La politica tra vecchio e nuovo

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Giunge, ormai inaspettato ma certo gradito, il contributo che Franco Monaco aveva preparato per il Convegno di c3dem del 30 novembre scorso a Bologna sul vecchio e il nuovo nella crisi globale, ma che per ragioni di tempo non aveva poi presentato. Un utilissimo punto di vista, e un pro memoria, per tenere aperta la riflessione e la ricerca nell’anno che viene

 

Giuseppe Lazzati, che fu mio maestro, amava la massima di S. Ambrogio “nova semper quaerere et parta custodire”, cercare sempre cose nuove e custodire quelle antiche e valide. Un saggio equilibrio, un appello al discernimento, certo. Ma l’accento cade sulla confidente apertura al nuovo. Del resto, Lazzati e, prima di lui, S. Ambrogio erano cristiani autentici e un vero cristiano, fedele al Vangelo, che è notizia buona e nuova, non può che essere disponibile e aperto alle novità della vita e della storia.

Ispirandomi a tale disposizione interiore e applicando la polarità vecchio-nuovo alla politica dei nostri giorni, abbozzo una sorta di censimento di ciò che, ai miei occhi, va ascritto sotto la voce “vecchio e valido” e, a seguire, “nuovo e buono”. Eccone un sommario indice suggeritomi dalla mia sensibilità assolutamente soggettiva.

Alla scuola di Dossetti, mi sentirei di inscrivere tra ciò che va accuratamente custodito i “valori transtemporali” caratteristici dell’universale umano, che trascendono i cicli storici: è il caso dei principi e valori costituzionali, fissati in un preciso tempo storico e tuttavia trascendenti. Così pure, terrei fermo un metodo proprio del pensiero e dell’azione politica cristianamente ispirati: quello della mediazione tra principi e prassi, cara alla scuola maritainiano-lazzatiana. Infine, giusto perché le sacrosante distinzioni, tomistiche ancor prima che maritainiane, non degenerino in separazione, vanno custoditi i “nessi necessari”. Esemplifico: il nesso tra morale e politica, contro il machiavellismo, compreso quello di settori cattolici che esorcizzano la questione morale bollandola come vieto moralismo; il nesso tra cultura e politica, contro la deriva prassista e leaderista e contro una certa corriva polemica antiideologica che si spinge sino a misconoscere l’esigenza di una visione e di una progettualità; il nesso tra politica e società nelle sue espressioni organizzate, che è cosa diversa da una indistinta opinione pubblica della quale stimolare l’emozione e non la ragione; il nesso tra politica e comunicazione, ove però la ossessiva ricerca del consenso e le tecniche di persuasione non sacrifichino la verità e la responsabilità dell’offerta politica; il nesso tra politica e fattore tempo, contro lo schiacciamento della prima sulla pretesa di incassare subito risultati e consenso. Infine il nesso tra l’innegabile esigenza di un riordino e aggiornamento costituzionale e la fedeltà sostanziale a ispirazione e impianto della Carta fondamentale. Un nesso che preservi la sostanza del costituzionalismo democratico, nei suoi due profili, liberale e sociale. Il costituzionalismo liberale, cioè le regole e le garanzie del cittadino e delle minoranze contro la “dittatura delle maggioranza”, tanto caro all’ultimo Dossetti, comprensibilmente allarmato per le derive autocratiche e populiste dell’incipiente forza-leghismo. Il costituzionalismo sociale consapevole dell’indissociabilità dei diritti di cittadinanza, compresi i diritti sociali a cominciare dal diritto al lavoro. Se, in parlamento, si fosse seguita la via maestra del 138 anziché avventurarsi in deroghe ad esso, oggi nel processo riformatore (mirato e circoscritto a ciò su cui è maturo e ampio il consenso, essenzialmente il bicameralismo) saremmo già a metà percorso ….

E veniamo alle novità buone da apprezzare e da fare lievitare, ove necessario correggendo e riorientando. Diciamo pure il portato da non rigettare del secondo tempo della Repubblica. Intanto, per il cattolicesimo politico, la conquista del pluralismo interno, l’abbandono di una forzosa e innaturale unità. Un bene sia per la Chiesa che per la democrazia italiana. Un approdo liberatorio per il cattolicesimo democratico. Così pure non va rigettata la democrazia competitiva e dell’alternanza, che è la dinamica e la regola delle democrazie mature, e anche una ben intesa democrazia governante. Ancora: salvo intendersi sull’idea-concetto di ideologia, penso sia da apprezzare l’approdo a partiti post o interideologici, non espressione di una sola visione del mondo, nei quali la convergenza si produca su un progetto di società e su conseguenti programmi d’azione. Così pure non dobbiamo rimuovere la memoria del limite cui era giunta la crisi della classica forma partito agli inizi anni novanta: non è necessario spingersi sino a ridurre i partiti a supporto elettorale del leader per riconoscere tuttavia che abbiamo bisogno di ideare e sperimentare partiti veri ma anche nuovi, sincronizzati con le nuove forme (intermittenti, discontinue) della partecipazione. L’idea delle primarie matura di lì.

Naturalmente, io sono condizionato dalla mia personale vicenda politica, ma ho l’impressione che l’esperienza (interrotta) dell’Ulivo sia stata la più avanzata nel proposito di coniugare positivamente vecchio e nuovo, tradizione e innovazione, peculiarità storica italiana e assimilazione alle democrazie europee. E che il PD, che avrebbe dovuto rappresentare la realizzazione e il compimento dell’Ulivo, per paradosso, in realtà, abbia fatto segnare un arretramento sotto più di un profilo rispetto all’Ulivo: nel rapporto tra politica e società, in una formula che unisca cittadini-partito-coalizione, nella sintesi-superamento delle tradizioni politiche riformiste, nella tensione al superamento delle stesse famiglie politiche europee e, per stare al nostro punto di vista, nel positivo protagonismo del cattolicesimo democratico decisamente più visibile nell’Ulivo che non nel PD. Di qui – mi si consenta la confidenza – il mio senso di relativa estraneità alle primarie in corso per la sua leadership. Ho fissato tale mia distanza in uno slogan sbarazzino: né lib né lab ma dem nel solco dell’Ulivo. A dire che i due principali candidati, Renzi e Cuperlo, per essere generosi, rispondono appunto rispettivamente a un profilo liberale e a uno laburista, ma manca un candidato genuinamente democratico. Che scommetta cioè sulla originalità e sulla novità dell’idea e del pensiero democratico, che faccia suo il portato buono delle altre culture politiche, ma che anche le trascenda, esprimendone appunto una nuova e valida.

 

Franco Monaco

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  1. Caro Franco Monaco, è difficile, oggi come oggi in questo PD, che ci sia un leader democratico come tu lo hai delineato e che noi sappiamo bene può venire soltanto da una esperienza e percorso formativo autentico del cattolicesimo democratico, che abbia penetrato profondamento la completezza etica e culturale della nostra Costituzione. L’etica autentica politica e pubblica, appartiene a quei cattolici formatisi ai principi evangelici, al Concilio Vaticano II e che vive la laicità della fede e “cammina” con la chiesa e nella chiesa (laici nella chiesa, cristiani nel mondo). Questo PD è nato storto! Va demolito e ricostruito in altre forme, che non siano quelle dell’assuefazione alle mode, al sistema imperante del consumismo, alla formalità dei benpensanti, all’0mologazione delle correnti di pensiero dei quotidiani più letti. Il PD oggi è tutto questo ed altro! Noi cattolici democratici del “pre-politico”, delle associazioni abbiamo un progetto di società che è molto vicino ad altre associazioni e movimenti della società civile, compreso il Mov5s. Sono d’accordo con te, né lib né lab. Per questo non ho votato a queste primarie. Questo partito è ormai segnato dal declino. Basti ascoltare le argomentazioni e gli interventi di Renzi e della sua segreteria, per rendersi conto delle contraddizioni, della povertà di idee, di una ripetizione di gesti e pensieri da apparato, dell’interessato “spirito di parte” che caratterizza la loro espressione politica. Cominciamo a pensare seriamente a nuove forme e soggetto di aggregazione politica, i tempi sono maturi.

    Antonio Conte (Coordinatore in Puglia di Agire Politicamente)

  2. La provocazione di Conte andrebbe raccolta. Il PD, così come sembra continuare a prefigurarsi, sembra sempre più, inevitabilmente, (anche con Renzi leader) alla prosecuzione della politica di sinistra. Il discorso partecipativo vero, il pluralismo politico/culturale, le articolazioni sociali e le autonomie locali ed economiche, una visione di Europa sociale, il personalismo comunitario, una socialità basata sul solidarismo sussidiario, meno allineamento al pensiero ‘liberal’ civile e liberale economico (tornando allo spirito originario delle culture popolari fondanti e non quello che si basa sul “PIL” o sullo “spread” soprattutto per quanto riguarda il lavoro e i diritti di chi lavora), sono tutti argomenti su cui ricostruire un soggetto politico che sia veramente rappresentativo delle sensibilità anche di chi guarda al Concilio e pensa ad un sistema parlamentare. Mentre oggi le riforme sembra si vogliano realizzare per sistemi più presidenzialisti o plebiscitari, con meno regole a tutti i livelli. Ma soprattutto anche in Europa non deve essere la semplice adesione al PSE. Un Partito Democratico deve avere l’ambizione di costruire una cosa nuova (insieme ai socialisti, certo! ma non solo) che richiami anche culture e sensibilità diverse

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