L’Italia e l’Europa: due sfide per ripartire davvero

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L’avvio del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Ue sta giustamente monopolizzando l’attenzione. La discussione verte però su un punto che non mi pare possa essere considerato esaustivo: quello della flessibilità contrapposta alla rigidità nel gestire gli effetti dei trattati (dai parametri sul deficit al fiscal compact). E’ naturalmente un punto importante e bene ha fatto Renzi a impostare una trattativa con la Germania sul merito della questione. E’ rilevante il suo (parziale) successo, che si intravede dai documenti del vertice europeo dell’altra settimana, perché dà una (piccola) boccata d’ossigeno ai conti pubblici italiani, come di altri paesi in sofferenza nell’uscire dal tunnel della crisi. E’ una prima significativa correzione del mantra dell’austerità, che ormai quasi tutti capiscono rischia di divenire suicida in Europa, a fronte della disinvoltura monetaria americana e dei cospicui margini di manovra concessi dalla bilancia dei pagamenti cinese.

Mancano però all’appello della discussione pubblica (speriamo non delle trattative riservate tra governi), almeno altri due punti. Il primo è quello delle risorse pubbliche fresche ed aggiuntive che l’Unione europea può e deve immettere nel circuito economico, se si vuole veramente tentare di uscire dalla crisi. La premessa fondamentale è stato il salvataggio dell’euro operato dalla Bce, ma ora dovrebbe iniziare il bello. Per rilanciare l’occupazione, il mercato infatti non sembra bastare. La liquidità immessa nel sistema bancario non finisce a impegni produttivi. Ci vuole uno straordinario piano di interventi innovativi, che l’Unione potrebbe finanziare raccogliendo denaro sul mercato dei capitali, in tempi di tassi irrisori. Non si parla di socializzare tutti i debiti europei (cosa che farebbe subito rizzare i capelli dei falchi tedeschi). Occorrerebbe molto di meno, ma tuttavia una cosa molto significativa: accendere debiti europei (project bond o simili), per creare un fondo di sviluppo che possa cofinanziare progetti (pubblici e privati) precisamente orientati a un piano straordinario di innovazioni attentamente selezionate. Non è che ci si possa permettere di aprir buche e richiuderle: occorre mirare alle grandi sfide di un’economia sostenibile e socialmente orientata. Ma le risorse per questo grande disegno, questo vero e proprio new deal, solo l’Europa le può mettere in campo: i singoli stati, anche con tutti i margini di flessibilità che si possono immaginare, hanno ormai strumenti spuntati.

La seconda grande questione sarebbe il rilancio (accompagnato da una manutenzione opportuna) dello Stato sociale europeo. Il Consiglio europeo di ottobre 2014 è già stato programmato su questi temi, e quindi la presidenza italiana può e deve svolgere un ruolo importante nel prepararlo adeguatamente. Si tratta di vincere le resistenze che ci sono e immaginare a livello europeo una riaffermazione di quella «quadratura del cerchio» tra libertà personale, dinamicità economica e protezione sociale che il mondo ci invidia. Individuando le sfide e anche le risposte. Il settore sociale è uno dei pochi settori che può rilanciare l’occupazione, se non è considerato come residuale, un semplice costo per l’efficienza del mercato. Deve essere invece considerato il vero elemento di bilanciamento per realizzare una società moderna ed equa, con un grande rilancio della consapevolezza e dell’investimento di tutta Europa. Su queste sfide vorremmo che l’opinione pubblica discutesse di più e siamo convinti che il governo italiano possa giocare fino in fondo la sua parte, innovativa e ricca di speranza.

 

Guido Formigoni

 

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  1. Ieri sulle riforme costituzionali si è tenuto un altro convegno di protesta nei confronti delle riforme costituzionali. Dalle informazioni raccolte mi sembra che dalle tante cose giuste dette manchi una ricerca a monte: per il futuro ormai a breve termine (se non è a breve diventerà fallimento), come ci prepariamo a una democrazia in cui la rappresentatività (Camera e Senato, facciamo un riscontro p.es. con gli Usa) ha un nuovo centro (l’Europa) mentre l’Italia (oppure Oregon, California) restinterna al sistema generale. I circuiti della mente dei politici (ma non solo) si predispongono a pensare che il Parlamento italiano diventerà analogo a ciò che oggi è il Parlamento dell’Emilia-Romagna? I contrasti con la Merkel sono in realtà quelli di una Regione istituzionalmente competente rispetto alla Campania in materia di fondi europei.
    Mi sembra che non ci sia questa disposizione (nuova ?) del pensiero….
    Giancarla Codrignani

    • D’accordo con Guido. Vorrei sottolineare il fatto che si tratta di agire in coerenza con quanto stabilito nell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno: il “Patto europeo per la crescita e l’occupazione” che prevede investimenti nelle infrastrutture in settori chiave quali i trasporti, l’energia, le telecomunicazioni, l’istruzione e la ricerca. L’ha ricordato Romano Prodi in un suo recente articolo.
      Inoltre è stato deciso di avviare la fase pilota dell’iniziativa sui prestiti obbligazionari per il finanziamento di questi progetti, col contributo della Bei (Banca europea degli investimenti) e della Bce. L’auspicio è che i contraddittori risultati elettorali possano stimolare il nuovo gruppo dirigente dell’Unione Europea a ripensare in grande, sull’esempio dei padri fondatori, sull’esempio del Piano Delors.
      Salvatore Vento

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