“La radicalità cristiana interroga la sinistra”

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Pubblichiamo qui alcuni stralci della bella è lunga relazione di Claudio Sardo al convegno dei Cristiano-sociali, del 22 gennaio scorso. Ogni opera di selezione – qui fatta dalla redazione – è sempre arbitraria, per questo invitiamo a leggerla per intero, (insieme gli altri testi, tra cui la relazione conclusiva del coordinatore Mimmo Lucà, quando saranno pubblicati sul sito del Movimento. In basso, inoltre, l’altro articolo con la sintesi di alcuni interventi nel dibattito.

di Claudio Sardo

L’idea di promuovere questo confronto nasce da domande a cui oggi è difficile dare risposte semplici o univoche, e che tuttavia appaiono decisive per cogliere la portata epocale del cambiamento che stiamo vivendo e per tentare di aprire una nuova stagione della politica, una nuova stagione dei diritti e dei doveri. Anzitutto i diritti di chi non ha neppure le opportunità di rivendicarli. Anzitutto i nostri doveri verso le generazioni future a cui non possiamo consegnare una civiltà dominata dal pensiero unico, dove le cose che contano davvero sono affidate al potere di pochi, per lo più estranei al circuito democratico, e dove le libertà dei singoli appaiono sì potenzialmente illimitate, ma spesso si rivelano desideri non esaudibili. Il concetto di «persona», posto a fondamento della nostra Costituzione insieme al diritto inalienabile al lavoro, aveva nel tempo formato un terreno comune tra le forze di ispirazione solidarista, aveva levigato l’ordinamento, era divenuto uno strumento per costruire comunità, per combattere battaglie di giustizia, per contrastare le diseguaglianze. Ma oggi la società degli individui contesta in radice il personalismo della Costituzione, nega che le relazioni siano costitutive dell’umanità dell’uomo. (…)

Come è possibile che la sinistra si sia rassegnata a un riformismo debole e subalterno? Negli anni Novanta abbiamo criticato, giustamente, il «riformismo dall’alto»: ma oggi chi osa più mettere in discussione le compatibilità e immaginare un loro superamento? Come è possibile che, al termine di questo trentennio in cui l’egemonia liberista ha trasformato il volto al pianeta e rimescolato l’ordine mondiale, la sinistra abbia ridotto così tanto le proprie ambizioni di uguaglianza, di solidarietà, di innovazione, di critica alle storture del mercato, di trasformazione degli ordinamenti nazionali e sovranazionali?Come è possibile che non discuta più della donna e dell’uomo che stanno dentro la tempesta del cambio d’epoca e che nella tempesta hanno cambiato la percezione stessa della propria soggettività, della propria socialità, della propria coscienza? Ma davvero il mercato globale è ormai definitivamente sfuggito alla sovranità democratica e le sue leggi si presentano come il nuovo «diritto naturale» universale? Davvero dobbiamo soltanto inchinarci di fronte al nuovo sovrano, il quale comunque ci offre possibilità, velocità, tecniche, conoscenze fino a ieri neppure immaginabili? La sola globalizzazione possibile è quella che cancella ogni limitazione, ogni mediazione, ogni controllo? Si può lottare contro le nuove schiavitù, personali, sociali, economiche, morali, senza passare per nostalgici di un tempo che fu e che mai più tornerà? E l’Europa – l’Europa che avevamo eletto come ideale del nuovo secolo – è in grado di dirimere altrimenti questo suo conflitto interno, questa guerra che si combatte non più tra gli eserciti ma nel rigore dei piani di risanamento che promettono riduzione del debito e invece producono impoverimento, ulteriori diseguaglianze, svalutazione del lavoro e dei redditi? Come è possibile che queste domande esistenziali non scuotano la politica quotidiana, la cui narrazione invece esalta le leadership personali sempre più separate dai corpi sociali? (…)

(…) Nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco ha messo nero su bianco una critica al turbo-capitalismo così esplicita e forte da scuotere persino la dottrina sociale della Chiesa. La teoria della ricaduta favorevole del capitalismo è priva di riscontri concreti. Non è vero che l’arricchimento di pochi alla fine si trasformerà in un benessere più ampio. E’ vero invece che l’economia di carta, il movimento dei capitali senza alcun limite, il denaro che produce denaro assai più di quanto un impresa e il lavoro riescano oggi a produrre profitti e salari, determinano ingiustizie e disuguaglianze crescenti. E colpiscono, emarginano gli uomini in carne e ossa. I nostri fratelli. (…)

C’è una ragione storica – verrebbe da dire: epocale – nella rivoluzione pastorale di Francesco. E questa ragione sta nella necessità di rispondere alla sovranità del mercato globale, alla crisi delle democrazie nazionali (le sole che finora l’umanità era riuscita a costruire), alla straordinaria concentrazione dei poteri reali, all’idolatria del denaro (vera religione civile della modernità), all’individualismo che cementa le culture dominanti, alla fine del mondo eurocentrico, al terremoto geopolitico che ci mette di fronte allo spettro di una inedita guerra mondiale combattuta in nome, addirittura, delle religioni. Il Papa avverte le potenzialità positive delle trasformazioni atto, ma avverte anche la fine dell’Occidente che abbiamo conosciuto, e non vuole che le macerie travolgano il messaggio cristiano. Vuole preservare l’annuncio, mettere in salvo il kerigma dai sistemi sociali e dagli ordinamenti che pure costituiscono i frutti più maturi dell’inculturazione cristiana. I suoi gesti, le sue parole non sono solo la maschera di un Papa che cerca simpatia comportandosi come un parroco. Sono una sferzata, un grido per riscoprire la profezia cristiana. Non l’adeguamento al secolo, e neppure il rifugio nel travaglio del tempo, ma un salto nel processo storico. La profezia: squarcio di un futuro migliore, di una umanità più piena, di fratellanza, di condivisione, di amore e di cura per chi ti è prossimo. Viviamo nella società della disintermediazione. Tutti i corpi sociali intermedi, fino alla famiglia, fino ai mondi vitali, sono messi in crisi dalla dinamica socio-economica e dalla volontà di potenza dell’individuo, percepita come vettore di libertà. Così Francesco, anziché ancorarsi alle mediazioni che si stanno sfilacciando e che andranno ricostruite, decide di riproporre il messaggio cristiano originario. Anch’esso senza mediazioni. La profezia invece della politica. (…)

Emblematico, a questo proposito, il passaggio del discorso del Papa all’Europarlamento: «Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa – ha detto il Papa alla classe politica europea – è una sfida che oggi la storia vi pone». La radicalità cristiana non è separazione dal mondo. E’ riserva critica – riserva escatologica per chi crede – offerta a tutti gli uomini di buona volontà che vogliono costruire insieme un mondo migliore. E’ un invito a pensare più in grande, a non fermarsi negli spazi concessi dai nuovi sovrani.

Il nostro incontro mette a tema la radicalità cristiana e la sinistra. Ma nel nostro Paese non si può saltare il passaggio sul cattolicesimo politico e sociale. (…)  ci sono oggi due opposte interpretazioni del Pd: chi lo intende come il nuovo che finalmente cancella le anomalie italiane di un cattolicesimo politico inquieto e non riconducibile al popolarismo conservatore e di una sinistra guidata dai comunisti anziché dai socialisti, e chi invece ritiene che il Pd sia il frutto maturo delle principali culture costituzionali, non prive di difetti e contraddizioni e tuttavia accomunate da una critica del liberalismo, del mercatismo, del riformismo debole. Da questo dilemma passa la strada che porta all’omologazione passiva, ma anche la speranza di una nuova rivoluzione democratica. Il Pd è un crocevia per l’intero Paese, e le vicende parlamentari di queste ore ne sono testimonianza. A me l’idea di Pd che pare più solida è quella che non ha bisogno di recidere il legame con la storia e con i valori per affermare oggi il cambiamento necessario. Ma la domanda, a questo punto, è se e come i credenti possono dare un contributo per evitare l’omologazione, per rafforzare la coesione sociale, per avviare la nuova stagione democratica. Il cattolicesimo politico e sociale – dobbiamo dircelo senza reticenze – è vissuto e ha prodotto il meglio di sé dentro i codici della mediazione che non c’è più. (…)

L’impoverimento del cattolicesimo politico e sociale è andato di pari passo con l’affermazione del mercato, con l’economia a trazione finanziaria, con la deregulation, con la svalutazione del pubblico e del lavoro. Ora la profezia di Francesco è una sfida. Ribalta i codici. Esige una fedeltà evangelica più stringente. Ma la sfida è anche una straordinaria occasione. (…) Il Papa dice che l’economia uccide, che non è accettabile l’esclusione dal lavoro, che le disuguaglianze sono un peccato contro l’uomo e contro Dio: tanti fanno cenno di sì con il capo ma si comportano se il cambiamento fosse impossibile. E noi cosa facciamo? Come può l’azione politica dei credenti non porsi l’obiettivo di ridurre le distanze tra la realtà e la speranza, tra le nuove servitù e il desiderio di una nuova umanità? L’unità politica dei cattolici non tornerà. Il pluralismo delle scelte non è soltanto il portato della società secolarizzata: è anche la conseguenza della fine del temporalismo e del collateralismo. Tocca finalmente ai laici credenti ordinare le cose temporali secondo Dio: così avevano già scritto i padri conciliari, anche se un eccesso di clericalismo ha rinvito l’attuazione. Ma guai se adesso i cattolici si presentassero come le componenti moderate all’interno dei vari partiti! Sarebbe una diserzione. Questo è il tempo del coraggio, oppure dell’impotenza. (…)

E questo è il grande tema che anche la sinistra ha di fronte. Il tempo nuovo non consente risposte vecchie. Ma la rigenerazione della sinistra, alla fine del compromesso socialdemocratico, non è affidata alla sua progressiva, sostanziale integrazione nell’ordine liberista. Il futuro della sinistra non è nell’individualismo. E neppure nel pragmatismo, anche perché il programma è limitato. Di quale riformismo parliamo se il bilancio dello Stato è per il 95% predeterminato? (…)

Aprire le porte del futuro è più importante di monetizzare oggi rendite che rischiano di estinguersi. So che questa discussione è condizionata dal giudizio che noi diamo su Matteo Renzi. La forza di Renzi è la grande occasione per il rinnovamento della sinistra, e anche per la tenuta del sistema in un tempo di così grande sfiducia e di antipolitica aggressiva, oppure la spregiudicatezza di Renzi e la sua gestione del potere hanno già prodotto una mutazione genetica del Pd, un suo snaturamento? Sono giorni di tensione altissima. Ma continuo a pensare che, se il fenomeno Renzi è nato nel Pd e non altrove, questa è una ragione non disprezzabile del radicamento politico e nazionale di questo partito. Anche se i motivi di preoccupazione sono tanti (…)  Il Pd resta, nonostante i suoi limiti e i suoi conflitti, il più concreto strumento politico a disposizione della sinistra italiana per rinnovarsi e per contare nel Paese e in Europa. (…)

Oggi anche il cattolicesimo politico non può che essere diverso dal passato. La parola del Papa è più lontana dal potere. La disintermediazione è la regola. I corpi intermedi sono in affanno. I partiti e i sindacati devono cambiare forme, linguaggi, strutture. L’emergenza educativa tocca le famiglie. Ma proprio per questo la radicalità dei cristiani può avere oggi una proiezione politica più forte, più carica di valore e di senso. E’ essa stessa una critica della politica, che però non vuole cedere alla demagogia, alla protesta rabbiosa, al nichilismo di chi giudica la partita chiusa e la storia finita. Alla sinistra può dare ciò di cui più ha bisogno: una leva per sollevarsi dal riformismo debole. (…) Certo, dal mondo reale non si scappa. La realtà è sempre il punto di partenza. La sinistra però è a un bivio: nella forma nuova che dovrà assumere non può rinunciare all’uguaglianza, alla pace, alla dignità della persona, ai beni comuni, al lavoro per tutti, al cambiamento, alla società di domani, al futuro. Non può rinunciare a tessere reti di solidarietà sociale. E neppure a una trascendenza della politica: lo dico con pudore, e senza alcun intento integralista. Ma l’uomo, il senso, le finalità, il destino comune, l’amicizia, la ricchezza della differenza di genere a fronte di un mondo di individui che viene sospinto verso il grigio e il neutro, sono l’ossigeno senza il quale la sinistra non può neppure respirare. La laicità resta una pietra angolare delle nostre società. (…)

La laicità non è solo una questione giuridica. Non è solo un limite da rispettare. E’ lo spazio comune in cui credenti, non credenti, fedeli di diverse religioni operano insieme, condividono i principi fondamentali e non vivono più in recinti separati. (…) La sinistra personalista e solidarista deve riprovare a tenere insieme i due piani: da un lato l’ambizione di un cambiamento profondo, significativo per l’uomo e il suo futuro, dall’altro l’azione innovatrice possibile, qui e ora. Non è doppiezza, è il solo modo per ridare forza alla politica. Il pragmatismo senza la speranza di un futuro diverso contiene già la sconfitta. Passa da qui il destino della sinistra, assai più che dalle sorti del governo pro-tempore. Passa dalla capacità di tornare a parlare di uguaglianza, come faceva Ermanno Gorrieri, fondatore dei Cristiano-sociali, di cui abbiamo ricordato a dicembre i dieci anni dalla scomparsa. Passa dalla capacità di tenere insieme – perché tenerli insieme è possibile – il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e una più coraggiosa politica a sostegno delle famiglie, e dei giovani che vogliono formare una famiglia. Passa da una nuova idea di pubblico, sostenitore dell’innovazione anche in campo economico e aperto alla sussidiarietà, alla comunità. C’è tanto lavoro anche per le associazioni e per i movimenti di ispirazione religiosa. Meno clericalismo e osare di più. La buona politica ha bisogno di reti sociali, al contrario di quanto sostenevano coloro i quali per vent’anni hanno teorizzato il conflitto tra politica e società civile.

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