Veltroni-Corriere sul caso Moro. Accuse gravi senza prove

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Da oltre un anno il Corriere della sera riserva al caso Moro paginate su paginate con interviste che portano la firma di Walter Veltroni. Nell’ultima della lunga serie, a Gennaro Acquaviva, capo della segreteria politica di Craxi, ci è toccato di leggere che il leder socialista sarebbe stato “il sostituto-prosecutore dell’opera di Moro”. Ogni commento è superfluo. Ma ciò che più sorprende è che Veltroni, non un cronista qualsiasi, senza battere ciglio, persista nel veicolare la tesi dei socialisti del tempo (Formica, Signorile, Martelli, Acquaviva): Moro poteva essere salvato, ma tutti, senza eccezioni, lo volevano morto, perché tutti, si insiste, ai vertici della Dc e dello Stato sapevano che fosse agibile un canale diretto con i terroristi che tenevano in ostaggio il leader Dc.

Non nascondo il mio disappunto non solo per il semplicismo e l’univocità della tesi, ma anche perché nessuno ad essa reagisce come si conviene. Eppure ancora vivono alcuni testimoni e persino attori-protagonisti di quella pagina drammatica. Davvero tutto era così chiaro e così semplice? Una tale teoria non è infamante – faccio solo qualche nome – per Zaccagnini, Salvi, Galloni, Elia e molti altri dirigenti Dc di quel tempo che non possono più replicare?

Personalmente non ho motivo per intestarmi difese d’ufficio. Al tempo del sequestro Moro ero giovane e non facevo politica, ma partecipai con grande intensità emotiva a quel dramma: lavoravo al fianco di Giuseppe Lazzati, costituente, rettore della Cattolica, sincero amico ed estimatore di Moro, che tuttavia mai nutrì dubbi sulla linea della fermezza. Pur con una indicibile sofferenza. Ma il punto non è questo. Si può pensarla diversamente. L’importante è non mistificare i fatti.
Voglio essere franco: mi hanno turbato e disturbato le interviste del Corriere ai socialisti che, in forme più o meno aperte, hanno sostenuto che i vertici politici e istituzionali tutti – notare: targati Dc –  fossero a conoscenza della possibilità di raggiungere i brigatisti che tenevano in ostaggio Moro, solo che non vollero spendersi davvero per la sua liberazione. Scusate se è accusa da poco! Una versione della quale non c’è prova. Semmai smentita da vari testimoni.

Tantomeno ho apprezzato che a mettere la firma in calce a quella inchiesta sia non un giornalista qualsiasi, ma una persona come Veltroni che ha avuto alte responsabilità politico-istituzionali. La domanda suscitata in me da quelle paginate è quale mai sia l’intento di Veltroni in quella che sembra una campagna a tesi. Davvero non mi spiego. Forse quello di prendere le distanze dal vecchio Pci e dalla sua linea della fermezza, nel solco dell’outing  veltroniano secondo il quale lui non sarebbe mai stato comunista? Salvo poi (“ma anche”) proporsi come apologeta e “ragazzo” di Berlinguer.
Non sarò io a negare le tante, troppe pagine oscure di quella tragedia nazionale. In particolare le ombre rappresentate dall’inquinamento piduista del Viminale, le inefficienze e le omissioni degli apparati di sicurezza. Anche io faccio fatica a credere che non vi siano stati condizionamenti e interferenze esterne alle Br. Né compete a me, che non avevo responsabilità alcuna, difendere i vertici Dc di allora – Zaccagnini e i suoi più stretti collaboratori – più o meno esplicitamente accusati di inerzia se non di complicità. Ma trovo l’operazione grossolana, semplicistica (come se la liberazione di Moro fosse cosa facile) e persino infamante per chi si assunse la grave responsabilità di non scendere a patti con i terroristi. In nome di un’etica della responsabilità in capo a uomini dello Stato che, noto, con il senno di poi e con una certa leggerezza, si tende a rappresentare come un alibi pretestuoso e bugiardo.

A distanza di tanti anni e alla luce di ciò che è affiorato poi, si può anche rivedere qualche giudizio, si deve di sicuro sostenere che non lo Stato come tale, ma quel concreto Stato e chi lo rappresentava pro tempore, rivelatisi così inadeguati, per trasparenza ed efficacia, non furono all’altezza del loro compito e anche a pensare che forse l’esito avrebbe potuto essere diverso (anche se molti elementi conducono a ritenere che quello intessuto dai rapitori fosse un finto negoziato e che dunque il tragico epilogo fosse scritto). Ma da qui a concludere che tutti sapevano e tutti non vollero liberare Moro ne corre.
Guido Bodrato, persona limpida e allora stretto collaboratore di Zaccagnini, ha chiarito sul punto cruciale: del canale aperto con i rapitori rappresentato da Piperno e Pace non è vero che i vertici Dc fossero  a conoscenza. Comunque non Zaccagnini e i suoi collaboratori. Lo erano esponenti socialisti che oggi lo rivendicano come un merito e si spingono sino a imputare ad altri la colpa di non essersene avvalsi. Per parte mia, all’opposto, non giudico affatto come un merito l’avere intrattenuto relazioni tanto pericolose con soggetti immersi nell’acquario torbido nel quale nuotavano i pesci del terrorismo. Costoro avrebbero dovuto cooperare allora, con trasparenza e senza secondi fini, con le autorità per stanare i rapitori e non muovere ora ad altri accuse tanto infamanti quanto indimostrate.

Tali comportamenti al limite della provocazione semmai mi confermano in una convinzione: che, a fronte di chi – ve ne furono allora e ve ne sono oggi – sosteneva con limpida coscienza la linea della trattativa (salvo una massima indeterminatezza circa le concrete concessioni cui accedere), vi fossero altri che erano mossi da ragioni politiche non altrettanto innocenti. Diciamo non di natura umanitaria. Per parte mia, non ho cambiato idea (ma, ripeto, si può avere opinione diversa): penso che, allora, in concreto, non si dessero alternative alla linea della fermezza e che un cedimento avrebbe travolto le istituzioni. Oltre che le due forze, Dc e Pci, architrave del sistema politico. Per essere più schietto: le pesanti accuse e il polverone sollevato a tanta distanza di tempo dai vari Formica e Signorile semmai mi confermano nell’opinione che al conclamato umanitarismo nel Psi, dentro quella distretta, si associasse un calcolo politico mirato a profittarne per mettere in scacco i due principali partiti schierati sulla linea della fermezza. In coerenza con la strategia craxiana decisa a farsi largo con ogni mezzo tra Dc e Pci, rovesciando i rapporti di forza a sinistra. La circostanza che siano trascorsi tanti anni non è una buona ragione perché ex politici e improvvisati giornalisti – e chi malamente fa entrambe le parti in commedia – trattino una materia così incandescente con tale disinvoltura.

 

Franco Monaco

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  1. Senza voler soffermarmi più del dovuto ricordo riguardo al sequestro da parte sempre delle BR dell’assessore napoletano DC Ciro Cirillo verso il quale, a differenza del sequestro Moro, la DC optò per la trattativa con i terroristi, sia pur sottobanco e senza carattere di ufficialità. Coloro che nel 1978 erano favorevoli alla trattativa osservarono che il fronte della fermezza non aveva obbedito a un principio sacro e inviolabile, ma a motivazioni contingenti che furono tranquillamente trasgredite pochi anni dopo.
    Lascio comunque “parlare” la sapienza del grande Franco Cordero: ” Lo Stato non siede al tavolo degli assassini, rispondono inflessibili legalisti, stupidamente perché le BR non chiedevano riconoscimenti ma che siano liberati alcuni di loro; e ricorre l’ipotesi contemplata dall’art. 54 c.p: risulta penalmente lecito il fatto commesso per salvare sé o altri dal pericolo attuale d’un grave danno alla persona…non volontariamente causato né altrimenti evitabile. Basterebbe imitare Cesare giovane: cade in mano ai pirati navigando verso Rodi, paga 50 talenti, riparte, arma una flottiglia, li insegue e cattura. Come minimo, le trattative guadagnano tempo, punto capitale, purché esistano organi efficienti e risoluti. L’ex oratoriano Fouché, ministro napoleonico, ne verrebbe subito a capo. La prigione é l’appartamento d’un condominio, Via Gradoli, già conosciuto”

    Cordialmente,

    Cristofaro Lotito

  2. Tutte le volte che leggo interviste in cui qualcuno “svela” o ritiene di svelare qualche “nuovo” particolare sul caso Moro mi chiedo: lo ha riferito, appena gli fosse possibile, agli inquirenti? Lo ha riferito nelle commissioni parlamentari di inchiesta? O alla famiglia Moro? Sono ricordi ed elementi assolutamente veri, su cui sarebbe disposto a giurare in tribunale? Insomma, vale sempre il monito “chi sa parli”, senza aspettare che qualcuno ti venga ad intervistare su un media a grande diffusione. Se invece non si è così sicuri, se magari qualcosa viene riportato indirettamente, beh, allora sarebbe meglio ricordarsi di precisarlo anche nelle interviste.

  3. Ho letto alcune ricostruzioni del caso Moro, in particolare mi ha colpito quella di Ferdinando Imposimato che era il giudice incaricato delle indagini. Fu tenuto all’oscuro da elemanti decisivi (scoperta di covi, tipografia, ecc.) dal ministro dell’interno Cossiga e dai servizi segreti. Molti esponenti DC e PCI non erano a conoscenza di informazioni cruciali per le decisioni. La partecipazione anche come osservatori al sequestro da parte di elementi di intelligence (CIA e KGB, ma anche Mossad) pare fuori di dubbio. La partecipazione dei servizi segreti, con il manifestino sulla morte di Moro e il cadavere nel lago della Duchessa, appare chiaramente come una azione di deviazione delle indagini che si indirizzavano a via Gradoli. Non tutti i dirigenti DC e meno assai PCI sono sospettabili di complicità, ma qualcuno si. Mi pare che questo Ciccio Monaco non ci tenga a fare chiarezza, ma a difendere una posizione a posteriori ideologicamente e giuridicamente errata, come mette in risalto Cristofaro Lotito.

  4. D’accordo con Campanini: un minimo di onestà questo vorrebbe. Io ricordo perfettamente quelle giornate e la disperazione delle persone che portavano la responsabilità delle decisioni. Ricordo l’inefficienza (colpevole come diceva Taviani perchè a suo giudizio il ministero degli interni era stato distrutto dopo di lui; citava in particolare il periodo di Restivo) delle ricerche che davano l’angoscia. Me ricordo anche che il giorno stesso prima di sera tutti, dico tutti, i partiti alzarono le barricate nel timore che la DC per Moro diventasse cedevole e con i partiti anche tutta o .quasi la stampa. Nessuna trattativa! prima ancora di capire se qualcuno avrebbe proposto una trattativa o se l’ostaggio avrebbe dovuto seguire la sorte degli uomini della sua scorta. Ero in contatto con Tina Anselmi e ricordo bene quello che via via si andava svolgendo. Per me è squallido il tentativo di accreditarsi dei socialisti come i possibili salvatori di Moro, quando non c’era un appiglio reale che ne facesse intravvedere la possibilità. Parole, parole, parole; ma una grande rapidità, quella sì, di approfittare della sua morte per un cambio radicale di politica, in accordo con i centristi democristiani che, peraltro, insieme ai socialisti non fecero una bella fine. E purtroppo ci rimise il paese. Veltroni potrebbe dedicarsi a qualcosa di meglio.

  5. Il caso Cirillo è già stato citato e non lo ripeto.Quanto alla fermezza ne è noto l’esito:la distruzione di tre partiti.L’assassinio voluto da forze contrarie alla politica morotea e attuato con la connivenza dei sostenitori della fermezza.

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