The Little boy and the Fat man nell’agosto del 1945 

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Il genocidio degli ebrei e la distruzione delle due città giapponesi provocata dalle bombe atomiche Little boy e Fat man costituiscono due eventi terribili del XX secolo. Negli anni successivi l’attenzione non si è soffermata in maniera adeguata sulla tragedia giapponese, al contrario di quanto è accaduto per la shoah. Si ritiene che lo stesso Giappone abbia rimosso questa tragedia, abbia voluto quasi dimenticare; persino comprenderne le “ragioni”. Se in qualche misura è vero, e se non è stato coltivato il rancore, questo è stato in nome di una scelta radicale per la pace 

 

 

Non possiamo comprendere i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki senza ricordare le alleanze politiche nel corso della seconda guerra mondiale e le categorie di Oriente e Occidente come erano intese nel ’45, e in parte ancora oggi.

Il 6 e il 9 agosto del 1945 gli Stati Uniti, un paese occidentale, è in guerra contro la Germania, e questo spiega in parte la scelta di sperimentare la bomba atomica in Giappone, un paese nemico e orientale. Un’altra motivazione fu quella di fare quell’operazione in fretta prima che la facesse un paese nemico, la Germania, che, secondo alcune voci, aveva anch’essa una bomba atomica pronta.

Ma soprattutto, gli Stati Uniti erano convinti che lanciare quelle due bombe (una all’uranio e l’altra al plutonio) in due città di media grandezza avrebbe costretto subito il Giappone alla resa. Quello giapponese è un popolo orgoglioso e mai si sarebbe arreso senza essere costretto da un fatto eclatante o da una decisione dell’Imperatore (considerato in Giappone come un Dio); avrebbe combattuto fino alla fine, anche a costo della morte dell’intera popolazione.

E, in effetti, dopo la distruzione delle due città, soprattutto di Hiroshima che fu completamente rasa al suolo con centinaia di migliaia di vittime, il 15 agosto 1945 l’Imperatore Hirohito firmò l’accordo con il Presidente Harry S. Truman per la resa, ed ebbe così fine la seconda guerra mondiale.

Insieme al genocidio degli ebrei, la distruzione delle due città giapponesi provocata dalle due bombe atomiche (Little boy e Fat man) costituisce il male assoluto del XX secolo. Poi ci sono state Cernobyl e Fukuiama, ma per queste tragedie bisognerebbe fare un’altra riflessione.

Non è lecito fare paragoni tra le tragedie, chiedersi quale sia stata la più tremenda, ma certamente l’attenzione negli anni successivi non si è soffermata in maniera adeguata su quella giapponese. D’altra parte la memoria rimane viva se le vittime o le generazioni successive ne parlano. Si può dire anche per coloro che ci lasciano: nessuno muore finché c’è qualcuno che ne parla.

La trasmissione generazionale dell’olocausto è stata forte ed oggi è ancora viva tra i giovani ebrei, cioè la terza generazione delle vittime dello sterminio. La domanda, allora, è d’obbligo: si è realizzato un percorso di trasmissione nel popolo giapponese? Cosa rimane oggi nella memoria dei più giovani?

È singolare che oggi, nelle olimpiadi di Tokio, si sia risposto in maniera negativa alla richiesta del sindaco di Hiroshima di fare qualche minuto di silenzio in memoria della tragedia del 6 agosto 1945.

E’ opinione diffusa che il Giappone abbia rimosso questa tragedia, abbia voluto dimenticare. È vero? E perché?

È noto che quello giapponese non è un popolo che manifesta in maniera visibile i propri sentimenti; li esprime sempre con discrezione, senza enfasi, con modestia e pudore. Così è stato vissuto anche un grande dolore come la perdita di centinaia di migliaia di vite umane, come è accaduto per Hiroshima, dove sembra che le vittime in pochi secondi siano state tra 90mila e 166mila (forse addirittura 200mila), e per Nagasaki (tra 60mila e 80mila), senza contare la morte per ustione di tanti sopravvissuti (chiamati hibakusha, persona esposta alla bomba) nei mesi e negli anni successivi. Gli effetti delle intossicazioni sono presenti ancora oggi.

Ma quello che sorprende è il fatto che l’Occidente abbia rimosso quell’evento. Per quello che mi risulta, non ci sono stati pentimenti e richieste di perdono per ciò che è accaduto. Eppure le conseguenze di quel male sono vive ancora oggi, tra i superstiti e nelle due generazioni successive.

 

Nel 2014 sono stata ad Hiroshima, la città nuova, moderna, completamente ricostruita. Non è rimasto nulla di quanto c’era prima, a parte la “Cupola della bomba A” (Sala della Prefettura per la promozione industriale), che si trova a pochi metri dal ground zero e che rimane a testimonianza della tragedia. Le sue rovine, ora Memoriale della pace di Hiroshima, sono state riconosciute Patrimonio dell’UNESCO nel 1966, nonostante il dissenso degli Stati Uniti e della Cina.

Nel parco della pace di Hiroshima, il piazzale della memoria, un altare simbolico ricorda ciò che è accaduto il 6 agosto: qui i fiori sono sempre freschi. Nel cenotafio si legge una frase: «Riposate in pace, perché questo errore non sarà ripetuto». Così hanno voluto commemorare le vittime di Hiroshima senza politicizzare la questione.

Lungo il fiume, dove si gettarono le persone mentre bruciavano per le ustioni provocate dalla bomba, sono collocati alcuni simboli che ricordano quei giorni: le rappresentazioni del sogno di una bambina ustionata che morì pochi giorni dopo in ospedale e la mostra di disegni sulla pace che i bambini fanno oggi ricordando quell’episodio; i giochi con gli origami che la bimba faceva in ospedale; le campane che chiunque può fare suonare per richiamare tutti alla pace. Sono tutti simboli di pace, così come un’aurea di pace e sacralità si respira al di là del mare, dove si intravede il tempio dell’isola di Miyajima, nella baia di Hiroshima.

Nel “Memorial Museum of peace of Hiroshima sono esposte le foto delle vittime e dei danni provocati dall’esplosione, le foto della cura dei feriti, dello sgombero dei detriti e della ricostruzione, le foto della ripresa della scuola per i bambini. Sono tutte rappresentazioni del passato che invitano a desiderare e costruire un futuro di pace.

 

Dicevo prima: il Giappone ha rimosso quanto è accaduto, ma forse questo non è vero del tutto. Il Giappone, dopo la sconfitta si è alzato in piedi; ha scelto di non fare la vittima nei confronti dell’Occidente. Dopo la guerra ha intessuto buoni rapporti con gli Stati Uniti e co l’Occidente, rapporti che mantiene tuttora, senza rancore, almeno apparente. Anzi, oggi il Giappone si percepisce come Occidente, è Occidente. Lo è anche in contrapposizione con la vicina Cina: non solo è stato in contrapposizione alla Cina nel ‘45 (quando era alleata della Russia) ma lo è ancora oggi. Mentre i rapporti con gli Stati Uniti sono ottimi.

Per capire meglio questa che appare una rimozione, in questi giorni ho fatto due brevi interviste a un giapponese della seconda generazione (anni 71) e un giovane italo-giapponese (anni 27) sul tema della memoria e/o della sua rimozione e sui sentimenti che provano nei confronti degli Stati Uniti. Riporto qualche brano delle loro risposte

«[…]. Primo, il fatto che non si parli spesso di quello che è accaduto durante la guerra a Hiroshìma e Nagasaki, e comunque molto meno rispetto ad eventi tragici come Cernobyl, dipende dal fatto che quello è stato un episodio di guerra. I giapponesi, che consideravano l’Imperatore un Dio non si volevano arrendere a nessun costo. È’ stata quasi una cosa inevitabile: loro erano disposti a morire tutti pur di non arrendersi al nemico, perché l’imperatore-Dio aveva detto così. Dopo quegli eventi tragici ci fu un accordo tra Stati Uniti e Giappone che portò molti miglioramenti tra i giapponesi, soprattutto nella classe più povera … Comunque arrivarono ad un accordo: l’Imperatore, il 15 agosto, comunicò che la guerra era finita. Poi gli americani piano piano in maniera amichevole, come hanno fatto con l’Italia, si sono introdotti nel Paese dando regali e aiuti. Penso che è stato un bene che i vincitori siano stati gli americani perchè se avessero vinto i cinesi o i sovietici oggi potevamo essere come la Corea del Nord!

Un evento come Cernobyl è un problema di vita quotidiana, cioè se usare o meno l’energia atomica che può creare un certo tipo di incidenti, per cui è normale che se ne parli di più, così come si parla molto di Fukushima (il disastro nucleare avvenuto in Giappone nel 2011) che è più recente e attuale.

Per quanto riguarda il pensiero dei giapponesi nei confronti degli americani, è ovvio che appena finita la guerra la generazione dei miei nonni, di mio padre, avevano dei risentimenti; ma non fortissimi. Ripeto, con il senno del poi tutti hanno pensato che è stato un bene che fossero gli americani i vincitori e non popoli come i sovietici o i cinesi. I giapponesi, non covano forti risentimenti in generale anzi, con il tempo sono diventati quasi un paese satellite degli americani; li copiano in tutti i modi, nei loro stili di vita. È chiaro, il giapponese non sarà mai l’americano però un po’ ci prova […].

Nel 2017 fu firmato il trattato per la proibizione delle armi nucleari. È ovvio che, anche se non si nominano continuamente Nagasaki e Hiroshìma, in quel trattato si fa riferimento ad esse.  È ovvio che è un discorso molto importante che è rimasto […]. Questo trattato tanti Paesi l’hanno firmato, anche il Vaticano e S. Marino; il Giappone no, l’Italia no, la Germania no. In quell’anno, quando fu sottoscritto il trattato, molti giapponesi che avevano vissuto quell’esperienza, erano molto arrabbiati per il fatto che il Giappone non avesse firmato questo trattato. E in quell’occasione il discorso è tornato fuori […].

Ultime due cose che ci tenevo a dire: comunque in Giappone, almeno in Giappone, il ricordo c’è e viene coltivato nelle scuole; almeno una volta, in qualunque scuola, c’è una gita  scolastica a Hiroshima, al Museo della pace. Quello che i giapponesi hanno imparato da questo è essere contrari alla guerra. Hanno imparato che la guerra non si fa. È un Paese fondamentalmente pacifista e questo proprio, nella mentalità dei giapponesi, è rimasto».

(Testimonianza del giapponese di seconda generazione, 71 anni)

 

«Le stragi del 6 e del 9 agosto del ’45 non possono essere paragonate a quella dell’olocausto degli ebrei, dal momento che partono da presupposti diversi. L’olocausto nasce da una cattiveria nei confronti di una razza che è ritenuta inferiore. Quando si parla di bomba atomica si parte da presupposti diversi, che sono comprensibili all’interno di un conflitto bellico, in un periodo storico specifico. Non è possibile paragonare le due tragedie. I Giapponesi non hanno dimenticato. I memorial day in Giappone sono molto sentiti e gli eventi di quei giorni molto partecipati. Forse qui in Europa non sono conosciuti. Sull’eventuale atteggiamento di rancore dei giapponesi nei confronti degli Stati Uniti, non saprei, essendo vissuto sempre in Italia».

(Testimonianza del giovane italo-giapponese di terza generazione, 27 anni)

 

Chiara Carmelina Canta

(Università Roma Tre)

 

 

6 Comments

  1. Grazie per questo contributo. Mi permetto di segnalare da Parma una mozione in consiglio comunale (di cui sono stato primo firmatario) sul tema dell’adesione dell’Italia al trattato contro il nucleare e una bella iniziativa che si è svolta oggi 6 agosto:
    https://ciaconlus.org/it/news/dettaglio-news/parma-sceglie-un-mondo-libero-dalle-armi-nucleari-consiglio-comunale-approva-mozione-e-venerdi-presidio

    • Carissimo,

      grazie per il commento che segnala la bella mozione del Consiglio comunale di Parma, di cui Lei è il primo firmatario, e l’iniziativa della Casa della pace. Sono convinta che siano molto importanti le voci dal basso, di tutti coloro che vivono i drammi del nostro tempo.
      Chiara C. Canta

  2. Non si ricordano mai due cose: che i giapponesi hanno iniziato la guerra contro la Cina e per invadere l’Indocina e arrivare fino in India, sospinti da una insensata volontà di potenza di un nazionalismo mostruoso, come il nazismo. Nessuno li ha costretti a farlo. In più nel fare questo hanno dimostrato una crudeltà incredibile nei confronti dei soldati nemici e dei progionieri di guerra, una crudeltà al limite dell’assurdo e del disumano. E anche in questo caso non c’era alcun motivo di essere così mostruosamente crudeli. Per far cessare la guerra l’altra opzione sarebbe stata uno sbarco di terra (stile Normandia) che si stima sarebbe costato la vita a oltre 100.000 soldati americani. Non si vede perchè 100.000 ragazzi americani dovevano perdere la vita per far cessare questa follia del nazionalisto nipponico, paragonabile al nazismo, di cui erano alleati. Se con due bombe atomiche si è riusciti a convincere il dio-imperatore e la sua banda di generali militaristi a far finire la guerra, penso che sia stata la soluzione migliore. In più il Giappone non ha mai chiesto scusa per le sofferenze inferte alla Cina e agli altri paesi aggrediti. Insieme con il dispiacere dei civili morti nelle due città, non bisogna mai dimenticare questo quadro, che inevitabilmente portato a quella scelta.

  3. https://it.wikipedia.org/wiki/Crimini_di_guerra_giapponesi
    Non per insistere sul tema, ma per far conoscere da fonti oggettive il quadro storico in cui si inserisce la necessità di fermare, anche con due bombe atomiche, il militarismo giapponese, quello sì, male assoluto, come il nazismo.

    • Gent. Signora,
      apprezzo la quantità delle sue informazioni, che sono sicuramente un contributo per altre pagine della storia. Vede, credo si debba far parte di quelli che non cercano di bilanciare i torti fra di loro, paragonando un male ad altro avvenuto altrove e in tempo diverso. La legge della ritorsione colpo su colpo la vediamo spesso applicata ancora oggi, ripetutamente. Del resto noi Italiani conosciamo persino il costume della faida e della giustizia odiante che produce repliche nei secoli dei secoli. Credo che sulla strada da lei indicata, mi perdoni, il rancore non possa finire mai. Con le due bombe atomiche si è stabilito il record mondiale dello sterminio di civili nell’unita di tempo. Non sono orgoglioso che tutto questo venga dalla mia civiltà ed ancor meno che la memoria di questo record del crimine non venga tenuta presente quotidianamente. Altrimenti si finisce col diventare come il giovane Giapponese di cui parla Chiara Canta. In ogni caso, grazie della sua competenza storica.
      Guido Oldani,
      fondatore del movimento del Realismo Terminale.

  4. Tragedie collettive ancora in corso (come quella che stiamo vivendo dopo la presa di potere dei talebani in Afghanistan: quanto deve essere grande e incommensurabile la disperazione di chi ritiene di poter fuggire dal proprio paese aggrappandosi alle ali di un aereo?) pongono interrogativi sul ruolo delle grandi potenze: su come interessi e valori (ma soprattutto interessi mascherati da valori) vengono agiti da Stati Uniti, ex Urss e Cina, sulla pelle dei popoli. Nel caso attuale viene da chiedersi, di nuovo, cosa sia non solo oriente e occidente, ma anche medio oriente. Nuove e vecchie, sono tragedie che lasciano attoniti, in preda al rischio che a tanta tragedia corrisponda altrettanta rimozione collettiva. Quindi la domanda non è solo storica, ma rimanda al presente delle nostre istituzioni educative, a ciò che esse fanno o non fanno per tener vivi sia la memoria sia il monito della storia. Mi colpisce il fatto che il giovane italo-giapponese nelle sue risposte abbia tagliato corto. Mentre le tragedie si ripetono, noi non siamo capaci soffermarci sui loro perché, neanche con l’occhio critico di 76 anni di distanza. Questo giovane mi pare esprima una testimonianza significativa di una tendenza a minimizzare il conflitto. Comunque sia, quella dei sopravvissuti è una posizione degna di rispetto. Perché non abbiamo bisogno di altre scelte cone quella di Primo Levi!

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