell’ambiente e capaci di incrementare le relazioni sociali e di agire la solidarietà dentro le diverse declinazioni dell’economia.
    È sul terreno del futuribile che si risponde alla provocazione e non auspicando un impossibile dialogo

    CINQUE STELLE, CORPI INTERMEDI E SINDACATO
    Rodolfo Vialba
    18 aprile 2017

    Almeno per me pensare di commentare le riflessioni di Savino è impresa impossibile oltre che inutile. Impossibile per la quantità, qualità e novità dei temi che lui tratta, inutile perché non aggiungerebbe nulla di nuovo o di diverso.
    Una premessa: se si ritiene che il quadro dipinto da Savino sia realistico, e personalmente credo lo sia, bisogna convenire che il sistema Paese nelle sue tre componenti fondamentali di noi persone che lo abitano, del sistema politico e istituzionale, e delle formazioni sociali e quelle sindacali, non è messo bene.
    Mi limito pertanto a riflettere su queste tre componenti perché, in qualche misura, evidenziano le ragioni ma anche i limiti delle analisi, del dibattito e del confronto sui temi indicati da Savino.
    1) Noi persone che abitiamo questo nostro Paese non siano affatto messi bene, smarriti come siamo di fronte alla profondità e velocità dei cambiamenti in atto, spaesati quando ci dicono che sono l’inevitabile evolversi della realtà, turbati che poco o nulla si faccia, si possa fare o ci sia da fare, frastornati e suggestionati da progetti, ipotesi e proposte tra loro alternative e impossibili da ridurre a sintesi, rispetto ai quali non si riesce a capire la direzione di marcia né immaginare gli scenari futuri, venendo con ciò meno ogni volontà e speranza di cambiamento e nel cambiamento condiviso e governato.
    2) Il nostro disastrato sistema politico e partitico, oggi diviso in tre blocchi che veleggiano tutti attorno al 30% dei voti, non è messo affatto bene in quanto manca di capacità di analisi, di proposta e risposta ai molti e gravi problemi del Paese, tanto che, in omaggio “all’inevitabile evolversi della realtà”, non fa nulla per evitare il rischio prossimo venturo di “ingovernabilità” del Paese, e ancor meno fa per contrastare la “vox populi” che vuole il M5S quale predestinato al Governo del Paese.
    Orbene, mi interessa poco lo stato di salute del centro destra, che comunque viene dato come coalizione maggioritaria alle prossime elezioni, e nemmeno mi turba più di tanto il fatto che M5S sia il primo partito italiano. Ciò che molto mi preoccupa sono le incomprensibili e inspiegabili divisioni che determinano la frammentazione dell’area del centro sinistra e della sinistra, incapace com’è, più per ragioni di natura personale che non politiche, ma spesso anche ideologiche, di affrontare e rispondere ai temi fondamentali per il futuro del Paese e delle persone. C’è forse in quest’area un’agorà, uno spazio, un momento in cui sia in atto una qualche riflessione, un dibattito, un confronto che partendo dal convenire sull’immagine che il Paese da di sé, dei problemi che vive e di quelli che emergono nella realtà, tenti di indicare come dovrà essere il nostro Paese tra cinque, dieci o venti anni? Mi chiedo, da apolide politico che guarda con grande attenzione a quest’area, se mi devo convincere dell’inevitabilità del “suicidio politico” dell’area di centro sinistra e di sinistra, essendo questo l’esito finale di quanto qui avviene.
    3) Le formazioni sociali e quelle sindacali pure loro, e per ragioni diverse, non sono messe bene. Quelle sociali, che indubbiamente sono una ricchezza per il nostro Paese, soffrono del limite posto dal confine della loro azione che, se da una parte garantisce loro autonomia di iniziativa, dall’altra non motiva la propensione a fare gruppo e rete. Non vorrei che il Memorandum «in merito all’attuazione della legge delega di contrasto alla povertà», sottoscritto da 35 formazioni sociali, da CGIL CISL e UIL e dal Governo, costituisca l’eccezione che conferma la regola quanto piuttosto l’avvio di un percorso innovativo e virtuoso.
    Di quelle sindacali molto ha scritto Savino e, condividendo, nulla devo aggiungere, salvo rilevare che la crescente marginalità del movimento sindacale ha sicuramente molte cause, la prima delle quali è il venir meno del grande progetto di unità sindacale sostituito dalla divisione e della differenziazione.
    Se CGIL, CISL e UIL non sono in grado di ripensarsi e ricostruirsi in una proposta innovativa ed unitaria, se cioè non fanno molto più di quanto non dovrebbero fare per differenziarsi e molto meno di quanto sarebbe necessario fare per stare assieme, non hanno futuro, e il prezzo di ciò lo pagheranno i lavoratori e i pensionati perché il vuoto che si creerà sarà sicuramente occupato da qualcuno, magari dal populismo e dall’individualismo.
    Capita spesso, perché la CISL è da sempre il mio sindacato, che mi chieda se e cosa può e deve fare la CISL per favorire l’affermarsi di questa proposta e soprattutto se la CISL ha consapevolezza dei tempi e delle prospettive che vive il mondo del lavoro.
    Voglio dar credito a quanti affermano che nella CISL prevale ancora la percezione della reale dimensione delle sfide che il movimento sindacale si trova ad affrontare, ma è certo grande la dose di speranza richiesta quando si pensa alla vicenda Bonanni, all’espulsione di Scandola, ai commissariamenti e ai forzati allontanamenti, oppure si leggono documenti come ad esempio il Codice Etico, le Tesi Congressuali, i 10 punti per il lavoro, l’Ordine del Giorno del Consiglio Generale del 31 gennaio scorso che, personalizzazioni a parte, si collocano su un piano politico e strategico molto più basso di quanto la realtà impone e la storia della CISL, “splendida anomalia”, obbliga.
    A questo punto è legittimo chiedersi se queste riflessioni non siano motivate da un eccesso di pessimismo.
    Certamente non lo sono quelle di Savino, anzi sono una provocazione, un richiamo alla realtà e alle tendenze in essa presenti perché di tutto ciò ce se ne faccia carico.
    Non credo lo siano le mie, non nella misura che servono a far riflettere e discutere. C’è chi dice che “va bene l’analisi, ma manca sempre il cosa e come fare”. Questa è anche la loro finalità.

  2. Scegliere Grillo significa scegliere CHI afferma di sapere COSA e COME fare.

    La situazione richiede invece l’individuazione di CHI può abilitare ad acquisire la conoscenza di COSA e COME fare.

    • Un indizio, per tentare di individuare “CHI può abilitare ad acquisire la conoscenza di COSA e COME fare”, lo cercherei in un approfondimento di questa opinione [dal libro “Silicon Valley: i signori del silicio” – di Evgeny Morozov] ….

      …. “La sinistra non è mai stata un asso nel creare eccitanti narrazioni a sfondo tecnologico, e infatti anche in questo caso non ha alcuna eccitante narrazione da offrirci. Peggio ancora: non ne avrà mai una se non riscriverà la storia di internet – l’humus intellettuale della Silicon Valley – come una storia di capitalismo e imperialismo neoliberista.” ….

      Per approfondire non c’è bisogno di scomodare la silicon valley, dove nessuno prova alcun interesse per il passato ma pensa solo al futuro.

      Basterebbe un’analisi dell’evoluzione della nostra relazione con la tecnologia dell’informazione, partendo dai tempi che ne resero necessaria la gestione in ambienti europei, come il CERN.

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