La mia verità sul referendum

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Riceviamo e pubblichiamo, per il suo indubbio interesse e per la stima dell’autore, il discorso da lui tenuto il 16/09/2016 a Messina nel Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO, e replicato il giorno successivo a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì. Il titolo originario dell’intervento era “La verità sul referendum”.

Riportiamo di seguito anche il commento a caldo che Tati Sgarlata, portavoce del gruppo “Siracusa Resiliente”, ha fatto a conclusione del dibattito tenutosi a Siracusa il 17 settembre 2016.

 

 

Cari amici,

poichè ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose. Non sarebbe necessario essere qui per dirvi come sono andate le cose, se noi ci trovassimo in una situazione normale. Ma se guardiamo quello che accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è affatto normale. Che cosa infatti sta succedendo?

Succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di Siracusa dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel mondo alla ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno. Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni.

E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.

E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra; in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio.

E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.

Fallisce il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della terra, che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo, non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non sanno che fare per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che fare per evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra, e l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania.

E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i senatori dai consigli regionali.

E ancora: l’Italia è a crescita zero, la disoccupazione giovanile a luglio è al 39 per cento, il lavoro è precario, i licenziamenti nel secondo trimestre sono aumentati del 7,4 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo 221.186 persone, i poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone.

E l’Italia che fa? Fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona.

Ma si dice: ce lo chiede l’Europa. Ma se è questo che ci chiede l’Europa vuol dire proprio che l’istituzione europea ha completamente perduto non solo ogni residuo del sogno delle origini ma anche ogni senso della realtà e dei suoi stessi interessi vitali.

Ma se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così.

 

La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere

 

E’ venuto dunque il momento di dire la verità sul referendum. La verità è rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle cose esistenti e crea una situazione nuova.

Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato, il kair s non è stato afferrato al volo e la verità non è più utile a salvarci.

Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto  incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco.

Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo e oggi non rischieremmo l’elezione di Trump in America.

Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata.

Dunque la verità del referendum va conosciuta finché si è in tempo.

Ma la verità del referendum non è quella che ci viene raccontata. Ci dicono per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio sui costi della politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai poveri. Ma così non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il cui compito è di verificare la certezza e l’affidabilità dei conti pubblici, il risparmio si ridurrebbe a cinquantotto milioni che si otterrebbero togliendo la paga ai senatori, mentre resterebbe il costo del Senato, e i poveri non c’entrano niente.

L’altra virtù del referendum sarebbe il risparmio sui tempi della politica. Ci dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi tra Camera e Senato. Ma così non è. In realtà si allungano i tempi della produzione legislativa; infatti si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere: 1) le leggi sempre bicamerali, Camera e Senato, come le leggi costituzionali, elettorali e di interesse europeo; 2) le leggi fatte dalla sola Camera che entro dieci giorni possono essere richiamate dal Senato; 3) le leggi che invadono la competenza regionale che il Senato deve entro dieci giorni prendere in esame; 4) le leggi di bilancio che devono sempre essere esaminate dal Senato che ha quindici giorni per proporre delle modifiche; 5) le leggi che il Senato può chiedere alla Camera di esaminare entro sei mesi; 6) le leggi di conversione dei decreti legge che hanno scadenze e tempi convulsi se richiamate e discusse anche dal Senato. Ciò crea un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze il cui conflitto dovrebbe essere risolto d’intesa tra gli stessi presidenti delle due Camere che configgono tra loro.

Ci dicono poi che col referendum si assicura la stabilità politica, e almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde il referendum Renzi se ne va. Ma queste non sono le verità del referendum. Finché si resta a questo la verità del referendum non viene fuori.

 

Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum

 

La verità del referendum sta dietro di esso, è la verità nascosta che esso rivela: il referendum  infatti non è solo un fatto produttore di effetti politici, è un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è. È uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco. Il referendum come cunto de li cunti, potremmo dire in Sicilia, il racconto dei racconti, come togliere il velo del tempio per vedere quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o l’idolo. Il referendum come rivelatore dello stato del mondo.

Ora, per trovare la verità nascosta del referendum, il suo vero movente, la sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli indizi, come si fa per ogni giallo.

Il primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia, all’inizio aveva detto che questa era la sua vera  impresa, che su questo si giocava il suo destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che lui non è la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa riforma su suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente Napolitano; ma è chiaro che non c’è solo Napolitano. Prima

ancora di Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che in un documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, aveva indicato quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere.

Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il Financial Times ed il Wall Street Journal, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia viene il NO, gli investimenti se ne vanno.

Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo. Delle due Camere di fatto è rimasta una sola, come a dire: cominciamo con una, poi si vedrà. Il Senato lo hanno fatto così brutto deforme e improbabile, che hanno costretto anche i fautori del Senato a dire che se deve essere così, è meglio toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche padrone del calendario dei lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i conti con quello che resta del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da un solo partito. La legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo partito avrà  –  quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo turno o al ballottaggio  –  la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340 deputati su 615). Il problema della fiducia si riduce così ad un rapporto tra il capo del governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto la legge della disciplina di partito. Quindi non sarà più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia, sarà per così dire un atto interno di partito, che addirittura può ridursi al rapporto tra un partito e il suo segretario.

Per quanto riguarda le altre richieste dei poteri economici, i diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il rapporto tra Stato e Regioni ha subito un rovesciamento, perché dall’ubriacatura regionalista si ritorna a un centralismo illimitato, mentre, assieme alla riduzione del pluralismo politico, ci sono delle procedure che renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere.

Questo è il disegno di un’altra Costituzione. La storia delle Costituzioni è la storia di una progressiva limitazione del potere perché le libertà dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere assoluto e incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei Parlamenti e garantito dal costante controllo democratico dei cittadini. E’ questo che ora viene smontato, per cui possiamo dire che la democrazia in Italia diventa ad alto rischio.

Ma a questo punto è chiaro che quello che conta non è più Renzi, ed è chiaro che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno detto di tirarsi indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi, interessa che non vinca il no alla riforma.

Il secondo indizio è il ritardo della data della convocazione, che non è stata ancora fissata dal governo;  ciò vuol dire che la partita è troppo importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva fare Renzi, mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative sono stati inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles Gloriosus e più preparazione. E occorreva alzare il livello dello  scontro, e soprattutto ci voleva il riarmo prima che si giungesse allo scontro finale. Il riarmo per acquisire la superiorità sul terreno era l’acquisto del controllo totale dell’informazione, non solo i giornali, di fatto già posseduti, ma radio e TV, ciò che è stato fatto in piena estate con le nomine alla RAI.

Se davvero si trattava di scorciare i tempi e distribuire un po’ di sussidi ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale dell’informazione.

Inoltre bisognava distruggere il principale avversario e fautore politico del No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco spietato e incessante alla Raggi. E poi ci volevano i tempi supplementari per distribuire un po’ di soldi con la legge finanziaria.

C’è poi un terzo indizio. Interrogato sul suo voto, Prodi dice: non mi pronunzio perché se no turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo.

 

Lo spartiacque non è stato l’11 settembre

 

A questo punto è necessario sapere come sono andate le cose.

Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato ricorrendone l’anniversario in questi giorni.

Il mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno detto così. Ma il mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo spaventoso della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre ha mostrato invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo deciso di costruire dieci anni prima.

Nel 1991, con dieci anni di anticipo sulla sua fine, fu da noi chiuso il Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò  “Il secolo breve”[1] e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo, tanto è vero che un economista famoso lo definì come la “fine della storia”[2].

Quello che avevamo fatto dieci anni prima dell’11 settembre è che avevamo deciso di rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra; avevamo deciso di rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie trasformando il capitalismo da cultura a natura, promuovendolo da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza; avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati, avevamo deciso di sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista.

La scelta decisiva, che non si può chiamare rivoluzionaria perché non fu una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu una scelta restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la politica e armare l’economia, ma non in un solo Paese, bensì in tutto il mondo. Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due blocchi politici e militari, eguali e contrari, l’orizzonte di questo regime fu la globalità, la mondialisation come dicono i francesi, si stabilì un regime di globalità esteso a tutta la terra.

Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è promulgata, per così dire questa scelta?

C’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore. Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della civiltà c’è il delitto fondatore dell’uccisione della vittima innocente, ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali.

Secondo Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà.

Secondo Freud all’origine della società civile c’è il delitto fondatore dell’uccisione del padre.

Se poi si va a guardare la storia si trovano molti delitti fondatori. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”, l’uccisione di Moro è il delitto fondatore dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari.

Ebbene il delitto fondatore dell’attuale regime del capitalismo globale fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e un’economia che uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.

 

La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di Difesa

 

È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale.

E noi possiamo ricordare come sono andate le cose a partire dal nostro osservatorio italiano Non è un punto di osservazione periferico, perché l’Italia era una componente essenziale del sistema atlantico e dell’Occidente, ma era anche il Paese più ingenuo e più loquace, sicché spifferava alla luce del sole quello che gli altri architettavano in segreto.

Questa è la ragione per cui posso raccontarvi come sono andate le cose, a partire da una data precisa. E questa data precisa è quella del 26 novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene alla Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di Difesa.

Perché c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa? Perché la difesa com’era stata organizzata in funzione del nemico sovietico, che non c’era più, era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il modello di difesa che era scritto nella Costituzione era molto semplice e stava  in poche righe: la guerra era ripudiata, la difesa della Patria, intesa come territorio e come popolo, era un sacro dovere dei cittadini. A questo fine era stabilito il servizio militare obbligatorio che dava luogo a un esercito di leva permanente, diviso nelle tre Forze Armate tradizionali. Le norme di principio sulla disciplina militare dell’11 luglio 1978 definivano poi i tre compiti delle Forze Armate. Il primo era la difesa dell’integrità del territorio, il secondo la difesa delle istituzioni democratiche e il terzo l’intervento di supporto nelle calamità naturali. Non c’erano altri compiti per le FF.AA. La difesa del territorio comportava soprattutto lo schieramento dell’esercito sulla soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella partecipazione alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia delle armi nucleari.

Con la soppressione del muro di Berlino e la fine della guerra fredda tutto cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine orientale, la minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene meno. Ci sarebbe la grande occasione per costruire un mondo nuovo, si parla di un dividendo della pace che sono tutti i soldi risparmiati dagli Stati per le armi, con cui si può provvedere allo sviluppo e al progresso di tutti i popoli del mondo; servono meno soldati e anche la durata della ferma di leva può diventare più breve.

Ma l’Occidente fa un’altra scelta; si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO, individua il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’ONU e anche di cambiare gli ideali della comunità internazionale che erano la sicurezza e la pace. Viene scelto un altro obiettivo: finita la guerra fredda, c’è un altro scopo adottato dalle società industrializzate, spiegherà il nuovo “modello” italiano, ed è quello di “mantenere e accrescere il loro progresso sociale e il benessere materiale perseguendo nuovi e più promettenti obiettivi economici, basati anche sulla certezza della disponibilità di materie prime”. Di conseguenza, si afferma, si aprirà sempre più la forbice tra Nord e Sud del mondo, anche perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto della nuova concorrenza tra l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla contrapposizione Est-Ovest si sostituisce quella Nord-Sud.

Tutto questo precipita nel nuovo modello di difesa italiano, è scritto in un documento di duecentocinquanta pagine e il ministro Rognoni, papale papale, lo viene a raccontare alla Commissione Difesa della Camera, di cui allora facevo parte.

E’ un dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia il concetto di difesa, il problema, dice il ministro, non è più “da chi difendersi” (cioè da un eventuale aggressore) ma “che cosa difendere e come”. E cambia il che cosa difendere: non più la Patria, cioè il popolo e il territorio, ma “gli interessi nazionali nell’accezione più vasta di tali termini” ovunque sia necessario; tra questi sono preminenti gli interessi economici e produttivi e quelli relativi alle materie prime, a cominciare dal petrolio. Il teatro operativo non è più ai confini, ma dovunque sono in gioco i cosiddetti “interessi esterni”, e in particolare nel Mediterraneo, in Africa (fino al Corno d’Africa) e in Medio Oriente (fino al Golfo Persico); la nuova contrapposizione è con l’Islam e il modello, anzi la chiave interpretativa emblematica del nuovo rapporto conflittuale tra Islam e Occidente, dice il Modello, è quella del conflitto tra Israele da un lato e mondo arabo e palestinesi dall’altro. Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991. L’ho dichiarata anch’io, in quanto membro di quel Parlamento, anche se mi sono opposto.

I compiti della Difesa non sono più solo quei tre fissati nella legge di principio del 1978 ma si articolano in tre nuove funzioni strategiche, quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e continuativa in tutta l’area di interesse strategico” e comprende la Presenza Avanzata che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della NATO, quella di “Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale”, che è ad “elevata probabilità di occorrenza” (e sono le missioni all’estero che richiedono l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e quella di “Difesa Strategica degli spazi nazionali”, che è quella tradizionale di difesa del territorio, considerata però ormai “a bassa probabilità di occorrenza”.

A seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più essere l’esercito di leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non serviranno più i militari di leva; già succedeva che i generali non facessero salire gli arruolati come avieri sugli aeroplani, e i marinai sulle navi; ma d’ora in poi i militari di leva saranno impiegati solo come cuochi, camerieri, sentinelle, attendenti, uscieri e addetti ai servizi logistici, sicché ci saranno centomila giovani in esubero e ben presto la leva sarà abolita.

E’ un cambiamento totale. Non cambia solo la politica militare ma cambia  la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito in Parlamento, non si dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula e non sarà mai discusso dal Parlamento; forse ci si accorse che quelle cose non si dovevano dire, che non erano politicamente corrette, i documenti e le risoluzioni strategiche dei Consigli Atlantici di Londra e di Roma, che avevano preceduto di poco il documento italiano, erano stati molto più  cauti e reticenti, sicché finì che del Nuovo Modello di Difesa per vari anni si discusse solo nei circoli militari e in qualche convegno di studio; ma intanto lo si attuava, e tutto quello che è avvenuto in seguito, dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è in corso, ne è stato la conseguenza e lo svolgimento.

 

Il perché della nuova Costituzione

 

E allora questa è la verità del referendum. La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente, chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano. La politica non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale. La guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato.

Le Costituzioni non hanno più niente a che fare con una tale concezione della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci.

E allora questa è la ragione per cui la Costituzione si deve difendere. Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata nel ‘91, e il mondo del costituzionalismo democratico è stato licenziato tra l’89 e il ’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore venuto prima del rottamatore). Ma difenderla è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la condizione necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che vengono messi in pari con la società selvaggia, ma sia la società selvaggia che con il NO sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto.

 

Raniero La Valle

 

 

 

Il commento di Tati Sgarlata, portavoce del gruppo “Siracusa Resiliente”, a conclusione del dibattito tenutosi a Siracusa il 17 settembre.

 

 

Ringrazio Salvo Adorno e Raniero La Valle per aver realizzato un dibattito ricco, forte, ma sempre rispettoso delle posizioni altrui.

Due visioni però diverse che hanno costretto i partecipanti a vedersi dentro per capire quale scelta fare e la scelta va molto al di là della riforma costituzionale, anche se ne rappresenta una tappa.

Di cosa ha bisogno questo mondo così preso tra crisi economica, ecologica, sociale e democratica? Si può sottovalutare il fatto che le democrazie occidentali hanno fallito dopo aver promesso partecipazione, lavoro, benessere, pace ed ora si risvegliano incapaci ed offrono riforme che accentrano mentre manca sempre più il lavoro, il benessere e la pace e dilaga la corruzione e la cura degli interessi personali a tutti i livelli?

È necessaria una riforma-rivoluzione radicale che modifichi l’assetto economico-finanziario e la subalternità della politica e quindi  lavorare per rilanciare il patto costituzionale in Italia e per ritornare ad una Europa dei popoli e non delle banche?

Oppure accontentarsi di una contrattazione con il sistema che c’è cercando di trarre il meglio da questa situazione?

È meglio farci guidare dallo sguardo utopico e rilanciare trovando gli strumenti nuovi per avviare il processo, oppure bisogna essere realisti e muoversi in questo campo prudentemente ma cercando tutte le forme possibili di cambiamento?

Entrambe le scelte presuppongono consapevolezza e molto lavoro.

Ieri Raniero rappresentava il coraggio del rilancio utopico, Salvo la tesi opposta ma nostalgico nel non potere stare nel campo opposto.

Questo è il dramma della nostra generazione, scommetterci per il rilancio utopico o cambiare il possibile? Anche Renzi paradossalmente soffre di ciò quando si accorge che la Merkel va per la sua strada, ma Renzi deve capire che se vuole il cambiamento non deve andare a braccetto con il potere economico finanziario che sta distruggendo il mondo. Ma questo Renzi non lo può fare e non lo vuole fare.

Per tanti anni ho lavorato politicamente con l’ottica di Salvo anche se sempre con lo sguardo rivolto a Raniero, oggi scelgo Raniero perché penso che la deriva sia diventata oramai irreversibile e poi perché grazie al lavoro svolto da Siracusa Resiliente ho preso maggiore coscienza di come anche la sinistra in cui ho militato ha svenduto il potere politico al potere della finanza e del capitalismo.

Il ragionamento è unico: immigrati, ambiente, lavoro, dignità dell’essere umano, democrazia, società solidale.

È per questo che, al di là dei tecnicismi della riforma costituzionale che non mi convincono e che non risolvono il problema della semplificazione e della economicità ma solo quello della governabilità, ho deciso di votare NO per potere continuare il  cammino della speranza in un mondo altro a partire da scelte di vita individuali e collettive che debbono però essere perseguite con  decisione, impegno e coraggio, se no sarà solo un modo per mettersi a posto la coscienza e potere continuare a criticare chi cerca di cambiare il possibile con le regole che il gioco si è dato oggi.

 

Siracusa, 18 settembre 2016

[1] Eric Hobsbawm, Il Secolo breve (1914-1991: l’era dei grandi cataclismi), Rizzoli, Milano, 1995.

[2] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 1992.

13 Comments

  1. A proposito della possibilità di *trasformare Utopia in Energia* [post precedente]

    [citazioni da “La mia verità sul referendum” http://www.c3dem.it/la-mia-verita-sul-referendum/ ]

    _……”È meglio farci guidare dallo sguardo utopico e rilanciare trovando gli strumenti nuovi per avviare il processo, oppure bisogna essere realisti e muoversi in questo campo prudentemente ma cercando tutte le forme possibili di cambiamento?”….._

    _… “Questo è il dramma della nostra generazione, scommetterci per il rilancio utopico o cambiare il possibile?” …_

    [fine citazioni]

    Gli strumenti nuovi ci sono … e sono stati creati facendosi guidare da uno sguardo utopico …. ma non sono usati come potevano esserlo.
    Forse sarebbe ora di cominciare a sapere perché.

  2. Vorrei sapere se e dove è stato pubblicato l’intervento del prof. Salvo Adorno.
    Grazie

  3. non sono per quelli che vogliono lasciare le cose come stanno.Occorre rinnovare il paese
    Sono per la riforma della costituzione proposta dal Governo Renzi. Riduzione del numero dei senatori,evitare il ping pong per la ratifica delle leggi fra parlamento e senato.Finiamola con le idiozie e votiamo SI per la riforma.

    • ho già detto quello che penso ed è già sufficiemnte

      • Non sufficiemnte ma deficiemnte. E’ totalmente in deficit, infatti, di uno straccio di contro-argomentazione che, per quanto sintetica, si sia potuta ridurre a quell’epiteto che, ancor prima di offendere l’Autore del testo e chi lo legge, suona offesa alla sua intelligenza.
        A meno che lei non sia uno dei tanti troll che imperversano nel web, oppure che non ritenga bastevoli quel paio di frasi, anteposte all’insulto gratuito, fra le più comuni tra quelle che quotidianamente ci ammannisce il pensiero unico declinato in tutte le sue forme mediatiche. Tematica, comunque, ampiamente analizzata nel testo.
        Vede, non uso, di solito, intervenire nei post della rete, ritenendo l’esercizio sostanzialmente una perdita di tempo e limitandomi, al massimo, all’osservazione disincantata, ma, mi perdoni, mi sembra proprio che lei abbia ampiamente superato la misura, per un sito così civile.
        Mi permetta salutarla con un pensiero di Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Mi auguro vivamente che non stia fra questi ultimi.

  4. Premesso che ciò che dice o scrive Raniero La Valle è sempre degno della massima considerazione, vorrei fare alcune osservazioni.
    1) La maggioranza dei Paesi occidentali ha sistemi di governo piuttosto stabili e premiership piuttosto forti (se non frutto di elezioni presidenziali) e una sola Camera accanto a quella, eventuale, delle autonomie (o ad altre Camere non dotate degli stessi poteri della prima): non dall’11 settembre, non a seguito di documenti di centrali finanziarie, ma da molto, molto prima… Alla Costituente fu proposto che il Senato fosse quello delle professioni o delle autonomie, poi si ripiegò su quello che poi è stato, oggetto di progetti di riforma da decenni a questa parte… non dopo la Guerra del Golfo o l’11 settembre…
    2) Può darsi che le centinaia (o migliaia) di persone pensanti, riflettenti, cattoliche e non, che sono a favore del referendum non abbiano capito nulla o siano vittime di un grandissimo abbaglio; può anche darsi, invece, che pur condividendo con La Valle molti temi (il rischio di un mercato che governa il mondo fuori dal controllo dei popoli, la guerra – a pezzi o meno – che diventa strumento permanente e “perno” della politica internazionale, lo scandalo della “inequità” e molto altro) vedano in questa riforma un miglioramento del funzionamento dello Stato e – persino – un aumento della partecipazione (vedi ad esempio le nuove norme sul referendum abrogativo, di cui nessuno parla); miglioramento che – andrebbe ribadito un po’ più spesso – non tocca nè i principi fondamentali, né i poteri del Presidente della Repubblica, nè della magistratura, nè della Corte Costituzionale, nè aumenta le funzioni del Presidente del Consiglio. Ingenui, ciechi, superficiali… o semplicemente più aderenti alla realtà delle cose…?
    3. Per essere all’altezza di un mondo in cui poteri non democratici tendono a occupare tutti gli spazi, occorre dare maggior forza alla politica e alle istituzioni (con i doverosi contrappesi e le indispensabili forme di controllo) o renderle un luogo di semplice dibattito, mentre altri decidono per noi, in altre e ben nascoste sedi?
    4. Premettendo a scanso di equivoci che le Istituzioni sono, ovviamente, di un’importanza centrale (altrimenti non ci sarebbero le proposte di riforma e non ci sarebbe chi vi si oppone), non è il caso di ricordarsi che la democrazia è fatta anche di altre cose? Della partecipazione sociale delle persone, dell’informazione, delle amministrazioni locali e regionali, delle associazioni, dei movimenti e comitati, dei sindacati, delle esperienze civili e religiose, ecc. ecc… Davvero siamo così pessimisti da pensare che ci possa essere una svolta autoritaria perchè un partito o uno schieramento ha la maggioranza dei voti? Non ricordiamo che persino sotto i governi di B. – con tutto il potere che ha avuto (maggioranze schiaccianti, potere mediatico ed economico e tutto il resto) e con tutti i danni che ha fatto… siamo riusciti a sconfiggerlo due volte, ha dovuto dimettersi nella sua ultima esperienza governativa e – seppure acciaccati, feriti, umiliati – …. siamo ancora qui…? Non potremmo avere un po’ più di fiducia in questa nostra Italia, pur con tutti i difetti e le tentazioni populiste che pure anch’io vedo? E non dovremmo un pochino metterci in allarme quando alcuni ragionamenti di frange del No (non in questo portale) assomigliano pericolosamente ai ragionamenti di chi fece cadere il primo governo Prodi, perchè non abbastanza progressista e troppo succube dei poteri finanziari e della burocrazia europea, con tutto quello di nefasto che ne è seguito?
    5. Notando che Renzi è di fatto considerato da molti (non da tutti) i sostenitori del No una iattura totale e non volendo qui entrare nel merito delle valutazioni su di lui e sulla sua azione di Governo, riprendo qui una riflessione ascoltata da un ex dirigente del PCI, che in sostanza qualche giorno fa ha detto: Renzi ha dei difetti? Sì certo. Ma vi siete guardati attorno? Orban in Ungheria, filo spinato nei Balcani, l’Austria a rischio di un Presidente di estrema destra, forze populiste in ascesa in Germania e Francia, Brexit, referendum svizzero contro i lavoratori italiani, Spagna verso la terza elezione di fila senza governo, candidatura di Trump in USA; in Italia gruppi, partiti e, talvolta, amministrazioni locali che gettano benzina sul fuoco contro l’accoglienza ai profughi, ecc. ecc…. Ma siamo sicuri che i nostri guai maggiori vengano da Renzi? O dovremmo rivedere con un po’ più di serenità ed obiettività com’ è andata l’Italia e come sono andati gli altri Paesi in questi ultimi anni…? L’elezione di una persona come Mattarella come la valutiamo? Nel segno del “pigliatutto” autoritario?
    6. E’ doveroso che chi ha il dono della profezia metta in guardia dai pericoli e tenga desti tutti. Si può, infatti, anche sbagliare in buona fede e dunque ben venga chi scuote le coscienze! Per questo, ringrazio Raniero La Valle. Ma – senza volerlo assolutamente urtare e considerandolo uno dei “maestri” del Concilio, che tante volte ho ascoltato su questo tema senza perdere una sua parola…- gli chiedo: non c’è un po’ troppo pessimismo nella sua analisi complessiva? E’ vero, siamo in un passaggio della storia difficilissimo, drammatico, pieno di macerie, insopportabili violenze, inaudite ingiustizie: ma lo Spirito non continua forse a soffiare, nei modi che forse non conosciamo o non riconosciamo…?

    • La severità dell’analisi non è pessimismo ma la condizione per sperare e lottare. Certamente la misericordia non è sconfitta, ma c’è molto cammino da fare. Grazie dell’intervento, un cordiale saluto

  5. Premesso che sono d’accordo con quanto scritto qui sopra da Sandro Campanini (salvo che sul punto 6, come appresso dirò), aggiungo telegraficamente qualche elemento:
    1. L’analisi pessimista-catastrofica di La Valle è appunto solo un’analisi, tendenziosa e a tratti anche improbabile (come il risalto dato a una riunione della Commissione Difesa della Camera del 26.11.91, da cui temo non siano dipese le sorti del mondo, ma tant’è). Non c’è alcuna proposta in positivo, non ci dice cosa si dovrebbe fare, a parte votare NO al referendum.
    2. E’ chiaro che siamo tutti (tutti quelli che hanno un minimo di coscienza sociale) insoddisfatti dell’attuale rapporto tra politica e finanza nei paesi occidentali e nel mondo. Personalmente penso – in disaccordo con Tati Sgarlata, la cui analisi mi sembra comunque più lucida di quella di La Valle – che sia più realistico cercare un cambiamento dall’interno dell’attuale quadro istituzionale, italiano ed europeo. La tanto vituperata burocrazia europea ha prodotto, tanto per fare un esempio recente, la contestazione ad Apple, ed è in corso una lotta contro i paradisi fiscali e parecchio altro. I paladini della rivoluzione dovrebbero pensare a quante volte le rivoluzioni si sono trasformate in supporto per la reazione.
    3. Con buona pace di Tati Sgarlata, “votare NO per potere continuare il  cammino della speranza in un mondo altro” non c’entra un tubo con la riforma costituzionale proposta. Sarebbe ora di guardare al contesto concreto e non mischiare la (sacrosanta, quando pertinente) Utopia con la nostra cronaca politica. Segnalo un intervento di Irene Tinagli a pag.25 de La Stampa di oggi 27 settembre (che inviterei la redazione di c3dem a inserire in rassegna stampa), che è emblematico di un approccio alla riforma costituzionale completamente opposto a quello puramente ideologico di La Valle: l’articolo esamina le conseguenze – a livello di spesa sociale – della applicazione o non applicazione della riforma. Chi vota NO per ragioni puramente ideologiche rifletta, se vuole e se può.
    4. “Il dono della profezia” (Campanini). Mi spiace, ma non basta un certo tono oracolare per essere profeti, a prescindere dai contenuti di ciò che si scrive. Ho un’età che mi consente di ricordare i (magnifici) resoconti del Concilio pubblicati su L’Avvenire d’Italia diretto da La Valle (quantum mutatus ab illo!). Forse dovremmo tutti – anche La Valle – riflettere alle frasi indimenticabili di papa Giovanni: “Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai… A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura”

  6. L’articolo di Irene Tinagli è reperibile a:
    http://www.irenetinagli.it/articoli/441-riforma-cosa-cambia-per-i-cittadini

    La frase di papa Giovanni è indimenticabile perché – essa sì! – profetica.

    • Confesso che ho a lungo tentennato sull’intervenire a margine dei commenti suo e di Campanini.
      Ma, poi, ha prevalso il dubbio che qualche disinformato, ce n’è in giro tanti, sa, fino alla prossima
      newsletter di c3dem accedesse a questo post e fosse tentato dal link ‘allettante’ che lei propone,
      e mi sono convinto ad aggiungere qualche nota.
      Premesso che non mi sembra del tutto corretto proporre in un commento un link (chiedendone
      addirittura l’inserimento nella rassegna stampa del sito) spacciandolo per articolo giornalistico
      quando, ad una analisi più approfondita, non solo appartiene ad una sezione speciale
      del quotidiano, ma di fatto rinvia, fine ultimo dell’operazione, ad un altro link per cui si accede
      ad alcune paginette che, secondo vulgata bocconian-liberista, riduce ideologicamente la portata
      del referendum alla solita contabilità degli spiccioli in chiave accentratrice. E’ come se proponessi
      adesso il link, comunque di ben altra caratura, del vademecum sul no di Libertà e Giustizia: ma mi
      guardo bene, per correttezza, dal farlo.
      Ciò detto, nutro qualche dubbio sulla sua consapevolezza di ciò che porta in bisaccia.
      Già, perché nel suo commento dà bacchettate antiideologiche a destra e a manca, ignaro, forse, che
      questo è tipico di ogni ideologia dominante che rinfaccia alle altre, dal suo scranno ‘neutro’, l’essenza
      di cui è essa stessa costituita. E’ ideologico, infatti, riferire la riforma costituzionale alla spesa sociale,
      l’Europa alla lotta contro i paradisi fiscali, leggere con lenti mercantili un’analisi rigorosa (stendiamo
      un velo pietoso sulla forzatura relativa alla Commissione Difesa) senza capire che essa è necessaria per
      approdare ad una prospettiva che lei non coglie, che non può cogliere con quelle lenti, alla densità
      dell’ultimo capoverso che indica la direzione di una lotta gravida di innumerevoli proposte.
      E’ l’ideologia del mercato che nega di esser tale.
      Ed è significativo che lei citi le parole di papa Giovanni (discorso Gaudet Mater Ecclesia)
      capovolgendone il senso nel tentativo di piegarle al suo discorso, ignorando il contesto (apertura
      del Concilio) ed i destinatari (gli accesi di zelo per la religione, che valutano però i fatti senza sufficiente
      obiettività né prudente giudizio). I profeti di sventura cui si riferiva il papa erano quelli acriticamente
      dubbiosi sulle aperture (a lei invise?) del Concilio sul nuovo ordine di cose.
      I profeti di sventura di oggi sono gli accesi di zelo per la religione del mercato, le sue vestali che, nel timore che il loro tentativo di normalizzazione planetaria venga ad essere disturbato dalle lotte per un nuovo ordine di cose che metta al centro il futuro della specie sulla Terra, tanto caro alla “Laudato sì” e tanto compromesso dalle loro politiche, additano istericamente al catastrofismo tutti coloro che si battono per impedire che, tacitianamente, venga chiamato pace il deserto che stanno realizzando per l’umanità.
      Il mercato, infatti, è solo un aspetto della vita, ma non è la vita, non può riassumere la vita, ma può
      rappresentare la morte di tante speranze.
      Allora capirà bene che il ‘no’ al referendum è un no ottimista perché è un no alla barbarie, a chi vuole
      togliere speranza alla speranza, a chi stenta a riconoscere che solidarietà e ambiente sono due valori
      centrali ed ineludibili per il genere umano. Proposte a iosa!
      Riguardo al suo accordo con quanto scritto da Campanini, alla risposta data con laconica signorilità
      da Raniero La Valle nulla si può aggiungere, se non l’invito ad entrambi a fare degli studi serrati, affinché
      vengano dissolte le dense nubi, in cui alberga la disinformazione mediatica, che avvolgono la materia.
      E allora sotto col bicameralismo, col referendum abrogativo, coi reali poteri istituzionali, col
      decisionismo, col berlusconismo struttura culturale imperante, coi suoi tristi epigoni, colle improprie
      comparazioni e, perché no, anche con la figura di Mattarella.
      Quanto, poi, ad oracoli, profeti e Spirito, forse non ci sarebbe bisogno di scomodarli: a mio avviso
      l’Autore ha solo dato a Cesare quel che è di Cesare…
      Cordialità.

  7. Gli strumenti che usiamo, per partecipare a qualsiasi dibattito in rete, li abbiamo avuti in dotazione perché servono interessi di mercato.

    Chi vota non ha alcun potere di controllo sulle conseguenze dell’aver scelto gli argomenti, divulgati secondo le pratiche correnti, dei profeti di sventura o dei profeti di un “futuro a colori” [vedere commento di Dario Maggi http://www.c3dem.it/la-mia-verita-sul-referendum/#comment-23586%5D.

    NOTARE:
    1)
    i commenti alla pubblicazione di questo articolo sul sito Micromega
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-verita-sul-referendum/
    sono [democraticamente] abilitati solo per chi ha un account facebook;
    2)
    ……
    [da continuare, se la gestione della piattaforma qui in uso mostrasse un interesse ad approfondire]

  8. Caro Senatore quella che lei definisce “la libertà della democrazia costituzionale (Italiana)” alla prova della storia, che Lei stesso ricostruisce, io la definirei piuttosto “la menzogna democratica dell’ Italico pateracchio” . La repubblica fondata sul lavoro (salariato) ”, al dunque dipendente dal capitale, ha infatti fatalmente generato. come lei lamenta, “la schiavitù (disoccupazione sistemica inclusa) del mercato globale ”.
    “ La difesa di una patria”, che “ripudia la guerra” è inconsciamente scivolata, Lei lamenta, nella “istituzionalizzazione della guerra”. non tanto però, mi permetta contro l’Islam, bensì una guerra a pezzetti per il dominio di territori altrui ricchi di fonti produttive (lavoro e materie prime). Al dunque allora non resta che constatare che proprio le tanto da Lei decantate e strenuamente difese libertà della democrazia Costituzionale hanno svenduto il potere politico al potere della finanza e del capitalismo, come puntualizza la Tati Sgarlata, portavoce del gruppo “Siracusa Resiliente.

    Non c’è allora nulla da rivedere e da ripensare sul modo in cui le nostre istituzioni hanno funzionato su come la nostra macchina istituzionale è stata di fatto incapace di esprime una capacità di governo in nome del popolo italiano ed anche nel suo interesse? Le scelte malfatte o non fatte non sono forse maturate in quel quadro istituzionale frammentato, lacunoso, confuso e conflittuale, che la diserzione dal voto denuncia, e che rivela piuttosto il diffuso sottogoverno dell’imperante armamentario mercatista e capitalistico (simbiotico al «contropotere operaio») che ha i suoi tavoli decisori oltre che di concertazione (finanziaria ed industriale) ed i suoi strumenti di elaborazione delle politiche economiche e fiscali?
    Nella serie degli indizi che nel suo giallo la portano a smascherare il vero autore della avversata riforma Costituzionale, vale forse allora la pena di risalire oltre a Napolitano e al documento della a J. P. Morgan del 2013, da Lei indicati, ai fatti storici che hanno determinato le prese di posizione di questi soggetti.
    Ed in questa ricerca io La invito a risalire alle parole che Luciano Lama, allora segretario generale della Cgil, dettò nel gennaio del 1978 (quando lei sedeva in Parlamento nei banchi della sinistra) ad Eugenio Scalfari che lo intervistava:
    “Dal 1969 in poi il sindacato ha puntato le sue carte sulla rigidità della forza-lavoro, ma ora ci siamo resi conto che un sistema economico aperto non sopporta variabili indipendenti».
    Pochi mesi dopo le Brigate rosse rapirono Aldo Moro e poi lo giustiziarono. La sinistra anticapitalista, quella dell’inossidabile utopia, reagì così al realismo economico di Enrico Berlinguer e Luciano Lama i due maggiori protagonisti, della stagione dei sacrifici e della repressione degli anni Settanta. Consiste forse in ciò e nella lunga scia di sangue che l’ha anticipato e seguito l’esercizio della sue care libertà della democrazia Costituzionale? Il suo no a riformare le trappole del sistema istituzionale, che determinano l’estraniazione del popolo dalle istituzioni per la sua acclarata ingovernabilità democratica, non ha per caso lo stesso stampo ideologico dei no, opposti: -a Ezio Tarantelli assassinato nell’1985, -a Roberto Ruffilli assassinato nel 1988, -a Massimo D’Antona assassinato nel 1999, -a Marco Biagi assassinato nel 2002, tutti economisti e giuristi democratici, che tentarono di dare alla politica strumenti di regolazione ed intervento nello scomposto ed incandescente teatro dei conflitti sociali, il mercato del lavoro, asse portante di un sistema economico, e base operativa delle potenzialità di impiego, di sviluppo, di libertà e di uguaglianza?
    Quando laJp Morgan, storica società finanziaria (con banca inclusa) statunitense, in un documento del 28 maggio 2013, evidenzia i limiti di natura politica della nostra costituzione (e di altre) che, a suo giudizio, ostacolano la crescita economica e la maggiore integrazione dell’area europea, non fa che adempiere con piena trasparenze un suo compito istituzionale di proficuo allocatore delle risorse finanziarie, di quel denaro cioè che circolando in una economia globalizzata finisce per entrare nelle tasche di tutti e che direttamente o indirettamente raggiunge anche il suo vitalizio. Ma se l’entità del suo vitalizio a confronto con la pensione di un insegnante o con la miseria di un disoccupato denuncia una qualche ingiustizia non credo che Lei possa attribuirne la responsabilità alla Jp Morgan. Di questa ingiustizia sociale le cause vanno cercate nel nostro mercato del lavoro, e nel nostro sistema politico (non fuori) per nulla democratico.
    Non può allora sottovalutare, caro Senatore, il problema della governabilità della nostra democrazia e deve necessariamente considerare, che se il popolo esercita di fatto la sua sovranità nel momento in cui elegge una sua rappresentanza al parlamento, e nelle altre istituzioni rappresentative, questo fa per esercitare una funzione di governo, non per dar vita ad una scomposta rappresentanza di disparati e contraddittori interessi, e ciò deve necessariamente concretizzarsi in una maggioranza capace di svolgere compiti ben costituzionalmente definiti, e affidatele in forza di un mandato fiduciario, con chiara indicazione di obbiettivi e orientamenti. nel rispetto ovviamente dei fondamentali principi, assumendone la responsabilità, e dando alle minoranze un compito dialettico di controllo, di stimolo, di possibile collaborazione oltre che di potenziale avvicendamento.
    Di qui anche l’esigenza che le diverse istanze politiche a partire da quelle territoriali, si compongano in un quadro unitario, sinergico, semplice ed efficace che certamente non è riscontrabile in quello vigente, confuso, pletorico e parassitario (Le provincie di fatto già superate sono ancora scritte in costituzione), addirittura “ubriacato” , lei dice, di regionalismo. Quanti i danni che dalle loro attività e dalle loro passività derivano!
    Sconcerta quindi questo suo no. E tanto più sconcerta la sua dimenticanza dell’ultimo insegnamento di Giuseppe Dossetti, della cui eredità, Lei, a mio giudizio non può più appropriarsi.
    In “COSTITUZIONE E RIFORME “, letto il 26 gennaio 1995 all’Università di Parma il suo maestro delineò un sentiero di necessarie riforme che, a me pare, abbiano proprio costituto la traccia del testo che questa legislatura ha provato a seguire, non delineando una impianto costituzionale diverso rispetto a quello parlamentare, ma attuando degli opportuni adattamenti, attuando un primo tentativo, certamente perfettibile, di necessario aggiornamento. Ciò che non si rigenera degenera.
    Il Cittadino Giovanni Domenella
    Avv. Prof. Giovanni Domenella (giurista senza etichetta)

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