Lavoro e povertà

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Quando il movimento sindacale è nato, ai tempi della prima rivoluzione industriale, i lavoratori erano tutti poveri.

Anni dopo, al Congresso mondiale di Beneficienza, svoltosi a Milano nel 1890, si censivano nella città circa 20.000 operai, che venivano catalogati globalmente tra i poveri.

E per venire a tempi più recenti, quando sono entrato nel sindacato nel 1958, l’impegno sociale era l’impegno nella classe operaia.

Invece da qualche decennio oramai quando si parla di “sociale” ci si riferisce alle più diverse categorie bisognose, ma nessuno ha in mente i lavoratori.

I lavoratori in questo dopoguerra hanno man mano migliorato i loro salari e il loro tenore di vita raggiungendo spesso, almeno per un largo strato della popolazione, una condizione di benessere; quando si parla di società del certamente non ci si riferisce solo ai ricchi, ma anche a una larga fascia di che godono di una condizione economica soddisfacente.

Nel sindacato americano  si parla esplicitamente dei lavoratori come appartenenti alla classe media.

Si è così formata una dicotomia, una vera e propria frattura tra  i lavoratori inseriti e garantiti e i poveri e i bisognosi.

Ben diversa è la realtà, il funzionamento e l’approccio verso questi due mondi: per i lavoratori esistono solide organizzazioni che si preoccupano di difenderne gli interessi, per i poveri vigono le leggi di sostegno, le opere sociali, la carità.

Nel primo caso si tratta di auto-organizzazione, nel secondo si tratta dell’iniziativa di enti pubblici e privati verso i bisognosi.

Da una parte i garantiti, dall’altra gli assistiti.

Considerare i poveri come persone che hanno (solo) bisogno di aiuto (dall’alto, da altri) è profondamente sbagliato, come è sbagliata un’azione del movimento dei lavoratori che si chiudesse nella difesa di coloro che un’occupazione e un salario ce l’hanno già.

Questa frattura è esiziale per le sorti del mondo sociale e per tutte le persone che ne fanno parte.

La questione emerge in modo prorompente a livello mondiale: su circa 3,5 miliardi di lavoratori, solo 1,5 miliardi hanno qualche forma di contratto o di protezione, gli altri 2 miliardi sono lavoratori “informali”, in sostanza poveri.

Se si pensa a quanto è forte la squadra “liberista” a livello mondiale (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, finanza internazionale, multinazionali, ecc…), fa impressione l’assenza pressoché totale della squadra “sociale”.

La squadra sociale a livello mondiale è inesistente: la condizione prima della sua esistenza è superare la frattura tra questi due grandi mondi sociali, i lavoratori e i poveri, per ristabilire una prospettiva comune.

E’ giusto interessarsi dei poveri ed è giusto interessarsi dei lavoratori, ma è sbagliato farlo in una prospettiva che non sia inclusiva e unitaria tra i due.

L’immigrazione, imponente e inarrestabile, da una parte e la crescita dei lavoratori poveri stanno mischiando le carte e  ci avvertono dell’urgenza di  assumere una visione diversa.

Non è solo un enorme problema di giustizia; è anche il problema primo della possibilità di una convivenza civile e democratica, tanto nel nostro paese come a livello globale.

I cattolici sociali, liberandosi un poco da tante tradizioni pauperistiche/assistenziali e dal quietismo indotto dallo stare bene, hanno di fronte un decisivo  campo di impegno ideale e di azione per la prossima epoca.

 

Sandro Antoniazzi

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  1. E’ possibile utilizzare articoli, come questo di Antoniazzi per altri periodici? Per esempio il nostro “Il Momento” della diocesi di Forlì-Bertinoro? Grazie, d.Franco Appi

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