Partito politico e primarie: un commento

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L’amico Nino Labate ci manda il suo commento ad un post (che riportiamo per intero in fondo a questo testo) di Sandra Bonsanti pubblicato sul sito di Libertà e Giustizia (www.libertaegiustizia.it) il 15 febbraio . Ecco il testo del commento 

La crisi del partito politico. Ma non è che stiamo  sbagliando ?

La situazione per il futuro del partito politico comincia a preoccupare. La sua crisi, governo Monti  a  parte, è sotto gli occhi di tutti. La descrive bene Ilvo Diamanti. Tanto che accanto agli allarmi sulla post-democrazia, spuntano anche quelli sul post-partitismo. Se tentiamo di soffermarci sul clima culturale che ha favorito la crisi non possiamo evitare di constatare che noi in fondo viviamo  le onde lunghe della svolta thatcheriana e reaganiana: la c.d. “deregulation” neoliberista. Approdata in ritardo in Italia, ma approdata. Non dobbiamo allora essere reticenti. Giriamola come vogliamo, ma  tale svolta, riconsacrando il decisionismo monocratico sotto specie di governabilità in tempo reale, e  puntando tutte le sue carte sui bilanci statali e sui tagli della spesa pubblica , ha nel suo rovescio messo in crisi il  ruolo dello stato democratico regolatore  ed erogatore di servizi (utili e irrinunciabili ) , della democrazia rappresentativa, del partito politico e dei parlamenti nazionali – evitando di conferire a quello europeo maggiori responsabilità. Iniziando a erodere anche il senso etico del welfare, di cui milioni di giovani e famiglie ne pagano in assenza di alternative le conseguenze. Senza nessuna concessione allo statalismo, all’assistenzialismo, e all’assemblearismo, il paradosso di oggi è che lo  Stato interviene ancora ed è presente. Ma solo per salvare le banche!

La parola d’ordine importata dopo anni in Italia è stata tuttavia un’altra. E ha riguardato il grottesco circo Barnum del berlusconismo. Quello comparso dopo “Mani Pulite” che ha promesso la  rivoluzione liberale presto trasformata nella rivoluzione della morale e del bon ton pubblici e privati. Avendo come direttore Berlusconi, questo circo Barnum  non ha guardato alla crescita e alla libertà del mercato,  alle riforme necessarie, alla (promessa in Tv) riduzione delle tasse.  per rilanciare la domanda. Ma con il chiodo fisso dell’attacco alla Magistratura, ha propagato l’etica Fininvest: “arricchitevi” e “godetevela”;“…non pagate le tasse”e “curate solo il vostro orticello”. Da qui iniziano in un crescendo gli  attacchi alla rappresentanza, ormai inutile, e al Parlamento, superfluo, : “…ghe pensi  mi”, che ha fatto pensare a una versione soft di altri infausti periodi storici del nostro Paese. Un trappolone populistico pagato caro perché l’obiettivo principale era proprio il partito politico nascosto dietro la  “filosofia” del “…ragazzino lasciami lavorare” e  della felicità individuale, che avrebbe fatto rabbrividire gli stessi Thatcher e Reagan. Così come sono andate le cose, dobbiamo ringraziare il corpo sano democratico del nostro Paese , perché poteva finire peggio. Ma tale “antropologia” ha fatto dei danni. Non solo facendo presa su una certa opinione pubblica, ma eccitando anche una serie di intellettuali e opinionisti nostrani formatori di opinioni, in attesa di riscatto. Dopo anni di sopportazione catto-comunista, di pessimismo storico, di classi e movimenti operai, di interventi pubblici, i loro editoriali si sono concentrati sulle virtù della “società aperta”, del “laissez faire”, delle mani libere; sull’arretramento dello Stato, sul passo indietro della politica non più primato dell’agire politico o forma di carità cristiana, ma ancella dell’economia e di interessi privati. Il keinesismo? Tutto da buttare : neanche il bartaliano “tutto da rifare”, ma Keynes era da dimenticare! Fra le pieghe, questo elogio dell’ IO e dell’individuo solitario, conteneva la messa al bando del NOI, dei rapporti interpersonali, del partito politico, su cui è stato scritto anche qualche saggio. Anziché chiarire di volta in volta quello che si voleva denunciare, questi sermoni neoliberisti tesi nelle migliori intenzioni alla condivisibile critica del vecchio  Stato centrale e assistenziale e del partito piglia tutto, hanno invece sortito  l’effetto opposto. Creando nel tessuto sociale convincimenti incredibili. Senza specificare e incapaci di prevedere il secondo “Ventinove” dietro l’angolo, i chierici del neoliberismo italico, hanno ri-posizionato sull’altare della storia, il mantra della “mano invisibile”, degli “spiriti animali”, del “disordine creativo” e del “laissez faire” , che di fronte ai poteri forti veramente invisibili e sconosciuti della finanza globale, e alla loro ferocia predatoria, esprimevano invece una teoria capitalistica provinciale e paleoindustriale incapace di fare i conti  col digitale e con la globalizzazione dei mercati e della finanza. La ventata di individualismo addolcito dall’aggettivo metodologico ha poi fatto il resto: è l’uomo con le sue azioni solitarie al  centro dell’universo ma non le istituzioni. L’auto-nomia ( …il farsi la legge da soli ?), l’auto- determinazione (…il  determinarsi da soli ? ) l’auto-referenzialità ( guardare al proprio ombelico? ) e l’esaltazione dei diritti civili a danno di quelli sociali e umani , hanno messo infine la ciliegina sul nostro recente passato.

E’ proprio in questo scenario che il partito politico – autentica società civile a mio modesto avviso – si squaglia e comincia la sua delegittimazione. Arretra dalla sfera pubblica. Arretra dai territori. Arretra dalla identità. Al suo posto subentra il nuovismo senza passato. Anzi col passato da rottamare assieme a una generazione di veterani che lo hanno costruito. Così che di fronte al reale rischio dei pacchetti di tessere comprati, degli apparati onnipotenti, e delle oligarchie perenni, arrivano i comitati elettorali una tantum usa e getta. Arriva il marchio-prodotto da rinnovare ogni tanto assieme agli inni di supporto. Il sondaggio irresponsabile come bussola della politica.

E arrivano le primarie. Non emerge invece l’esigenza del rilancio e dell’aggiustamento del partito politico, assieme a una sua riforma adatta all’epoca digitale che viviamo. Ed è dunque in questo clima – ora aggravato dalla crisi economica – che i legami sociali e la ricerca del bene comune, la formazione permanente alla politica, il confronto nell’incontro, la socialità, la competenza, la morale pubblica, la responsabilità personale, vengono giudicati residui religiosi di un solidarismo cristiano fuori tempo, o epigoni di un marxismo londinese da rimuovere in fretta, senza sapere che rappresentano invece le colonne portanti del vero liberalismo. Meglio camminare da soli che camminare insieme delegando a qualche capo.

C’è anche da stare attenti alla nostra Costituzione. Emergono infatti fra le righe tentazioni presidenzialiste. E’ pur vero che la Costituzionenon è un mostro sacro inamovibile ma, dossettianamente, essa non va stravolta, va solo aggiornata e resa adeguata ai tempi che viviamo senza trasformare il Presidente della Repubblica in notaio. Stando così le cose, riportare alla coscienza democratica la misura esatta di alcune questioni che inconsapevolmente abbiamo tutti contribuito a creare, è il compito che ci attende.

Mi riferisco soprattutto alla svolta antipartitica che ,come ho accennato, da Tangentopoli e da Forza Italia in poi abbiamo chi più o chi meno contribuito a creare con l’elogio smisurato della società civile a danno di quella politica (la prima bene assoluto, la seconda male da sconfiggere), con l’elogio dell’associazionismo non partitico che nelle intenzioni di Tocqueville svolgeva un preciso compito sussidiario, con l’esaltazione del leader. Possibilmente dotato di carisma. Abbiamo così aperto la strada ai partiti cesaristi sotto padrone, ai movimenti separatisti – sudisti e nordisti -, ai sempre verdi partiti personalizzati che in Italia, grazie a Dio, si sono vestiti di arlecchinate escortiste, speriamo esaurite per sempre. Il giusto rigetto, senza se e senza ma, del malaffare e della corruzione, dei legami illegali di alcuni esponenti di partito; le sacrosante denunce dei privilegi delle caste e della spesa facile e clientelare; le  cricche e le lobby, le macchine blu, i parlamentari inquisiti, messi tutti in un unico calderone assieme al partito politico, hanno poi portato alla distruzione della rappresentanza e alla crisi della democrazia rappresentativa. Risultato? Da una parte ci siamo illusi di essere nell’Atene di Pericle – povera Atene! – e abbiamo preteso la democrazia diretta, senza mai distinguere di volta in volta il bambino dall’acqua sporca, il dito dalla luna. Dall’altro ci siamo illusi che il partito è un soprammobile superfluo della democrazia politica.

Parallelamente a queste illusioni cresceva l’impolitica e l’antipolitica sotto il segno del qualunquistico “tutti ladri e incapaci”, “i partiti sono tutti da buttare” di cui Beppe Grillo con la sua pericolosa creatività  è stato l’artefice impareggiabile che ha portato a quel 10 % di italiani maggiorenni che ancora ritengono la politica e i partiti interessanti per la democrazia politica.

Ora ne paghiamo le conseguenze col disinteresse, con la grave crisi istituzionale, e con il tappabuchi-surrogato delle primarie che più che essere uno strumento del partito, come dovrebbero essere, vengono valutati come uno strumento contro il partito. Queste primarie, notoriamente utili proprio quando il  partito politico è assente come negli  Usa, le abbiamo a mio avviso enfatizzate oltre ogni misura. Il rischio che questa enfasi ha nascosto, è stato la delegittimazione completa del partito e della sua classe dirigente. Il che ci può trascinare a mio avviso dritti dritti alla post-democrazia: quella dei poteri forti finanziari, quella del partito occasionale a tempo frutto di ricerca di marketing, senza storia e identità, quella sulla tutela di interessi, quella insomma post-partitica. In alternativa quella dell’autoritarismo dolce personalizzato dai media, o del partito padronale dei plutocrati che, come dicevo, in Italia abbiamo avuto occasione di conoscere.

La situazione attuale la semplificherei allora in questo modo: è una situazione post-partitica e post-democratica. Ma nella consapevolezza che senza partito, una società complessa e globalizzata come la nostra non va da nessuna parte:

1) se riforma elettorale permettendo, saremo in grado di riformare il partito politico riportandolo alle sue funzioni di democrazia interna e di partecipazione previste nell’art. 49 della nostra Carta;

2) se le tante altre associazioni di società civile entrassero da “esterne” o con qualche loro iscritto nei partiti;

3) se saremo tanto bravi di rivalutare senza nostalgie e con equilibrio il ruolo dello Stato, della politica e del partito politico;

4) se togliamo il dubbio che rispettarela Costituzione, le regole e lo Stato di diritto non significa togliere le libertà;

5) se infine ci renderemo conto che senza classe dirigente professionale, capace, tecnica, onesta, a cui delegare la nostra pericolante democrazia, rischiamo svolte autoritarie;

ebbene allora riscopriremo la partecipazione, metteremo le primarie al loro posto di complemento, e salveremo la democrazia politica liberale rappresentativa, togliendo le illusioni che ai nostri giorni si possa andare avanti “primarieggiando”.

Il mio potrebbe sembrare l’elogio del primato del partito politico. Ma non lo è! Il partito è parte di un tutto. Ma senza di esso la democrazia arretra.

Nino Labate- Roma  19 febbraio 2012

 Articolo postato sul sito “Libertà e Giustizia”, in risposta ad un commento di Sandra Bonsanti

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 Il post di Sandra Bonsanti pubblicato il 15 febbraio 2012 sul sito di Libertà e Giustizia con il titolo “Sull’orlo delle due crisi

Non si sa se ridere o piangere, ma a dire il vero non c’è proprio nulla da ridere. Alla crisi finanziaria ed economica si sta sommando una crisi istituzionale, la più grave probabilmente dal dopoguerra.

Il distacco tra cittadini e partiti non era mai stato tanto profondo quanto lo è oggi. La politica non è mai stata così disarmata di fronte a queste gravi emergenze e come sta accadendo nel Pd sul caso delle primarie, si cerca di ridurre il tutto a incidenti “locali”.

Come se non bastasse non sembra che i partiti si rendano conto della gravità della crisi istituzionale e dicono che basta prendere tempo. Intanto però si adoperano per mettere in crisi anche la Costituzione, cercando e trovando in Parlamento un accordo che aumenta fortemente il potere del capo del governo (può chiedere lo scioglimento delle Camere a un presidente della Repubblica che teoricamente potrebbe anche negarlo: teoricamente…).
Il cittadino si guarda intorno e non trova più le sue radici né trova valori che lo rassicurino. Bersani è invece convinto che il Pd abbia una sua identità e sostiene. “il Pd non è in cerca di Dna”.

In nessuna epoca della storia un paese è stato in grado di far fronte a due crisi così gravi e simultanee.

Stiamo forse scansando un precipizio, ma la nostra democrazia non ne esce rafforzata. E i cittadini sono sempre più soli, più deboli, più poveri e più inascoltati. Come si chiama questa situazione?

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