POSSIAMO EVITARE UN’ALTRA LEPANTO?

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Il Sole 24 Ore ha anticipato, domenica 15 marzo, una parte dell’intervento di grande interesse che Luigi Bonanate terrà alla Biennale Democrazia a Torino il 28 marzo (“Possiamo evitare un’altra Lepanto?”). L’autore sostiene che i “jihadisti non uccidono gli americani perché vogliono conquistare gli Usa, ma perché vogliono costruire un tipo di società – sulle loro terre – distinta e diversa da quella che vogliamo noi. Vogliono utilizzare loro le loro risorse”. E aggiunge: “L’Occidente deve decidere una cosa: se predilige l’idea dell’eguaglianza universale e dell’autogoverno (basi della concezione democratica) deve ritirarsi da dovunque non sia ben accolto, e permettere a chiunque di autogovernarsi come vuole (dopo ciò, potrà impegnarsi nella ricostruzione di rapporti di civiltà). Altrimenti deve avere una concezione della società secondo la quale l’idea occidentalistica è superiore a qualsiasi altra, e dunque essa deve combattere, ovunque nel mondo, modelli di società diversi”. Tertium non datur.

 

 

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  1. I jihadisti (chiamiamoli così per semplicità) non uccidono gli americani perché vogliono conquistare gli Usa, ma perché vogliono costruire un tipo di società – sulle loro terre – distinta e diversa da quella che vogliamo noi. Vogliono mandarci via dalle loro terre: possibile che non lo si capisca? Vogliono utilizzare loro le loro risorse.

    Il mondo cambia continuamente con la stessa frenesia con cui cambiamo le colonie di batteri. Difficile riconoscere una capacità batterica, progettuale e unitaria in grado di guidare i sommovimenti espansivi della loro colonia. Difficile comprendere se abbiano consapevolezza dei confini e dell’ampiezza della loro colonia. Noi umani supponiamo di essere molto più intelligenti, qualsiasi sia il significato di questa parola, ma ho il personale dubbio che l’umanità abbia la capacità di progettare e realizzare un sistema sociale unitario, perfetto, funzionante e resistente nei secoli. In quest’articolo c’è un “loro” e un “noi” il cui confine è tracciato dallo stesso autore, di fatto sostenendo la tesi che un confine debba esistere.

    Da parte mia intuisco, empiricamente osservo, che ogni comunità, anche qui non so esattamente cosa sia una comunità, cerchi di fare il proprio meglio per obiettivi talvolta intuibili altre volte misteriosi.

    Al contrario di quanto mi pare affermi l’autore, gli jihadisti hanno già una società distinta da quella degli americani, usano già le loro risorse. Vogliono mandarci via dalle loro terre? In effetti riescono piuttosto bene a mandare via sia noi sia i loro simili dalle terre che considerano loro.

    L’Occidente deve decidere una cosa: se predilige l’idea dell’eguaglianza universale e dell’autogoverno (basi della concezione democratica) deve ritirarsi da dovunque non sia ben accolto, e permettere a chiunque di autogovernarsi come vuole (dopo ciò, potrà impegnarsi nella ricostruzione di rapporti di civiltà).

    Non credo che l’Occidente prediliga l’uguaglianza; direi piuttosto il contrario: predilige la diversità. Ciascuno pensi, agisca, persegua il suo “personale sogno” e la sua “personale Cosa Giusta”. L’”uguaglianza” si limita all’uguale diritto di perseguire le proprie personali, perciò diverse, aspettative con il minimo degli ostacoli. Proprio qui sta la rivoluzione sociale democratica: “ciascuno si governi come gli pare, insieme a tutti quelli che hanno idee diverse”. E infatti ci sono gli Amish, (c’erano) gli indipendentisti dell’ETA, dell’Irlanda, gli ultra ortodossi in Israele e infiniti altri gruppi e gruppetti. In continuo rapporto di concorrenza e convergenza. Ed è sempre parte della democrazia agire con la massima energia possibile, anche violenta, ma progressivamente sempre meno violenta a favore di altri metodi più efficaci e anche più efficienti. Da ultimo: perché “andarsene”? Per questioni di principio? Le stesse questioni di principio per le quali accogliamo comunità di “diversi” che per noi sono sempre meno diversi? Sono proprio quei principi che ci suggeriscono di andare e restare dove ci sembra il nostro sogno stia meglio. Restare almeno fino a quando qualcuno non ci mandi via.

    L’Occidente è stretto tra principi astrattamente democratici e l’insofferenza (intollerante) per le idee “diverse” dalle sue; vorrebbe che tutti fossero uguali, ma vuole essere lui a sfruttare le risorse naturali dei “diversi”.

    Tutti hanno sempre voluto usare le risorse, non solo “naturali”, degli altri. Non è una novità democratico-occidentale. Ma concordo su un punto:
    a) Ciascun “homus occidentalis” si è allenato più efficacemente di altri ad utilizzare a proprio vantaggio le idee degli altri
    b) Ciascun “homus occidentalis” sfida continuamente e apertamente le proprie idee (anche in questo articolo)

    O gli Usa (e noi con loro) ammettono il principio di «indifferenza universale» e lasciano che ciascuno si prenda quel che vuole, ovviamene in condizioni di reciprocità. In questo modo gli unici conflitti astrattamente possibili diverrebbero quelli che violano questo principio nel tentativo di appropriarsi di qualcosa che non è loro. La cosa non è banalissima: mentre da diversi secoli l’Occidente sfrutta l’Oriente estremo o medio, questi due non hanno mai sfruttato l’Occidente.

    Da alcuni decenni gli antropologi si chiedono come mai l’Occidente si è espanso in tutto il mondo e non viceversa. Il fenomeno però è un po’ più complesso:
    a) Molte persone sono state attratte dall’Occidente e vi si sono trasferite contribuendo ad una miscelazione altrove proibita o proibitiva.
    b) Il “resto del mondo” ha tentato di venire in Occidente; fra i casi più recenti, gli Ottomani. Mi permetto comunque di dubitare che il “resto del mondo” non sia venuto, o non ci sia rimasto per ragioni morali o per principi democratici.

    Noi siamo andati e andiamo da loro, mentre soltanto ora essi vengono da noi, e nel modo terribile che sappiamo. Oppure devono decidere di partire alla conquista del mondo. Anche in questo caso, tertium non datur: o ci si accetta reciprocamente o uno deve sopprimere l’altro.

    L’asimmetria morale sulla cui base di fonda l’articolo qui esplode con una tesi assai jihadista. Ci devono essere ragioni non ancora esplicitate per cui l’Occidente dovrebbe coprirsi il capo di cenere per colpe, evidentemente morali, che sono ancora tutte da chiarire. Perché l’autore non prova invece a suggerire percorsi agibili “sulla reciproca accettazione”? Indirizzando concretamente cosa l’Occidente dovrebbe sacrificare, e cosa “il resto del mondo “ dovrebbe sacrificare, in funzione di una efficace negoziazione di reciproca soddisfazione?

    Ragioni storiche non misteriose e ben comprensibili hanno fatto sì che l’Occidente si sia sviluppato prima e sia prevalso sul resto del mondo.

    L’autore sopravvaluta i suoi lettori, me per primo, nel riconoscerci una straordinaria capacità di comprendere le “ragioni” che ci dice di avere in mente, ma che non ci comunica.

    Ma a un certo punto e un po’ per volta le differenze si attenuano e le distanze socio-culturali ed economiche si riducono. Sotto certi profili ci si potrà anche sovrapporre e accettare la stessa medicina e le stesse cure che oggettivamente migliorano le condizioni di vita dei malati; ma su come debba esser organizzato uno stato, ebbene, questo non è un tema sul quale si possa giungere all’accordo universale.

    Mi scuso con l’autore, ma non ho capito la tesi. Vorrebbe forse comunicarci che secondo lui non è possibile concordare sui metodi di governo? Per quali ragioni i metodi di governo sarebbero meno rilevanti delle motivazioni religiose, oppure climatiche, oppure culturali, o qualsiasi altra area d’interesse sulla quale invece più sopra l’autore indicava avremmo dovuto, non potuto, proprio dovuto, accettare reciprocamente?

    Anzi: l’idea di autogoverno che l’Occidente ha sempre propugnato nasce proprio dalla constatazione che gli stessi principi non valgano per tutti e non tutto piace ugualmente a tutti.
    Concordo, la democrazia è un sistema alla continua ricerca di nuovi equilibri fra aspettative diverse.

    L’idea di Stato occidentale non corrisponde per nulla a quella di umma islamica, una comunità senza confini.

    L’autore sembra dichiarare che la umma islamica non ha spazi negoziali flessibili rispetto al modello negoziale democratico Occidentale. Ma non solo, poiché i confini sono un fatto e la porosità dei confini anche, quale approccio l’autore suggerisce all’Occidente? Di sottomettere l’Occidente alle leggi dell’umma? Di limitarsi a stare entro i suoi confini tenendo fuori l’umma? Entrambe le soluzioni sembrano essere da lui rifiutate. E anche la terza: la negoziazione con ogni mezzo.

    Sebbene le logiche esposte risultino ostiche e non sempre coerenti, l’articolo stimola la riflessione

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