PD OBBLIGATO A RIPENSARE SE STESSO

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Rompere sarebbe irresponsabile, ma Matteo ci ha messo del suo”: questa l’opinione di Pierluigi Castagnetti intervistato dall’Avvenire. Fare il congresso subito, ma arrivare alla fine della legislatura: questo il parere del filosofo Salvatore Veca, intervistato dall’Unità (“Pd obbligato a ripensare se stesso”). Marcello Sorgi su La Stampa: “Una scissione senza materia del contendere”.  La scissione della sinistra Pd ha bisogno di buoni argomenti perché possa essere capita dall’opinione pubblica, ma questi argomenti non si vedono: così anche Stefano Folli su Repubblica (“Il momento della responsabilità”). Piero Fassino: “Pierluigi e D’Alema incoerenti. La rottura un favore alla destra” (intervista al Messaggero). Salvatore Vassallo dice in che modo Renzi può riuscire a dare un senso alla scelta di tenere il congresso al Lingotto di Torino (“Da un Lingotto all’altro”, Unità).

 

 

 

 

 

 

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  1. Ho visto e sentito Roberto Speranza su La7 “Otto e mezzo” di giovedì sera, e mi sono convinto che la scissione è già decisa, manca solo l’individuazione del colpevole a cui attribuirne la responsabilità ad uso e consumo dell’opinione pubblica. Continuo a ritenere che la strada per risolvere i problemi del Paese e quelli del PD non sia quella della scissione, ma se è così, cioè di realizza la scissione e non mi importa per colpa di chi, il centro sinistra e la sinistra sono condannati all’opposizione per molti dei prossimi anni. E’ la maledizione storica della sinistra che si ripresenta ogni qual volta si rendono necessari cambiamenti di proposta e strategia politica, e porta con sé sempre e solo divisioni. E’ il più grande favore che la sinistra può fare alla destra populista e al M5S che, per molte ragioni, sono due debolezze e solo per l’ottusità del PD, di tutto il PD, diventano due forze. Dunque, non povero PD, ma povero Paese.

  2. Dice, giustamente, Michele Serra su la Repubblica di sabato 18 gennaio che l’attuale crisi del PD è del tutto incomprensibile e minaccia di certificare che “La grande speranza della sinistra post comunista, dalla Bolognina in poi, era che la morte dell’ideologia avrebbe reso più viva la politica”. Questa “narrazione” della politica non appartiene alla mia storia, ma è parte di quel processo che attraverso tappe successive (l’Ulivo, i Governi Prodi del 1996 e del 2006) ha portato quella “narrazione” e la gran parte dei “cattolici popolari”, nel 2007 alla nascita del PD che, in quanto “fusione fredda” di importanti esperienze storiche, non ha sollevato in me grande entusiasmo, ragione per la quale avevo scelto, a differenza di molti “cattolici popolari o democratici” che dir si voglia, il ruolo di spettatore attento e interessato.
    Come Serra si interroga sulla speranza tradita della sinistra post comunista, che sia altrettanto corretto e giusto che ci si interroghi sulle ragioni dell’assenza, o se si vuole della latitanza, dei “cattolici popolari o democratici”, che sembrano assistere passivamente alla corsa verso il punto di non ritorno della scissione. Non sono stato entusiasta ai tempi della nascita del PD, ma oggi sono sconcertato dal silenzio dei cattolici presenti nel PD.

  3. lettera a Sergio Staino
    da Giancarla Codrignani
    UNITA’ 18 febbraio 2017

    caro direttore, caro Staino,
    sono stata per tre legislature eletta nelle liste del Pci come indipendente. Non comunista, avevo scelto di sostenere un partito degno di governare in un paese che non aveva mai avuto alternanza di governo. La politica di Berlinguer lasciava intendere che un “partito democratico” era già una necessità storica; anche se chi stava in Parlamento si rendeva conto che, fatto salvo l’occultamento pubblico delle tensioni interne, il Segretario era amato dalla dirigenza del Pci all’incirca quanto oggi Renzi.
    Era operante la conventio ad excludendum, oggi riesumata per impulsi masochisti e autodistruttivi da una sinistra che osserva un solo postulato: non governare mai, limitarsi a dire “no” al governo, qualunque sia la qualità delle riforme proposte, soprattutto in presenza di crisi e attentati alla democrazia.
    Intanto pochi si sono accorti che, nelle trasformazioni sistemiche in corso, la selezione dei candidati reclamata dai populisti (no ai “nominati”) sfugge ormai al controllo: nessuno conosce i candidati che non fanno rumore, mentre l’esposizione mediatica indulge su calciatori, cantanti o rarissimi premi nobel, gli unici che non debbono investire somme per farsi una campagna elettorale decente. Saltando passaggi facilmente intuibili, è serio il rischio che in Parlamento finiranno i ricchi e i rappresentanti delle lobbies, oltre a qualche ex-funzionario di ex-partiti da collocare. Intanto “la più bella del mondo”, la nostra Costituzione, continua a menzionare come organi della partecipazione partiti, sindacati e cooperazione oggi esposti a incompetenze, perdita di valore e abusi, senza che in sessantanove anni di libera repubblica si sia riusciti e definirli per legge e a vincolarli alla trasparenza dei bilanci.
    Non ho più indulgenza per una sinistra che persegue la frammentazione che ha colpito perfino i radicali, nonostante l’emergenza M5S fascistoide e quella di Salvini direttamente fascista. Sono trent’anni che, in piena globalizzazione, nessuno si interroga su che cosa significhi oggi “la sinistra”. Il confronto di questi giorni è avvilente e si è dovuto sentire D’Alema evocaere l’Ulivo, forse perla memoria di Prodi (e sarebbe il terzo attentato). Al vertice del partito progressista più grande d’Europa pochi si accorgono che viviamo nel 2017, che prima di tutto siamo europei e che le elezioni francesi e olandesi potranno alterare i già precari equilibri attuali; c’è perfino qualche demente che fantastica sul recupero sovranista della moneta.
    Caro Sergio, non dico che non vorrei avere sbagliato tutto, perché non è vero. Ma non mi riesce di dimenticare l”anziana pensionata al minimo che, in un paesino della montagna emiliana, nella mia prima campagna elettorale prese la parola per dire che “se vinciamo le elezioni, troveremo le casse svuotate dalla Dc, ma pagheremo anche questa e che sia l’ultima. Io mi quoto per 10.000 lire”. Era il 1976, un anno pieno di quella speranza che è sempre difficile, perché non è mai gratis, chiede solo responsabilità, una cosa ancora di sinistra, ancora popolare per moltissima gente perbene.
    Un abbraccio affettuoso
    giancarla codrignani

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