L’orizzonte dei cattolici democratici. Un dibattito a seguito del convegno di Paestum

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Pochi giorni dopo la conclusione del recente convegno che la rete c3dem ha tenuto a Paestum su cittadinanza attiva e rinnovamento della politica nel Sud, uno dei partecipanti, Nico Fornasir, del Centro studi politici, economici e sociali “Sen. Antonio Rizzatti” (una delle associazioni della rete), ha scritto una nota che ha inviato agli amici di c3dem. Ne è nato un rapido scambio di opinioni, non tanto sul convegno quanto sul senso che oggi ha (o non ha) il riferirsi al cattolicesimo democratico. Lo scambio (di email) ha coinvolto Stefano Ceccanti, Guido Formigoni e Franco Monaco.

 

NICO FORNASIR

Il Convegno di Paestum è stata una esperienza davvero utile sul piano culturale e forte per autorevolezza ed esemplarità di persone, relatori e partecipanti; ma sono aumentate le mie preoccupazioni sul ruolo e quindi sulle prospettive della nostra Rete di associazioni che condividono il patrimonio del cattolicesimo democratico.

Esprimo la ferma convinzione che dobbiamo assolutamente decidere di fare, per la parte che ci compete e che deriva dai nostri specifici ambiti associativi, quello che è emerso a Paestum con chiarezza come il nodo strategico, e non solo per il Sud: ri-mettere in dialogo e possibile sintonia la parte dell’opinione pubblica più sensibile ed aperta ai temi della giustizia sociale (volontariato in primis, cittadinanza attiva) con la parte più attrezzata e capace di tradurre le profezie–utopie in soluzioni praticabili sul piano strettamente politico.

Parto dalla considerazione centrale che (pur nei limiti della mia capacità di lettura) ho tratto dall’intervista di Guglielmo Minervini (che non conosco) e che, stando al programma, doveva essere tra le figure di maggiore rilievo al convegno proprio su questo dialogo: quando (parlando del “sogno” pugliese e del fallimento dell’esperienza Vendola) scrive che Vendola è un ottimo politico ma non idoneo governare. (L’intervista, tratta dalla rivista “Lo straniero”, è stata pubblicata sul nostro portale, ndr)..

         Credo (e mi scuso se offendo qualcuno) che tra noi, nella Rete c3dem sia molto diffuso e profondo questo che considero un limite che, se resta tale, è in grado di rendere del tutto ininfluente e quindi inutile il nostro comune impegno, dissolvendo anche lo spessore storico–culturale e politico del cattolicesimo democratico.

Ho imparato, leggendo ed ascoltando, poi anche praticando questo faticosissimo “impegno politico”, che è imprescindibile il nesso tra politica e responsabilità, traducibile nel nesso tra la capacità di lettura e di indirizzo dell’evoluzione sociale della comunità (locale o internazionale) e la capacità conseguente di ricercare il consenso democratico per tradurle in scelte verso il bene comune.

         Ritengo questo il più grande (tra i tanti) limite della sinistra storica che adesso definiamo radicale e che, a mio parere, è difficilmente compatibile con il cattolicesimo democratico: ribadisco NON con il cattolicesimo e NON con la democrazia, ma con la cultura politica cattolico democratica.

Questa separazione tra principi ispiratori, convinzioni profonde, testimonianze esemplari e l’esercizio del potere democraticamente conferito, con tutto il (pesante) carico di mediazione che questa responsabilità comporta tra l’utopia progettuale e la concretezza della possibilità reale, quella indispensabilmente conferita dal consenso popolare, non solo è frustrante, ma è anche comoda e fuorviante, fino a provocare (per reazione) la fuga nel rifiuto della complessità del problema, nel privato, ed elettoralmente l’astensione dal voto fino al populismo.

         Ho sentito chiaramente a Paestum uno strisciante sentimento di distacco-superiorità morale nei confronti della classe politica; ho avvertito e non da adesso simpatie diffuse per la Sinistra “quella vera” (quale mi chiedo?) e perfino per il movimento 5 stelle.

         Quest’ultimo (sempre a mio parere) è proprio il contrario del cattolicesimo democratico, è ad esso incompatibile: nessuno spazio ad alcuna mediazione (pur utilizzando tutti gli strumenti offerti dal risultato storico di quanti hanno gestito tale mediazione per garantire i diritti democratici); nessuna possibile alleanza con alcuno ed in nessun luogo; nessuna forma dichiarata e riconoscibile di democrazia reale interna; opportunismo mediatico; moralismo; nessun programma politico su alcun aspetto dei complessi quanto urgenti problemi della comunità, nazionale ed internazionale.

Come si fa a riconoscersi nel cattolicesimo democratico ed apprezzare, se non aderire, al movimento di Grillo? Non sarò mai sostenitore della esclusione di persone dalla partecipazione alla rete, ma mi esprimo molto fortemente contro ipotesi di condivisione di percorsi con soggetti associativi che abbiano tali riferimenti.

Confermo al proposito la convinzione, e sprono tutti noi a farlo, della essenziale struttura della nostra rete costituita da soggetti associativi e non da singole persone (salvo ove le associazioni siano assenti).

         Se davvero la nostra “mission”, che si rafforza dopo Paestum, è il ruolo di mediatore tra società civile e politica, con particolare attenzione al mondo cattolico aperto e sinergico con quello laico, orientato al migliore e più avanzato equilibrio tra giustizia sociale e libertà personale e comunitaria, allora il primo passo  sarà di riconoscere all’impegno politico ed ai politici la dignità del loro servizio, senza pregiudizi di ordine morale.

Non vorrei proprio risentire (con amarezza) nei nostri ambienti domande davvero inconcepibili tipo “…ma tu conosci qualcuno che meriti rispetto e considerazione?”, né supponenti ed irridenti giudizi sui democristiani, espressi da nostri autorevoli amici orgogliosi della loro esperienza nel PCI e nella CGIL.

Sono sempre stato convinto che i più deboli pagano più duramente di tutti gli altri della disfunzione delle istituzioni pubbliche: la corruzione, l’inefficienza, l’esasperazione burocratica che caratterizza il pubblico nelle sue varie articolazioni costituisce di gran lunga il primario fattore di elevazione delle povertà e delle emarginazioni.

Pertanto proprio il governo delle istituzioni pubbliche resta il luogo privilegiato se si vuole essere davvero utili (o almeno molto più efficacemente utili) alla comunità ed alla sua patte più debole: quindi deve essere privilegiata la responsabilità di governo rispetto al suo semplice condizionamento stando all’opposizione o ancor peggio rifugiandosi nella testimonianza, pur apprezzabile che sia.

Ma l’esercizio della responsabilità rispetto alla comunità passa necessariamente (grazie alla durissima conquista del sistema democratico) attraverso il consenso che deriva dalla partecipazione e dal voto dei cittadini: quindi, se si vuol essere efficaci al massimo possibile per risolvere in maniera esemplare il problematico rapporto tra giustizia sociale e libertà (del quale l’Italia è una esperienza assolutamente rilevante e complessivamente molto positiva date le condizioni di partenza), occorre che la buona politica sia gestita da buoni governanti. Le due cose vanno assieme.

Chiudo con la considerazione finale che può essere anche la premessa: ha ancora senso dare voce e corpo alla cultura politica che diciamo cattolicesimo democratico?

Ho sentito autorevoli amici che lo sostengono con molta convinzione, altri con scetticismo, e altri ancora che lo ritengono un vano attaccamento ad una identità che è inutile se non si scioglie come il sale o come il lievito.

Non ho certezze, ma una consapevolezza che esce fortemente rafforzata da Paestum: sono davvero tantissimi i “cattolici” impegnati in maniera esemplare ed a tutti i livelli e in tutti i luoghi (non solo del nostro Paese, vivo a contatto con la Slovenia e la Croazia), dediti a volontariato anche di frontiera, ma che sono lontani, impermeabili, ad ogni pur minima sollecitazione all’impegno politico, anche quella minimale dei livelli iniziali in ambito territoriale o associativo-culturale. La risposta assolutamente più frequente è che “non ne vale la pena, perché è impossibile avere riscontri efficaci alle risorse non solo temporali che metti a disposizione”.

            Sono convinto che il nostro compito, quella della nostra rete, si collochi proprio in questo strategico luogo: in mezzo al guado tra la sponda del volontariato sociale (dei cattolici in particolare) e l’impegno politico “vero e proprio” nelle sue diverse espressioni.

Per far dialogare questi due mondi serve cultura politica, ovvero lo strumento essenziale per esercitare con adeguate capacità la mediazione indispensabile e la partecipazione che prepara e controlla la responsabilità del consenso. Credo anzi che la cultura cattolico democratica sia davvero l’unica rimasta sulla scena. I partiti, soprattutto quelli fondati sulle ideologie (ancora peggio quelli che si basano sul populismo), sono spariti e sono comunque destinati a sparire in pochi anni.

I partiti passano, la cultura politica resta, deve restare, anzi rafforzarsi: in questa direzione la straordinaria opportunità che il cattolicesimo del nuovo pontificato sta offrendo al mondo (oltre che all’Italia in maniera privilegiata) è soprattutto quella della indispensabile mediazione, della  sinergia, tra religione e democrazia nella evoluzione in ambito globale. Come non leggere in questo senso i recenti discorsi del Papa  nelle Americhe? Perchè il Papa davanti al Congresso ha cominciato da Lincoln?

Una proposta conclusiva, anche provocatoria: mettiamo la rete in comunicazione con gli amici “prestati” dai nostri ambienti alla politica, anche segnalando strumenti di autentica informazione-formazione quali, ad esempio, “Libertà Uguale” che, essendo parte del PD, ha una sua dichiarata identità culturale e politica che è molto vicina (pur se in altro piano-spazio) alla nostra. Perché non confrontarci davvero sui temi che stanno decidendo non poco le sorti future del nostro Paese nella sua dimensione internazionale?

Spero non si ripropongano questioni di schieramento – compromissione – sbilanciamento: ben vengano altre e diverse indicazioni “operative”, ma se davvero intendiamo essere “ponte” in mezzo al guado dobbiamo ancorarci ad entrambe le sponde, scegliendo i punti di attracco più affidabili.

Devo anche dire, per onestà intellettuale, nella mia funzione di presidente del Centro Antonio Rizzatti, che, se non condividiamo questo orizzonte, mi sentirei in grande contraddizione con l’operato dei nostri fondatori, che si sono anche aspramente divisi sia all’interno dalla DC sia tra chi stava dentro e chi fuori, ma ai quali non è mancato mai il rispetto delle rispettive scelte, perché era profondamente condiviso il comune riferimento al cattolicesimo democratico.

 

 

STEFANO CECCANTI

Caro Nico, personalmente, al di là della disponibilità personale che è sempre garantita per ragioni amicali che restano sempre forti, ritengo irreversibilmente datato questo tipo di approccio.

Riunire i cattolici da soli espone fatalmente a tre rischi:

  • sorbirsi i residuati bellici dei principi non negoziabili (ma nel nostro giro quasi non ce ne sono, per fortuna, anche se vedo riemergere qualche idea che carica troppo il ruolo del diritto come nella polemica poco sensata sull’utero in affitto all’estero);
  • sorbirsi i nostalgici della Dc rispetto a centralità e unità politica (in via di esaurimento; altra cosa un legame col cattolicesimo democratico allora presente nella Dc);
  • attingere in presa diretta a un cattolicesimo sociale sganciato da una moderna cultura liberale del limite della politica (che si acquisisce solo insieme ad altri) e di cultura di governo (idem): politica efficiente ma non invadente.

A che ci serve ad esempio riunirci come area più omogenea (in astratto) se poi scopriamo che votiamo diversamente al referendum costituzionale, che sarà la scadenza topica del 2016? O con chi pensa che la sinistra non debba essere social-liberale sui temi economici?

Tanto vale che ognuno si riunisca soprattutto con quelli con cui condivide le discriminanti dell’oggi. Insomma prendo per buona tra noi la tesi che invece Franco Monaco sostiene (per me erroneamente) per il Pd. Quello deve essere lo spazio unitario del centrosinistra, da non mettere in discussione: invece dentro ci si aggrega per discriminanti di oggi, non per provenienze.

Ciò detto, come sempre, singole cose sono sempre stimolanti, anche in iniziative per me datate.

Per questo vi leggo sempre e comunque.

 

 

GUIDO FORMIGONI

Caro Nico, il mio punto di vista è semplice: è del tutto evidente che il cattolicesimo democratico non è oggi una posizione politica.

Sono però convinto che sia ancora così definibile: una sensibilità cultural-spiritual-politica che sta a cavallo tra fede, cultura e giudizio storico. E che la sua coltivazione e il suo continuo aggiornamento siano un servizio importante per la Chiesa e la società italiana (molto prima e ben oltre che per la politica). È anche perché questa voce è stata consapevolmente combattuta e marginalizzata in un ciclo storico della Chiesa italiana che è ben evidente (e che sperabilmente dovrebbe essere alle nostre spalle), che ha preso piede una modalità sbagliata e pericolosa di concepire l’identità cristiana nel nostro paese. Che è cosa che a me sta piuttosto a cuore.

Coltivare questa sensibilità vuol dire tentare di far sì che non resti una galleria degli antenati o una semplice tradizione nominalisticamente invocata, come è successo molto spesso negli ultimi vent’anni. Non una rendita di posizione. È una sfida alla ricerca, alla applicazione di un metodo ai problemi sempre nuovi che la storia propone. E come giustamente tu sottolinei, è una sfida che sta sul cruciale nesso tra quanto si muove nella società e una possibile e doverosa mediazione politica.  Certo, è sfida aperta: ritengo normale che convivano in questo orizzonte anche opzioni diverse su singole questioni o giudizi diversi su singoli provvedimenti o personaggi. Se poi si verificasse che non ci si mette d’accordo su niente, certo qualche riflessione sarebbe da fare sull’efficacia di tale sensibilità a mordere sulla storia.

Questo e non altro comunque è il senso dell’appello al coordinamento di gruppi e associazioni che abbiamo provato a lanciare qualche anno fa.

La ricaduta di tutto ciò non è affatto chiudersi tra cattolici. E non disdegna di essere aperta a cooperazioni con chi si scopre più affine in termini cultural-politici. Anzi, è programmaticamente il contrario:

il senso della laicità è tale che la contaminazione è necessaria e sostanzialmente doverosa. Ma non credo che dimenticare le radici aiuti a collocarsi meglio in uno scenario politico che attualmente è piuttosto personalistico-pragmatistico.

 

 

FRANCO MONACO

Caro Nico,

la penso come Guido, ma apprezzo la tua provocazione: se ho inteso bene, il suo bersaglio polemico è una interpretazione nominalistica o velleitaria (entrambe sterili) del riferimento al cattolicesimo democratico. Specie un certo purismo/perfettismo diffuso in campo cattolico.

Il cattolicesimo democratico è un patrimonio (così Guido) cui si può attingere ispirazione, ma le cui forme e proiezioni politiche sono affidate a una ulteriore opera di elaborazione politico-culturale che può prendere direzioni diverse. Non tutte indifferentemente però.

Personalmente, sostengo che ciò cui noi si dà nome “cattolicesimo democratico” fa perno su tre elementi: 1) l’autonomia della politica e la laicità delle istituzioni; 2) il metodo maritainiano-lazzatiano della mediazione tra principi e prassi; 3) la tensione all’uguaglianza, la convinzione che la politica deve farsi carico soprattutto (ancorché non solo) delle condizioni di debolezza (i forti si difendono da sè).

Questo terzo elemento mi fa convinto che – quanto a posizionamento, mi esprimo in forma sbrigativa – i cattolici democratici dovrebbero connotarsi per un orientamento naturaliter di centrosinistra. Non escludo che buoni cattolici possano sposare le posizioni di una destra conservatrice … civile. Non così, mi pare, per i cattolici democratici come sopra definiti.

In questo quadro tuttavia, anche dentro il perimetro del cattolicesimo democratico, si possono dare e di fatto si danno giudizi e opzioni pratiche diverse. Per esempio – anche qui schematizzo a dismisura, evocando la storia plurale del movimento cattolico – considerando la distinzione (non la sola) tra cattolici liberali e cristiano-sociali.

Due soli esempi: le differenze di orientamento sulle politicies, specie quelle economico-sociali (trovo semplicistica e un po’ ossimorica la cifra “politiche social-liberali” con la quale Ceccanti immagina di esorcizzare concreti conflitti, di interessi e di visione); e quelle sul modello politico-istituzionale (lo si è visto nel dibattito su riforma costituzionale e legge elettorale).

Differenze che oggi attraversano lo stesso PD. Al punto da indurre me a chiedermi, in un sistema ormai multipartitico, se non sia il caso di accedere a una separazione consensuale tra anime del PD difficilmente componibili dentro un medesimo partito. Poi ci si può sempre alleare tra soggetti distinti, legati dal famoso trattino che unisca (e distingua) il centro renziano da una sinistra di governo. È solo una domanda, diciamo pure, a mia volta, una provocazione. Ma anche qualcosa di più…..

Di sicuro – ma non mi pare che tu sostenessi un tale punto di vista – è cosa buona (e irreversibile) il superamento dell’unità politica dei cattolici. Il sano pluralismo è un corollario dei punti 2) e 3) che definiscono il cattolicesimo democratico (vedi sopra). L’unità politica dei cattolici è stata storicamente necessitata e utile, ma ora sarebbe una gabbia. Il suo superamento è stato liberatorio: per la Chiesa – finalmente non più sospettata di farsi parte tre le parti politiche, con il vantaggio di esaltarne la missione evangelizzatrice universale – e per la democrazia italiana, alla cui impasse quella forzosa unità di fatto contribuiva, inibendo competizione e alternanza.

Un fraterno saluto.

 

 

STEFANO CECCANTI

Caro Franco, io non volevo esorcizzare o negare differenze. Volevo al contrario dire che solo l’ispirazione di fondo della terza via, social-liberale, permette di dare concretezza nell’oggetto a politiche efficaci per l’uguaglianza e per la coesione, non certo le ricette stataliste.

Cosa che spiega l’ottima Bibbia riformista Tonini e Morando sull’Italia dei democratici (è il titolo di un loro libro edito da Marsilio nel 2012, ndr). Per cui io non solo dissento dall’idea di separazione consensuale ma anche dall’idea per cui in tale separazione i cattodem dovrebbero finire proprio nella vecchia sinistra. Anche se, come diceva Ardigò con alcune battute spiritose, il cattolicesimo è spesso attratto dalle forme di modernità che invecchiando diventano tradizionali e rassicuranti.

 

 

 

 

 

One Comment

  1. Sono anch’io d’ accordo che il cattolicesimo democratico non è oggi l’etichetta di un partito: è insieme di più e di meno. E’ l eredità tutt’altro che irrilevante, di una stagione di elaborazione e riflessioni specifiche proprie- a partire dal radicamento dal basso nei comuni dell’idea di cittadinanza e dunque delle autonomie locali, al governo pacifico e mai definitivo dei conflitti sociali, all’obiettivo di fondo di costruzione della pace, insieme con l’ accettazione del pluralismo ideale e della libertà delle coscienze, di una pressione ideale che è stata anche partito, prima col PPI, e poi come componente determinante ma non sempre maggioritaria nella DC.
    Oggi si può onestamente dire che il suo patrimonio ideale è componente irrinunciabile di ogni ipotesi ideale di partito democratico schierato davvero per la costruzione di libertà e eguaglianze, ma non è più ideologia separata e autosufficiente, perennemente univoca rispetto ad ogni stimolo politico concreto, ma chiamata a misurarsi nel concreto delle scelte con il dovere di costruire maggioranze politiche coerenti di fronte ai problemi del momento. Questo non significa che l’esperienza di fede sia un di più irrilevante nella elaborazione efficace di ipotesi di governo o di opposizione coerente; significa che la misura della sua politicità efficace e praticabile non si misura sulla coerenza della fede. E che la rilevanza storica della elaborazione e delle forme di presenza della Chiesa si possano e debbano misurare sulla politica attiva, sull’esercizio del potere. Si misurano sulle coscienze e la loro formazione. Ma resta lecito, a chi è venuto da lì, da quella storia, definirsi cattolico democratico a mò di identificazione personale, perché non si tratta di una eredità storica irrilevante. Paola Gaiotti

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