I cattolici e la politica, in una società liquida

| 5 Comments

Il 4 luglio Marco Damilano ha scritto su Domani un articolo in cui rievocava il ruolo avuto negli ultimi decenni dal cattolicesimo democratico, immaginando, per il presente, un riaccendersi della loro influenza nella società e nella politica italiana. Ne è nato, sulla rivista online “Settimana News” un dibattito introdotto dalla redazione e ripreso da Franco Monaco. Ma in una società liquida come la nostra anche i cattolici democratici hanno questa caratteristica. E la chiesa non aiuta

 

 

Il suggestivo articolo di Marco Damilano sul cattolicesimo democratico ha certamente rincuorato gli animi degli appartenenti alla categoria, valorizzando un’esperienza e una cultura, al di là forse delle sue evidenze attuali.

Mi permetto anch’io di fornire qualche spunto sull’argomento.

Per parlare del cattolicesimo democratico attuale ritengo necessario definire due cose: che cos’è il cattolicesimo democratico e chi sono i cattolici democratici attuali.

Intendo per cattolicesimo democratico una tendenza, una cultura, una tensione ideale che si esprime in modi diversi in momenti storici diversi: così è stato per la Lega nazionale (da cui proviene il termine “democrazia cristiana”), per il Partito Popolare Italiano, per la Democrazia Cristiana, cui bisognerebbe aggiungere tanti singoli, gruppi, riviste.

Se questa idea è giusta, allora mi sembra difficile in questo momento individuare in Parlamento un gruppo, una forza, che rappresenti il cattolicesimo democratico (certamente sono presenti singole persone, per lo più in partiti e correnti diverse, ma mi sfugge una qualunque presenza collettiva).

In questo mi differenzio dal giudizio di Franco Monaco (su Settimana News, e riportato su c3dem) che sembra attendersi posizioni e battaglie (di sinistra) da un gruppo che, a mio parere, non è definibile.

Ed è inesistente non solo perché non fa gruppo, ma anche perché oggi mi sembra che manchi una cultura cattolica democratica affermata e riconosciuta a livello pubblico (non a livello del Parlamento, ma a un livello molto più importante, quello del Paese).

Esprimo qui la mia tesi sul cattolicesimo democratico: se è vero che è una tendenza che si esprime in modi differenti in situazioni storiche differenti, allora il cattolicesimo democratico di oggi va considerato come una realtà diffusa, fatta da tante singole persone e piccoli gruppi, che portano avanti questo ideale in una società molecolare.

Se la società è liquida anche il cattolicesimo democratico è liquido, se la società è articolata lo è anche il cattolicesimo democratico.

Dicendo questo mi sembra di descrivere la realtà, più che esprimere un’opinione.

Ho pubblicato in queste pagine recentemente due note, sul singolarismo e sulle liste civiche: entrambe offrono un’idea significativa su come si muove la società.

E poiché partire dalla realtà costituisce sempre un principio cardine tanto per il pensiero quanto per l’azione, il cattolicesimo democratico ha qui la sua leva, il suo ancoraggio.

Esperienze locali, immergersi nella realtà, creare collegamenti, vivere il sociale, studiare, elaborare proposte e progetti: insomma partire da questa situazione molto viva, non per unificare tutto subito, ma per far incontrare esperienze ed energie, senza preoccupazione di risultati a breve.

Questo processo, trattandosi di cattolici, coinvolge e interessa anche la Chiesa.

Questo mi sembra un punto dolente – non basta certo un papa e tanto meno un cardinale per cambiare la chiesa: quella italiana è piuttosto ferma e mi sembra piuttosto ripiegata su sé stessa (almeno nelle parrocchie), limitata ai suoi compiti essenziali (Messa, sacramenti, dottrina), trascurando la passione per il mondo.

Ho letto casualmente, sulla Rete dei Viandanti, la relazione sul Sinodo di Brescia, città tradizionalmente industriale: a un certo momento appare una frase lapidaria di una sola riga “è quasi del tutto assente il contesto del lavoro”. Dice tutto.

A mio parere il cattolicesimo democratico ha bisogno di una chiesa viva, una chiesa aperta al mondo e che finalmente riconosca un ruolo “rilevante” ai laici.

La scarsa partecipazione di cui ci si lamenta molto oggi in politica, può trovare una risposta vera, se essa diventa una pratica presente in ogni dimensione della vita e per i cattolici indubbiamente anche nella chiesa.

 

Sandro Antoniazzi

 

 

5 Comments

  1. Tutta la riflessione di Sandro Antoniazzi è giusta e chiarissima.
    Il punto insuperabile del ragionamento è che non esiste « in Parlamento un gruppo, una forza, che rappresenti il cattolicesimo democratico », nemmeno le correnti di pensiero interne al PD, quelle intorno a persone come Enrico Letta e Dario Franceschini – pur molto vicine – perchè la Chiesa italiana non può riconoscerle « a livello pubblico… quello del Paese » mostrando di preferire queste rispetto ad altre tendenze politiche presenti fra noi cattolici italiani.
    Eppure diventa ogni giorno più evidente che è indispensabile riassemblare i democratici cattolici e laici proprio perchè questa sensibilità politica – assolutamente non confessionale – sta dimostrandosi come « una realtà diffusa, fatta da tante singole persone e piccoli gruppi, che portano avanti questo ideale in una società molecolare », ma una società che ormai sente intensamente il bisogno di ricoagulazione, di rifarsi « comunità ».
    Grandi paure che ritornano – covid, guerra, inflazione, penuria – fanno emergere questo sentimento, e il cattolicesimo democratico con la sua sensibilità politica di popolarismo (non populista, non nazionalista, ma aperto all’Europa e al mondo) può forse rispondervi meglio di tutti. Ma occore il coraggio di osar federare « esperienze locali » esistenti senza contare sulla Chiesa italiana – che non può – e procedere in modo autonomo, pur se molto vicino ad essa.
    Paolo Sartini

  2. Caro Sartini,
    dici delle cose giuste, ma non avere fretta. Chi cerca di aggregare, oggi rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano, perchè se c’è tanta sensibilità, manca invece un ampio spettro di esperienze, cultura, uomini. Non ci sono, non ci sono, non ci sono…E poi guardiamo meno al Parlamento e pensiamo di più al paese. Qui deve man mano emergere quel cattolicesimo democratico “diffuso” di cui parlo. Lavoro e pazienza è la nostra divisa oggi. Ciao. Sandro

  3. I tempi non favoriscono nessuno perché anche nei luoghi migliori di è infiltrata l’antipolitica. Non riesci più a dire ai giovani che la politica è non solo dovere ma condizione umana ovvia di chi voglia vivere tenendo a cuore valori e interessi. I “partiti” hanno ceduto ai “Movimenti”, come i “social” hanno preso il posto dell’informazione. Cattolici o non-cattolici siamo tutti “laici”: sembra solo strano che a Bologna la prima personalità “politica” è il cardinale, non il sindaco. Forse ci farà bene entrare di brutto nelle elezioni politiche che si preparano, ma bisognerà esserci tutti ad alzare il tiro

  4. Questo della presenza dei cattolici in politica è un tema di cui si disquisisce ormai da tanto tempo e non se ne viene a capo perchè siamo istintivamente legati a immagini da superare, come quelle della unità, della parte separata dalle altre, della forza che deve tendere a vincere sulle altre. Ma la fede non può denotare un partito, l’appartenenza ad una Chiesa non può separare dal mondo di chi a quella Chiesa non appartiene, io ricordo sempre l’immagine evangelica del seme che viene sotterrato per produrre frutto….i cattolici non sono portatori di un’unica idea politica che si differenzia dalle altre, che ne fa un partito, sono piuttosto portatori di una fede e di una sensibilità che deve fermentare il mondo, dovunque si trovino ad operare, compresa la politica. Il problema sta nella necessità di “essere” cristiani, di coltivare e crescere nella fede, di crescere nella capacità di essere cristiani nella politica che è amministrazione della casa di tutti. E qui probabilmente sta la carenza della nostra Chiesa che dovrebbe essere luogo di incontro fra credenti, di approfondimento della propria fede, di dialogo, di ricerca…i cattolici democratici dovrebbero incontrarsi anche in politica per aiutarsi a discernere, a interpretare la realtà alla luce della loro fede comune….per tradurre in politica quotidiana ciò che oggi dice Papa Francesco annunciando il Vangelo.

  5. Permesso che il numero dei cattolici praticanti
    sta praticamente evaporando, mi pare che attualmente si tenda a sottomettere la fede alla propria appartenenza politica.

    Prima viene il riferimento secolare scelto e poi si adatta (tramite selezione personale) il Vangelo alle indicazioni politiche del momento. Un pò in tutti gli schieramenti. Se sia un bene o un male non lo so…

Rispondi a Paolo Sartini Annulla risposta

Required fields are marked *.