Come promuovere decisioni sinodali in una comunità ancora gerarchicamente strutturata? Colloquio con Grazia Villa

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Un’altra voce, ancora femminile, si aggiunge a quelle, numerose, interpellate nei mesi scorsi per capire come nella comunità ecclesiale italiana si stia vivendo l’avvio del “cammino sinodale”, e per raccogliere testimonianze, riflessioni, suggerimenti, sull’evidente crisi che sta attraversando la Chiesa, il cristianesimo, in Italia, ma certo non solo in Italia. Per Grazia Villa, avvocata e già presidente della Rosa Bianca, le ragioni della scarsa attrattività della vita ecclesiale non dipendono solo, né principalmente, dalla secolarizzazione ma da come la Chiesa è, da come è strutturata, da come vive … 

 

a cura di Giandiego Carastro

 

In alcune precedenti interviste abbiamo adottato due metafore, per avvicinarci alla condizione delle Chiese che sono in Italia. Quella del fuoco che brucia e consuma e divora oppure quella dell’assopimento lento ma costante, verso una dimensione soporifera. Al di là della precisione metaforica, vi è un reale disagio nell’essere credenti in Gesù oggi in Italia. Basti pensare alla difficoltà che noi genitori viviamo nel trasmettere la fede ai nostri figli, spesso fallendo. Cosa è cambiato nel conteso sociale, che rende così poco attrattivo sperimentare la compagnia dei discepoli del Risorto?

Non credo che il problema sia quello della poca attrattività della vita comunitaria nell’attuale contesto sociale. Mi spiego. A mio avviso non è il contesto sociale che ha fatto venire meno l’attrattività dell’annuncio del Vangelo. Certo, non viviamo più nella cosiddetta “società cristiana”, quella che Pietro Scoppola definiva la cristianità perduta. La secolarizzazione prima e la globalizzazione poi hanno creato un contesto certamente ben diverso dal Medioevo… Ma la difficoltà maggiore, oggi, credo sia la perdita di credibilità e di attrattività della Chiesa cattolica romana, latina. Della nostra Chiesa a cui vogliamo bene. Il cambiamento del contesto diventa un alibi per non mettere a fuoco questo problema di impoverimento nell’Annuncio. Se la Chiesa è lo strumento, è il mezzo, è l’occasione, è la tavola, è la casa dove si coltiva la buona novella e si annuncia il fiore rosso della fede, come poeticamente diceva Paolo Giuntella, il punto è che tutte queste dimensioni sono fortemente in crisi. Da qui deriva tutto il resto…

La domanda fondamentale che mi porrei è questa: perché è entrato in crisi il lascito della fede tra le generazioni? Se i miei nipoti non credono più in Gesù ed è venuto meno il passaggio del fiore della fede, è perché le generazioni adulte attuali stanno buttando a mare quello che sino a pochi anni fa era consuetudine: la partecipazione attiva a gruppi, associazioni, movimenti, con la possibilità di condividere insieme in una comunità la coltivazione della preghiera e della fede?

Come credenti nella Ruah, certo, abbiamo fiducia nel Soffio che si infila nelle crepe nella storia… Proprio perché credo nella Ruah, non potrei mai affermare che le nuove generazioni non abbiano più la fede, perché la coscienza rimane il luogo intimo del colloquio con Dio. Eppure, evidenzio un dato: non condividono con me un cammino ecclesiale di fede, spesso nessun percorso ecclesiale, nemmeno alternativo! Perché? Sul punto credo, ad esempio, che non stiamo valutando abbastanza l’incidenza sulla credibilità ecclesiale degli scandali sessuali ed economici, con particolare riferimento alla tragedia degli abusi dei religiosi su minori e suore!!

Ripeto: non riduciamo tutto al contesto sfavorevole. La fede ha retto nelle guerre mondiali e durante il nazismo e, per tornare ai primi secoli, durante la persecuzione di Diocleziano …le donne hanno mantenuto la fede, anche nel periodo della caccia alle streghe!!!

Questo impoverimento è la nostra grande responsabilità…

 

Come credente, come sta vivendo il cammino sinodale?

Mi sono messa in cammino, anche se con tanti pregiudizi, soprattutto per la partenza dall’alto di questo cammino, posto che la proposta è partita dal Papa e dai vescovi, e nemmeno con molto entusiasmo da parte dei nostri Pastori… e dico questo con tutto l’affetto per Papa Francesco. Una convocazione dall’alto evidenzia delle carenze. Per citarne una che mi preme moltissimo: se la convocazione viene dal Papa, dai vescovi, già questa dimensione episcopale è monca determinando una assenza totale delle donne visto che, per ora, noi donne cattoliche non possiamo essere vescove!

Mi sto interessando del cammino sinodale, con il gruppo di donne della Diocesi di Milano e dintorni, Noi siamo il cambiamento, e con altri gruppi femministi e femminili. Il gruppo aderisce alla Rete Cammino Sinodale, creatasi alcuni mesi orsono, promossa da molte associazioni, tra cui anche c3dem.

La Rete e il gruppo stanno lavorando sul Documento preparatorio del Sinodo. Ognuna di queste associazioni si è assunta l’impegno di approfondire uno dei dieci punti. Come donne, abbiamo scelto i punti 8 e 9, relativi al tema dell’autorità, del discernimento e della partecipazione. Abbiamo anche incontrato il referente diocesano del cammino a Milano, don Mario Antonelli, al quale abbiamo offerto il frutto delle nostre analisi condivise, mettendo in luce il nostro interesse per la ipotesi di un “camminare insieme”, allo stesso tempo segnalando i limiti di impostazione e di linguaggio, ancora fortemente segnati dal diffuso e mai tramontato clericalismo. In via esemplificativa abbiamo evidenziato come in troppi passi si ribadisca che tutto il percorso deve essere fatto in seno ad “una comunità gerarchicamente strutturata”, non mettendo minimamente in discussione che si possa fare diversamente. Si mettono le mani avanti, quasi a rassicurare quei vescovi che hanno paura della loro ombra. E, ancora, il documento sottolinea giustamente che il discorso centrale è quello di ravvivare la fede, ma poi ci si muove ancora in una visione piramidale della Chiesa.

Altro esempio: a livello biblico, i due brani della Scrittura proposti nel documento sono quelli di Gesù che si rapporta agli apostoli ed alla folla e quello di Pietro che dialoga con Cornelio. Noi donne dove siamo? Se non siamo tra gli apostoli… allora siamo nella folla? In sintesi: il documento è molto conciliare… verso l’esterno, con tante aperture. Il problema sono le aperture verso l’interno che sembrano ancora mancare! Per questo, tranne forse le sorelle che seguono a prescindere il “signor” parroco, ho la sensazione che molte donne credenti cattoliche siano seccate, e che guardino al cammino sinodale con molte perplessità; ma nonostante tutto, in tante, si stanno impegnando in questo cammino, nella speranza di poter contribuire a questa occasione preziosa di rinnovamento e riforma della Chiesa.

Penso sia giusto allora anche per me, per noi, impegnarci nel cammino sinodale, perché fa parte della stessa storia delle donne vivere nelle crepe della storia. Cercare di capire cosa fare, anche in situazioni che ci possono apparire strette, aprire varchi. Alcuni uomini di Chiesa hanno una strana immagine di noi donne nella Chiesa: hanno una visione vetero-rivendicativa di quello loro che definiscono, anche nei documenti sinodali, “il mondo delle donne” in generale, come soggetto unico e non plurimo, differenziato, composito. Siamo considerate come un argomento a parte, tanto è vero che ci “consultano” sui problemi delle donne, sul ruolo delle donne nella Chiesa, sulla famiglia, sulla maternità, sul volto femminile della Chiesa, ma le donne (che poi sono la maggioranza) hanno invece l’autorità, la euxosia, per poter parlare di tutto: di Vangelo, liturgia, economia, politica  (e la politica è un campo dell’essere credenti, non qualcosa di separato), e non solo di questioni di donne…

Ripropongo il nodo che potrei definire un ossimoro: come faremo a promuovere delle decisioni sinodali in seno ad una comunità gerarchicamente strutturata? Tutto parte dalla partecipazione, e non dalla semplice consultazione: non siamo solo soggetti da consultare e basta!

 

Da persona che ha viaggiato attraverso tanti mondi culturali, qual è il suo sguardo sulla comunità ecclesiale oggi?

La nostra Chiesa italiana vive di provincialismo e lo dico riferendomi anche alla mia esperienza. Me ne accorsi nel 2003 quando a Barcellona partecipai al Secondo Sinodo europeo delle donne, incontrando oltre 700 donne provenienti da tutta Europa, un momento che ha segnato un cambiamento in me donna, femminista, credente, dal quale sono nati molti percorsi di relazione e reti tra donne in ricerca, con un vero metodo sinodale, cammino che abbiamo raccontato in un testo recente intitolato Visitazioni.

Ero arrivata a quel Sinodo pensando di essere femminista laica cristiana, di sinistra e progressista, ma rispetto alle donne greche, persino alle bulgare (per non parlare delle tedesche, olandesi, francesi), mi sentii allora una cattolica conservatrice, nemmeno troppo femminista, tutta avvolta nel nostro mondo ecclesiale di sudditanze antiche!

Nessun uomo nelle loro comunità aveva problemi, ad esempio, con la definizione di “femminista cattolica o cristiana”; era considerata una definizione normale. Invece, in Italia, ancora oggi fa senso parlare di femminismo cattolico…

Le giovani donne tedesche e francesi con le quali siamo entrate in relazione in questi ultimi anni, ad esempio, nel presentarsi si definiscono “femministe cattoliche” pur appartenendo anche ad associazioni, gruppi o movimenti tradizionali, senza timore di giudizi o irrisori, come viceversa avviene ancora nella nostra Chiesa italiana, dove ci si affretta a usare il termine femminile oppure un generico “delle donne”, anche quando ci si riferisce a teologie, azioni, movimenti, pensieri dichiaratamente femministi!

Sotto questo profilo mi sembra importante segnalare le iniziative del Catholic Women Council, una rete internazionale di donne cattoliche, composto da laiche e religiose, che da tempo aveva deciso di promuovere un incontro internazionale, un pellegrinaggio verso Roma, attraverso un nuovo percorso sinodale tra donne, già prima che il Papa aprisse i cammini sinodali. Le modalità del cammino sinodale deciso dalla Chiesa di Roma e quelle del Catholic Women Council sono abbastanza diverse (il primo è dall’alto, il secondo è a livello di rete orizzontale), ma recentemente è stata presa la decisione di confluire nel quadro del cammino sinodale indetto dalla Chiesa cattolica. Il CWC si è adeguato a questa novità sinodale ed ha riparametrato le proprie tappe successive: l’incontro internazionale a Roma si svolgerà il prossimo autunno e sarà agganciato ai temi sinodali. Prima di allora, ci saranno dei seminari preparatori internazionali di due giorni, da marzo sino a giugno.

Come dicevo, se è vero che, qui in Italia, viviamo nelle secche, abbiamo però fiducia, perché lo Spirito, la Ruah, soffia tra le secche e si infila nelle nostre crepe, anche quelle della Chiesa e della storia. Non dimentichiamo, inoltre, che il cammino sinodale è universale: possiamo imparare dalle parole della teologa brasiliana Maria Soave Buscemi, possiamo imparare dal sinodo di qualche anno fa in Amazzonia, o dal cammino nella Chiesa tedesca o da quello della Chiesa francese o latino-americana. Il secondo motivo di consolazione è che c’è davanti del tempo, perché il cammino durerà più anni e quindi non sappiamo quali prospettive si potranno aprire o chiudere; dipende anche da noi.

 

Da qualche mese, le comunità ecclesiali si sono arricchite al proprio interno di una nuova figura: il facilitatore di cammini sinodali. È un servizio per agevolare la comunione e la comunicazione durante i prossimi anni. Se dovesse suggerire qualche saggio o film o libro a ciascun facilitatore (e questo al fine di prendere più idonea la propria opera), quale suggerirebbe?

Preferisco non rispondere perché potrei essere feroce. Il documento è tutto al maschile, quando descrive il ruolo del facilitatore… già me lo immagino nella mia parrocchia… i facilitatori saranno per il 98 per cento uomini e… vox del parroco. Auguro ai facilitatori un bagno nella laicità… totale… e che si accorgano di tutte le cose che rendono poco credibile il volto della Chiesa. Dovrebbero guardare i grandi film di denuncia, o il film del 1986, Mission, di R. Joffé.

 

Lei ha conosciuto una figura di laico a 360 grandi come Paolo Giuntella, chestertoniano ma non conservatore (come sono tantissimi amanti dello scrittore inglese, inventore di Padre Brown), anzi liberale egualitario, come si definiva. Ai tempi del Movimento Studenti di Azione Cattolica, lo invitammo alla Domus Mariae alla Prima Scuola nazionale per studenti, e tenne una lezione magistrale su don Chisciotte. Ecco, può offrirci alcuni insegnamenti ricevuti da Paolo e che potrebbero aiutarci a vivere meglio i cammini sinodali?

Paolo Giuntella è un amico che ho conosciuto al congresso Fuci di Napoli nel 1977, tramite gli amici milanesi della Fuci della Statale, tra i quali Laura Rozza, presidente nazionale della stessa Fuci, poi diventata sua moglie, e che conoscevo perché ero presidente della Fuci in Università Cattolica. Nacque una grande amicizia, mai interrotta e coltivata anche nelle esperienze condivise della Lega democratica e della Rosa Bianca.

Riassumere gli insegnamenti del mio amico fraterno Paolo in poche righe è impossibile, non saprei da dove incominciare, soprattutto perché per chi ha avuto il dono di questa lunga amicizia non si tratta solo di letture dei suoi scritti, di condivisione delle sue idee che, per fortuna, sono a disposizione di tutte e di tutti, grazie al suo copioso lascito di libri, articoli, interventi, ma di giorni vissuti insieme, di chiacchiere a tavola e sul suo divano, spesso anche con David Sassoli, di riunioni e incontri con confronti anche infuocati, di liturgie e messe vissute insieme, con i suoi indimenticabili commenti e…reazioni: dalle belle celebrazioni animate dalla comunità congolese, alla tristezza di altre liturgie per le quali Paolo aveva creato una associazione di cui era presidente, dal nome indicativo: Meno lagne, più soul…

Quindi mi ha insegnato l’attenzione ad essere e agire come popolo di Dio. Quanto avrebbe sofferto e quanto soffriamo, ad esempio, per l’eccesivo ricorso al canone 2 nella Liturgia, dove si chiede di pregare per il Papa, per i vescovi, per i presbiteri e per i diaconi e poi ci si ferma senza pregare per il Popolo di Dio! Chi prega per il Popolo di Dio!?!

Permettetemi di ritornare alla prima domanda: la crisi, allora, non riguarda il contesto sociale. Con Paolo rifacciamoci la domanda radicale del perché le chiese si stanno svuotando: si svuotano perché c’è la secolarizzazione o, piuttosto, perché il cristianesimo non risponde a quelle che Achille Ardigò definiva le domande di senso? Se tu non intercetti questo bisogno, le stesse liturgie eucaristiche diventano un dovere da adempiere o un fioretto intimistico per noi della terza età.

Voglio aggiungere un’altra cosa: di Paolo Giuntella si sottolinea, pur legittimamente, il suo ruolo nella trasmissione degli ideali del cattolicesimo democratico, ma si mettono poco in evidenza le aperture che Paolo, tra i primi, fece verso il terzomondismo e l’ecopacifismo, maturate all’interno delle sue esperienze giornalistiche in America Latina, in particolare in Nicaragua, e poi quelle nei campi profughi, tragiche conseguenze delle guerre di fine ‘900. Grazie a Paolo abbiamo conosciuto Oscar Romero e, per me fondamentale, Marianela Garcia Villas.

Per comprendere Paolo Giuntella bisognerebbe ricordare e attingere al lungo elenco di donne e uomini sui quali si fondano le vere radici cristiane dell’Europa, citate nel suo ultimo bellissimo libro L’aratro, l’ipod e le stelle, diventato di fatto una sorta di testamento spirituale… non c’erano solo Maritain e Mounier…

 

Lei ha presieduto l’associazione La Rosa Bianca, creata in memoria di un gruppo di universitarie e universitari tedeschi che si opposero al regime nazista, pagando con la morte. Perché la testimonianza degli studenti della Rosa Bianca è generativa ancora oggi?

Per rispondere alla domanda, vorrei rimandare al recente funerale  del carissimo amico David Sassoli, impegnato con noi nella Rosa Bianca. Non è stato solo un funerale di Stato. È stata una lezione allo Stato di come dovrebbe esser un politico. E una lezione alla Chiesa di come dovrebbe essere vivere la Chiesa.

Vale per David Sassoli quanto detto per Paolo Giuntella: David non è solo cattolicesimo democratico, era anche vicino al pensiero di don Tonino Bello, di Alex Zanotelli. Sui temi come quelli della pace e dei migranti, andava oltre il classico perimetro del cattolicesimo democratico.

David ci insegna un modo di essere credenti, laicamente, senza rosari da ostentare, con grande dedizione per la fedeltà coniugale, con passione per l’educazione dei figli, con un impegno politico nitido, che parla da sé. In quella liturgia esequiale, il magistero non era della “comunità gerarchicamente strutturata”, né del celebrante … L’autentico interprete era David, un battezzato, nella bara, avvolto dalla bandiera dell’Europa. Tutto il resto – i fedeli, il celebrante, la stessa Ursula von der Leyen – ascoltavano e si commuovevano dinanzi alle testimonianze di famigliari ed amici su quello che è stato il magistero di David. E questo, per me, è già cammino sinodale…

 

Giandiego Carastro

4 Comments

  1. Molto interessante questa testimonianza. Mi fa venire voglia di leggere i libri di Paolo Giuntella. L’aratro, l’Ipod e le stelle adesso lo ordino.
    E mi chiedo se è possiible assistere all’incontro internazionale del CWC Catholic Women Council che si terrà in autunno a Roma.
    E’ possibile ??

    un caro saluto
    Marianella Sclavi

    • Gentile Marianella, è tutto in fase organizzativa con le incertezze del Covid.
      Sul sito indicato nella intervista sarà possibile attingere le notizie e accedere anche ai lavori preparatori suddivisi per continente. A marzo dovrebbe toccare Europa e quindi anche Italia.
      Lì dovrebbero confluire anche i materiali forniti da associazioni, gruppi, singole.
      Resto a disposizione, ringraziando per attenzione. Grazia Villa

  2. Ho letto con attenzione. Ho rivissuto esperienze e annotato difficoltà ancora attuali.
    Sottolineo con forza che la presenza femminile non può più essere confinata nel recinto della rivendicazione. È pura partecipazione, punto.
    Il rapporto con l’autorità sconta, ancora, il peso di un ritardo culturale che è tutto italiano. Il peso spirituale della fatica sudamericana, le intuizioni tedesche e via discorrendo, sono del tutto estranei alla nostra _particulare_ cattolici.
    Il ricordo di Paolo mi commuove sempre. Anche perché ricordo le incomprensioni che dovette subire proprio in casa nostra.
    Grazie Diego. Grazie davvero

  3. Grazie di questa bella e appassionata intervista. Per quanto misconosciuto e minoritario (ma spesso sono le minoranze a indurre i cambiamenti…) il femminismo cattolico (con al suo interno varie sensibilità e obiettivi) è esistito ed esiste ancora. Ma essendo la parola “femminismo” una sorta di parola-tabù nel linguaggio ecclesiale, ha fatto fatica ad essere riconosciuto come tale. Accanto ad esso serve l’alleanza tra tutte le donne e tutti gli uomini che vogliono rinnovare la Chiesa.

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