La sinistra, la classe lavoratrice, il popolo

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Una volta i partiti di sinistra erano partiti di lavoratori, anzi, meglio, partiti operai (…) Non è possibile ridare voce al popolo finché il meccanismo dominante rimane un meccanismo che lascia il popolo relegato al basso e non lo fa partecipe di un processo circolare dove alto e basso si incontrano e si uniscono in un orizzonte comune

 

 

 

Una volta i partiti di sinistra erano partiti di lavoratori, anzi, meglio, partiti operai.

A Milano, a fine Ottocento, esisteva un Partito Operaio, cui potevano aderire esclusivamente gli operai (altri tempi!).

Non è più così.  Come illustra Thomas Piketty, nel suo libro “Capitale e ideologia”, in tutto l’Occidente si assiste al medesimo fenomeno: i partiti di sinistra ricevono i loro voti dal “ceto medio riflessivo”, mentre gli strati popolari in maggioranza votano la destra.

I partiti di sinistra, che sono oggi privi della base sociale di un tempo, si rivolgono agli elettori soprattutto attraverso i mass media.

E, non essendo più un partito di lavoratori, cercano però di supplire a questa carenza interessandosi del problema del lavoro: leggi, iniziative, proposte rivolte ad affrontare le diverse questioni che il mondo del lavoro costantemente presenta.

Ma sia l’uso, certamente indispensabile, dei mass media, sia l’impegno per una politica del lavoro, al di là dei contenuti, si presentano come dei processi unidirezionali, top-down, dall’alto in basso, dai dirigenti ai diretti, dai proponenti ai ricevitori.

La televisione, il mezzo ancora più sfruttato, costituisce il modello plastico di questo procedimento: una persona o delle persone parlano dallo schermo e milioni di persone stanno ad ascoltare, senza possibilità di interloquire.

In altri casi il rapporto è più sfumato, ma la sostanza non cambia: in mancanza della base sociale, il rapporto sostanziale che si crea è quello tra dirigenti e diretti, un rapporto top-down, che presenta una frattura, un distacco permanente tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra, a prescindere dalle volontà individuali (il modo con cui si sono realizzate le liste elettorali e scelti i candidati è un esempio lampante a riguardo).

Quando il partito aveva una base sociale le cose funzionavano in un modo diverso: esisteva uno stretto rapporto tra capi funzionari militanti base, per cui si può dire che la medesima “cultura”, lo stesso modo di vedere e giudicare le cose, passava attraverso l’intera struttura.

Non solo top-down, dall’alto in basso, ma anche viceversa bottom-up, dal basso verso l’alto, in modo da formare un sistema circolare, una cultura che riceveva stimoli sia dall’alto che dal basso, diventando così una cosa comune e viva.

Questo processo si è interrotto; ma continuando a procedere come se niente fosse non si fa altro che rafforzare il rapporto dall’alto in basso e scavare una frattura sempre più profonda.

Questo problema è di tale rilievo che dovrebbe costituire per il PD il tema di un congresso “fondamentale” (sul modello di quello svolto dalla socialdemocrazia tedesca nel 1959 a Bad Godesberg) per analizzare la possibilità di assumere un orientamento diverso.

Per quanto riguarda il lavoro è evidente l’inadeguatezza di un approccio che guarda al mondo del lavoro come se si avesse di fronte una miriade di singoli individui isolati invece di vederli collettivamente come una classe lavoratrice, un popolo.

Pertanto, occorre essere in grado di avanzare proposte che li veda come soggetti, protagonisti, parte attiva di un processo di miglioramento tanto della loro condizione quanto di elevazione di sé stessi.

Nel campo del lavoro, perché. dopo cinquant’anni dalla realizzazione dello Statuto dei Lavoratori, con cui si è conquistata la difesa dei diritti dei lavoratori in fabbrica, oggi il PD, le forze di sinistra, i sindacati non lanciano una proposta di “democrazia e partecipazione” nelle imprese come nuovo traguardo di civiltà per l’intero paese, da realizzare nel prossimo futuro?

Si tratterebbe di un grande obiettivo collettivo su cui tutti, strutture, associazioni, circoli, imprese, persone sarebbero coinvolte in un grande processo di trasformazione.

E’ un esempio, ma indica la strada da intraprendere.

Ampliando il discorso, se intendiamo veramente riportare al centro dell’iniziativa il popolo, allora il passo da fare è questo: superare ovunque possibile il meccanismo top-down, alto/basso, che non è solo un freno, ma un vero impedimento alla possibilità di espressione delle capacità personali di tanti e delle potenzialità collettive latenti.

Non è possibile ridare voce al popolo finché il meccanismo dominante – non solo nelle strutture (es. le imprese) e nella cultura (altro settore strategico da affrontare), ma anche nelle associazioni popolari e di sinistra – rimane un meccanismo top-down che lascia il popolo relegato al basso e non lo fa partecipe di un processo circolare dove alto e basso si incontrano e si uniscono in un orizzonte comune.

 

Sandro Antoniazzi

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