Il cristiano, i muri, i ponti

| 3 Comments

Fa discutere la battuta di papa Francesco contro Trump nel consueto dialogo con i giornalisti sull’aereo: chi pensa a costruire muri invece di ponti, non è cristiano. Semplicemente. Come sempre, i media sono portati a sfruttare le frasi nette e forti. Tutti i numerosi interventi in Messico, però, si sono mossi in modo più ricco e articolato, ma coerentemente nella stessa direzione. Francesco ha ribadito che non si può accettare una logica di discriminazione e di emarginazione dei poveri. Una cultura economica che in nome del profitto scarti gli esseri umani che non sono più compatibili. Una struttura civile in cui non sono rispettate le esigenze minimali della vita per tutti: lavoro, casa, terra (le tre «t»: trabajo, techo, tierra). Una convivenza in cui non ci sia la chiara consapevolezza della fratellanza degli esseri umani e del loro rapporto condiviso con il creato. Una organizzazione politica in cui i popoli e le loro culture siano discriminati, come spesso è successo agli indios. Si tratta di affermazioni che appaiono forti solo perché in qualche modo dirette e immediate, in riferimento a una chiara esigenza evangelica.

Lasciamo stare la risibile battuta di Trump sul fatto che il papa possa diventare la pedina del governo messicano… Le domande comunque corrono tra i critici radicali del papa, quanto mai numerosi e battaglieri: si tratta di una presa di posizione politica, di una Chiesa che sposa le culture del radicalismo anticapitalistico? Si tratta di una indebita scelta di campo per l’antiliberismo estremista? Francesco come un capo guerrigliero del Chiapas o come il capo internazionale dei no-global, o l’ultimo epigono di Occupy? Si tratta di un approccio parziale e rischioso, che mette in discussione il tradizionale equilibrio della Chiesa cattolica e della sua sapiente diplomazia geopolitica?

Francesco è abile ed efficace: rigetta l’idea che si tratti di una posizione politica. Che vuol dire politica? Il riferimento furbo è ad Aristotele e alla definizione dell’essere umano come «animale politico». Se si vuol dire che è politico in quanto umano, egli accetta di essere semplicemente umano. Ma la sua si presenta come una riflessione essenziale, che sta sul terreno proprio della Chiesa, quello della lettura del Vangelo e delle sue esigenze generalissime. Convertiti, se hai creduto al Vangelo. Gesù non è «spirituale» nel senso di una vaga consolazione interiore. E’ misericordioso, aperto a tutti, pronto a parlare con il peccatore. Ma se il peccatore lo riconosce, non può che cambiare la propria prospettiva, con grande concretezza. Se prendi sul serio quell’appello, non puoi che pensare e vivere in un certo modo, cambiare le priorità, ristrutturare i valori, pensare in modo coerente alle conseguenze delle tue azioni. Non tutto è compatibile con il Vangelo. Sono finiti i tempi in cui un eccesso di prudenza poteva far pensare che bastasse dichiararsi cristiani e omaggiare la gerarchia per non essere più messi in crisi dal Vangelo.

Questo vuol dire che c’è una soluzione politica o economica o civile nel Vangelo? Francesco è troppo raffinato per pensarlo. E infatti non presenta ricette, ma appelli. Non presenta soluzioni, ma sollecita responsabilità. E’ un po’ la stessa logica della chiusura del suo grande discorso alla Chiesa italiana al convegno di Firenze: che cosa dobbiamo fare? «Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese».

Qui si dovrebbe aprire quindi un indispensabile cantiere, che è prima di tutto culturale. Qui il cattolicesimo democratico avrebbe molto da spendere della propria attitudine a cercare i modi più efficaci per mediare in politica o in economia l’esigente appello del Vangelo. Basta solo aprire finalmente e seriamente una ricerca innovativa e spregiudicata.

 

Guido Formigoni

 

3 Comments

  1. Ovviamente il testo di Guido Formigoni è bello e tutto condivisibile. ciò che mi convince di meno è la conclusione. Non è il cattolicesimo come tale che è chiamato a costruirne le conclusioni programmatiche: lo sono certamente i cattolici, ma singolarmente o in gruppo con altri cattolici e no, a costruirli intorno alla variabilità dei problemi, delle esperienze, del disagio e delle potenzialità, anche se sempre entro una visione ormai internazionale , mondine, delle connessioni e dei problemi che dobbiamo affrontare. Semmai ai cattolici sta un dovere più esplicito, netto e vincolante di farlo entro un sistematico governo pacifico dei conflitti, una ricerca , coerente, non rinunciataria, delle mediazioni ragionevoli, dei punti di incontro, seguendo la lezione politica che ci ha lasciato Aldo Moro

  2. Non vedo contraddizione perché penso che quando Guido cita il cattolicesimo democratico abbia in mente quel piccolo gruppo di cristiani che, legati da una comune tradizione, continuano a riflettere sulla realtà di oggi, secondo una comune visione d’insieme. Oggi però l’iniziativa di papa Francesco richiederebbe un passo ulteriore: egli non teorizza, ma pratica, non dottrina ma comportamenti esemplari. Come tradurre questa spinta non solo nella vita personale ma in quella collettiva? o anche come gruppo? Mi sembra che anche rispetto alla nostra tradizione , quella della mediazione culturale, sarebbe necessario capire e valutare le conseguenze della rivoluzione che porta papa Francesco

  3. Riprendo e “proseguo” in un certo senso il filo del discorso di Formigoni. C’è un problema, che non avrà mai fine, che riguarda il rapporto tra fede (o anche etica), e decisione politica. Sappiamo infatti che la radicalità del messaggio evangelico (ma anche di una rigorosa etica laica, in molti casi) non solo è difficile da praticare nella vita quotidiana ma è ancora più difficile da tradurre in politica quando in gioco ci sono scelte complicate che devono tenere conto del contesto e del “possibile”. Sui temi della pace, dell’accoglienza degli immigrati, del rapporto tra culture e religioni (senza dimenticare la democrazia, l’economia, i diritti, la giustizia sociale, ecc.), la difficoltà si acuisce ancora di più e chi ha responsabilità politiche (se è in buona fede) non può che domandarsi qual è il massimo bene comune possibile in quella data situazione.
    Perché ho fatto questa introduzione? Perché nella frase del Papa sui “muri” e sui “ponti” e nella risposta di Trump e, con meno volgarità e più acume, di altri politici statunitensi, è condensato il problema del rapporto dinamico e complesso tra ciò che il Vangelo richiede (il Papa non ha detto nulla di diverso) e la legittima autonomia della politica nel valutare ciò che è bene e possibile in una determinata situazione.
    E quindi? Quindi il Papa fa bene, anzi benissimo, a richiamare la verità delle esigenze evangeliche su pace, giustizia, povertà, accoglienza, solidarietà… Ai politici cristiani non spetta il compito di mettere in discussione tale verità, ma anzi di averla massimamente presente nella loro azione pur sapendo che gli strumenti della politica non consentiranno di arrivare a risultati “perfetti”. Ma un conto è dire “facciamo tutto il possibile, tendendo al meglio ma sapendo che potremo arrivare solo fino a un certo punto”; altro è pensare, come sembra far intendere Trump (non giudico la sua fede ma vedo i suoi atti e le sue parole) che sia compatibile con il cristianesimo qualsiasi politica solo perché chi la pratica si professa “bravo cristiano” e che gli interessi personali, localistici o anche nazionali possano prevalere, anche in un cristiano, sul dovere dell’amore universale (la “civiltà dell’amore”, diceva Paolo VI), che certo non raggiungeremo pienamente su questa terra ma a cui occorre tendere con il massimo impegno. La mediazione tra Vangelo e vita, tra Vangelo e politica è sempre complessa e articolata ma non così evanescente da non prevedere punti fermi (“non tutto è compatibile con il Vangelo”, ricorda giustamente Formigoni): chiunque in buona fede legga il Vangelo (e il resto della Bibbia e il Concilio e molti documenti del Magistero) può ben capire quali sono… E dunque, non c’è da prendersela con Papa Francesco, ma semmai con Nostro Signore!
    Per i cattolici, in particolare per coloro che si interessano di questioni politiche, e ancora di più per coloro che hanno dirette responsabilità nella cosa pubblica, è sempre necessario chiedersi, di giorno in giorno e di epoca in epoca, quali scelte compiere nella direzione della civiltà dell’amore, tenendo conto delle condizioni date, della questione del consenso (che non può certo essere assolutizzata ma nemmeno del tutto ignorata), delle possibilità operative. E quindi è utile – oserei dire; indispensabile – che esistano luoghi in cui operare questa riflessione critica, senza necessariamente unanimismi, affinché il discernimento sia attuato nel confronto con gli altri e nella comunità e non solo a livello individuale. Le comunità cristiane, le associazioni ecclesiali, le parrocchie e, ovviamente, anche le nostre associazioni della rete C3dem sono – e possono rappresentare anche in futuro – questi luoghi, in costante e sincera apertura – come ricorda Paola Gaiotti de Biase – con altre esperienze e sensibilità.

Lascia un commento

Required fields are marked *.