Mi piacerebbe che i partiti… E voi che dite?

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Anche sul sito www.eptaforum.it (autorevole cenacolo di giuristi e intellettuali di area cattolica e democratica), da tempo si agitano i temi della riforma delle istituzioni e della politica italiana. Francesco Paolo Casavola è stato chiarissimo: “lo Stato dei partiti ha ucciso la democrazia”. Ugo De Siervo ribadisce: “è necessario un profondo rinnovamento dei partiti”.  E Pier Alberto Capotosti:  “servono partiti nuovi, non nuovi partiti”. Dal canto suo, Marco Revelli, nel gennaio di quest’anno, ha dato alle stampe un piccolo e bel libro, Finale di partito (ed. Einaudi, 2013) in cui spiega: “è in atto una mutazione del tradizionale protagonista della nostra democrazia: il partito politico. Come l’impresa ha trasformato la sua struttura dopo la crisi del fordismo, così i partiti stanno cambiando natura dentro una clamorosa crisi di fiducia. E talvolta finiscono”. 

Del resto già nel 2011 un sondaggio di Renato Mannheimer  rivelava che l’operato del governo era valutato positivamente solo dal 18 per cento degli intervistati; e l’operato dei partiti di opposizione era positivo solo per il 13 per cento. La distanza critica tra l’ “animo” dei cittadini e l’ “immagine” concreta della politica è dunque elevatissima e tocca direttamente i partiti, la classe e l’azione politica che esprimono.

Per porre riparo a un tale disastro si avanzano molte e diverse proposte in tema di istituzioni, sistema politico e parlamentare, leggi elettorali… In ogni caso, il punto da cui partire è l’art. 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Una delle cose più scandalose  in tema di “Costituzione  inattuata”  è  l’ evidente, clamorosa  mancanza di una legge applicativa di questa norma costituzionale. I partiti vivono in una situazione di carenza normativa che ha favorito il loro deterioramento civile e culturale fino ai confini della illegalità. Certo, per molti anni c’era stata  (forse!) una generale convergenza di fatto intorno al significato concreto del “concorrere con metodo democratico”, cioè della democrazia all’interno dei partiti e dell’azione dei partiti nella società. Ma oggi evidentemente non è più così.

Dunque,  per restituire trasparenza ed efficacia alla nostra democrazia servirà  riflettere su alcuni possibili mutamenti  istituzionali (bicameralismo, semipresidenzialismo, criterio di ripartizione dei seggi maggioritario, proporzionale…). Ma sembra evidente che la prima e più urgente riforma dovrebbe essere una  normativa (seguita da una prassi coerente) circa la vita, l’azione e il ruolo concreto dei partiti.

E non si tratta di un problema da poco o meramente tecnico. Si tratta di affrontare davvero il ruolo dei partiti nel nostro sistema politico. Credo che dovrebbe aprirsi una riflessione seria, approfondita: non frettolosa o polemica. E poi Sarà necessario intessere un dialogo, tra soggetti politici ma soprattutto tra cittadini , per arrivare ad un orientamento coerente e praticabile, capace e meritevole di diventare patrimonio comune e infine comune esercizio del diritto di cittadinanza da parte dei cittadini e del dovere di coerente azione politica da parte dei politici. Gli uni e gli altri, legati da una reciproca amicizia civile e riconoscimento delle competenze e della onestà.

Mi piacerebbe che i partiti fossero delle realtà trasparenti, con uno statuto democratico, una composizione, uno statuto e un’ azione pubblica conosciuta. Che possa esserci un controllo sulla loro vita democratica interna;  sul  loro finanziamento  (un due per mille? un contributo pubblico proporzionato a quello – trasparente – dei privati ? una detraibilità?); sulla trasparenza e sobrietà della loro leadership (a cominciare dagli aspetti culturali, etici, per finire a quelli patrimoniali); sulla serietà e incisività della loro azione di approfondimento e divulgazione culturale.  Immagino che potrebbe esserci (ed essere pubblico) l’elenco dei dirigenti, dei militanti… Che l’articolazione della loro presenza nella società (sezioni, club, giornali, internet, convegni, manifesti) sia nota e normalmente aperta a chi vuole partecipare; che riesca ad essere di buon livello, onestamente impegnata a diffondere e a verificare le proprie idee e proposte. Che ci siano delle regole di comportamento pubblico – e anche privato – sui temi che possono interessare tutti  i cittadini,  perché far politica, anche di base, è comunque una funzione  pubblica; e ciascuno che vi si dedica deve anzitutto garantire la massima trasparenza.  Il diritto-dovere di giudicare e se del caso punire chi nella vita politica ha una condotta equivoca e disonesta, non è solo competenza dei magistrati,  ma è diritto dovere degli aderenti e dei simpatizzanti dei partiti e di tutti i cittadini.

Immagino un partito… – anzi no: un sistema di partiti, perché il sistema politico chiede dei soggetti omogenei; e poi: se ci fossero cinque partiti, e solo quattro fossero virtuosi (nel senso fin qui indicato), non è escluso che il quinto, magari più spregiudicato e meno limpido, indurrebbe gli altri a corrompersi – …immagino dunque dei partiti che (come in parte sapevano fare nel dopoguerra e nei primi decenni di vita democratica)  siano una scuola di vita civile; dialoghino continuamente con la varie istanze della società civile e con  i cittadini (singoli e organizzati in forme associative); che sappiano educare i giovani, valorizzare le persone mature (anche al di fuori di ruoli e compiti pubblici istituzionali). Che non facciano solo comizi e propaganda, ma sappiano dialogare, alla base e al vertice, e imparino così a leggere i segni dei tempi. E poiché i segni dei tempi sono tanti, piccoli e grandi, locali e cosmici, servono vari partiti e molte persone e molta analisi e molto dialogo…

E così, alla fine, avremmo un dialogo tra la società e la politica fatto di idee e non di sotterfugi, di speranze costruite insieme e condivise; avremmo una  classe dirigente cresciuta in questa corresponsabilità che si vergognerebbe di comportarsi come si comporta una parte significativa dell’attuale…  Del resto negli anni ’50 e anche dopo, in parte, i politici provenienti dal mondo associativo, culturale, sindacale, erano ispirati da idee, progetti, speranze ben diversi da quelli di cui leggiamo oggi la cronaca sui giornali.

Per comodità del lettore, e per provocare qualche intervento, provo a riassumere alcuni obbiettivi sui quali mi sembra che si potrebbe riflettere insieme per disegnare una forma-partito migliore di quella che attualmente prevale (se si può parlare di “forma” per i nostri attuali partiti…): quale tipo di soggettività andrà riconosciuta ai partiti; a quali condizioni; quali regole per iscriversi, regole per diventare dirigenti; quale trasparenza economica e quali fonti di finanziamento; quali regole di democrazia interna; quali caratteri minimi del ruolo culturale, e altri caratteri  possibili riguardo cultura e informazione e a quali condizioni; a quali condizioni si acquista e si perde la soggettività per proporsi all’elettorato; come  selezionare la classe dirigente, come cambiarla; come i partiti potranno trasformarsi e cambiare secondo le novità dello scenario politico e sociale (e tecnologico).

 Naturalmente non tutto può e deve essere definito per legge. Ma può essere utile immaginare scenari complessivi per definire  le strutture portanti del sistema dei partiti per una democrazia sempre più “sostanziale”,  nella quale la dimensione della “partecipazione” si equilibri, ed anzi sia sinergica, con le dimensioni della rappresentanza, della delega e del controllo.

Tra le molte possibili mi permetto di segnalare qui alcuni testi apparsi di recente e che costituiscono a mio avviso un patrimonio importante che il mondo cattolico democratico offre oggi alla riflessione su questi temi. I primi due sono piccoli libri ma lucidissimi e concreti, proposti dall’editrice In dialogo, espressione del movimento Città dell’uomo  fondato da Lazzati . Uno è Democrazia nei partiti, con testi di Luciano Caimi, Emanuele Rossi, Enzo Balboni, Angelo Mattioni, Valerio Onida e Filippo Pizzolato.((In dialogo ed, 2010). In particolare segnalo l’intervento di Rossi : “Per una disciplina legislativa dei partiti politici”. Il secondo libro è Etica e verità in democrazia, curato da Luciano Caimi, con testi di Guido Formigoni, Michele Nicoletti, Luigi Franco Pizzolato e Giuseppe Lazzati (In dialogo ed, 2011). Un terzo libro è di Lorenzo Caselli, già presidente del Meic e docente di etica economica: La vita buona nell’economia e nella società (ed Lavoro, 2012). Da queste e analoghe sorgenti culturali e morali potrebbero venire idee e forze adeguate a proporre e realizzare un autentico, necessario rinnovamento della politica e, in particolare, della forma e dell’anima dei partiti…

Angelo Bertani

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  1. Un partito dovrebbe aggregare il pensiero sociale di molti e interagire a nome della comunità per debellare gli ostacoli che ne rallentano l’evoluzione.
    Un partito con messaggi plurimi e antitetici è una caricatura della confusione mentale indotta dagli interessi economico-finanziari dei pochi a danno della massa.
    Credo che le parole scorrano ormai come acqua dal rubinetto e che la noia e il dissenso si siano sostituiti all’entusiamo liberatore della partecipazione.
    Solo un sussulto di orgoglio e dignità ci farà spegnere la tv davanti ai vari sondaggisti.
    Le idee sono varie e l’impronta politica è sociale o anti-sociale (vedi classista).
    Gli uomini confusi dopo aver confuso si disperderanno…in natura così van le cose e noi non siamo ancora tutti in mano ai marziani.

  2. Credo sia necessario 2 partiti governativi europei, uno aderente al PPE e uno all’ALDE, in modo da presentare all’elettorato europeo italiano un programma governativo strategico con due varianti su punti tattici – tali da consentire la governabilità nell’alternanza -.

    Un Governo Politico Europeo dovrebbe stabilire una fiscalità unica sul solo reddito imponibile (sulla differenza tra prezzo e costo) e non presumere redditi sui beni patrimoniali, che in Europa e in particolare in Italia non possono dare reddito in quanto troppo onerosi da mantenere ( e dal valore non calcolabile in termini economici ).

    La proprietà della prima casa di residenza in primis è da considerare bene rifugio per i momenti più indifesi della vita umana – la gravidanza, il puerperio, l’infanzia, la malattia e la vecchiaia – perciò assimilabile al no profit per eccellenza e non tassabile fino a quando non divenga fonte di reddito.

    La proprietà della prima casa di residenza corrisponde alla libertà di vivere il Sacramento del Matrimonio, irrinunciabile come l’Ordine per ogni Pia Societas .

    Cordialmente
    Maria Vittoria Cavina

  3. Giustissima l’analisi di Angelo su come sono ridotti i partiti (di fatto ne è rimasto uno solo e non in buona salute). Forse però dobbiamo resistere al riflesso pavloviano di noi italiani: “C’è un problema? Facciamo una legge”. Le leggi semmai (semmai..) servono alla fine di un processo, per regolarlo anche giuridicamente, non possono stimolarlo. Il rinnovamento non può che partire dall’impegno dei cittadini, dalla voglia di “sporcarsi le mani”. Accompagnato però da una consapevolezza culturale che oggi manca sia nelle élites politiche sia sovente anche tra i cattolici che si definiscono democratici. Si tratta della consapevolezza che la società italiana di oggi è radicalmente diversa per composizione sociale, aspirazioni, cultura a quella nella quale siamo cresciuti (sino alla metà degli anni Ottanta) e alla quale troppo spesso ci riferiamo per proporre riforme, rinnovamenti, impegni. Siamo alle solite: bisogna prima capire..
    Gianni Toniolo

  4. Il deterioramento dei partiti è in alcuni casi già oltre i confini della legalità. Nella mia regione alle ultime elezioni regionali havotato il 50% degli aventi diritto; difficile non considerare questo dato come una sanzione, una critica, una indifferenza.
    A mio parere una nuova regola è necessaria, ma non sufficiente.
    La crisi dei partiti dipende in parte dalla dolosa omessa predisposizione di regole, ma soprattutto da ciò che molte persone ritengono sia la politica. Da come la vivono. Quel senso alle volte arrogante di appartenenza ( pessimo termine per descrivere un’adesione o un impegno, diretto od indiretto) associato ad una debolezza programmatica ed ideale sconcertante, palesata ancor di più dalla crisi che non permette di navigare a vista, o di tirare a campare. Quell’ingerirsi in profili tecnici ( alle volte compiacenti), fisiologicamente estranei al perimetro d’azione della politica.
    Parlo di una patologia culturale e valoriale i cui sintomi erano ben presenti al crepuscolo della Prima Repubblica.
    Pensiamo alle indagini sui rimborsi ai consiglieri regionali: barbiere, gomme per auto, cene varie et similia.
    Serve una legge? Anzi, mi chiedo, sarebbe servita una legge?
    Probabilmente sì ma, il problema è soprattutto prima: ciò che siamo e ciò che è la politica. Non vi possono essere regole per diventare dirigenti o per imporre un livello culturale minimo. Qui, parafrasando Moro, siamo al di là del partito, siamo nella cultura e nell’etica, nel senso civico di ogni persona. Credo invece che su due profili sia necessario riflettere e, finalmente, agire : la forma giuridica associazionistica del partito, argomento in cui vi è da tempo un dibattito dottrinale alto anche in materia civilistica , ed il finanziamento, oggi sostanzialmente fuori controllo, nel senso sia della spesa che della verifica ex post.
    La regola nuova non è sufficiente, ho detto prima. Vi è una via indiretta al rinnovamento dei partiti, obiettivo di cui sento parlare da più di trent’anni. Ed è quella della ricostruzione della Politica. Prendere atto della necessità di un salto di qualità programmatica, ideale e di stile, con le forze interne ma anche esterne ai partiti. Alzare l’asticella dell’offerta politica, aprire i partiti non solo sul metodo democratico costituzionale, ma sulla proposta , sui progetti. Difficile che un processo di questo tipo si sviluppi autonomamente, per autocombustione. La fiammella del rinnovamento si è da sempre spenta appena il vento si è alzato. La responsabilità delle classi dirigenti è di favorirlo effettivamente, tralasciando anche ambizioni personali, prendendo atto di una crisi di contenuti che nessun metodo democratico riuscirà a sanare da solo. Al di là del mito della società civile, oggettivamente offuscato, si tratta dunque di investire nelle culture politiche aggiornate e nelle persone che sono in grado di interpretarle ed applicarle. Ripartendo dai problemi, la dignità della persona, le situazioni locali che non la garantiscono, le risposte che una comunità può dare. Veramente qui la cultura politica in generale di ispirazione cristiana appare più attuale e necessaria di altre.

  5. Caro Angelo,
    non ti posso nascondere lo scoraggiamento che provo a dovere esser io per primo a riprendere questo tuo bel pezzo. Mi sarei aspettato, data l’importanza del tema, un vero e proprio dibattito. Lo meritava. Peccato. Dobbiamo forse tutti insieme insistere di più sulla fenomenologia politica dei nostri giorni lasciando… lavorare Papa Francesco, ma declinando politicamente le sue ripetute sollecitazioni sugli ultimi.

    Per quanto riguarda il mio commento, so che non ti troverà impreparato. Ne ho infatti già accennato a Vittorio Sammarco, sempre su C3 Dem. , rispondendo alla sua (giusta ) preoccupazione a proposito del Pd come partito delle tessere. E ho buttato giù successivamente un pezzo più lungo che ho inviato a Formigoni e Caimi per la sua pubblicazione su “Appunti” .

    La mia tesi è quella che alla evidente crisi del partito politico, il Pd ha risposto con le primarie che a mio avviso non danno le risposte necessarie e sufficienti. E che forse rappresentano addirittura un rimedio peggiore del male che si vuole curare.

    Tu sul distacco tra Politica e Società ti soffermi sull’articolo 49 della nostra Costituzione rimasto sospeso nella legge applicativa. Condivido in pieno. E anzi ne faccio un punto centrale della mia critica alla primarie.
    Io sono stato invece più provocatore. E ho sostenuto, e ancora sostengo, che alla evidente crisi del partito politico, alla frattura seria e piena di incognite fra partito e società, al rischio di post-partitismo della democrazia – preludio della post-democrazia dei poteri forti – all’avvento di un populismo tragicomico, al partito sotto padrone, alla democrazia 2.0, alla personalizzazione di correnti non più di idee ma di potere interno, sino alle lotte fratricide e alle pugnalate alle spalle nel segreto dell’urna, ecc., ebbene a tutto questo almeno il Pd ( ma ricorderai che anche nel Pdl se ne era …parlato) ha risposto con la scorciatoia delle primarie. Pensando così di risolvere il rapporto con la storia e con i cambiamenti sociali, ma evitando di approfondire e portare a compimento l’art. 49 Cost. che da solo poteva dare soluzioni di democrazia partecipata e aperta inimmaginabili.

    La retorica sulla democrazia diretta delle primarie ha così a mio avviso nascosto l’inadeguatezza di una classe politica che si è voluta pilatescamente lavare le mani nei suoi irrinunciabili compiti di scelta “…con metodo democratico”(sic) della classe dirigente interna ed esterna al partito. Senza il minimo dubbio che tale procedura nascondesse invece contraddizioni evidenti, e sul fatto che se da un lato le primarie possono pure essere complementari al ruolo del partito e alla sua funzione, esse non lo potranno mai sostituire. Un metodo da maneggiare con precauzione, dunque. E secondo me solo apparentemente adatto alla rottura delle oligarchie. Mentre può addirittura risultare un rimedio peggiore del male in quanto acceleratore della crisi del Partito politico se non precursore pericoloso della sua inutilità come negli Usa.

    Le primarie allora come metodo che seleziona incompetenze, che rischia di svilire le responsabilità di una linea culturale e di un programma politici, che elimina lo sforzo alla formazione morale e alla selezione di classe politica adeguata, offrendosi alla tombola del caso e della società civile buona in opposizione a quella politica cattiva? Non lo escludo! Comunque sia, un metodo che trascura totalmente i tuoi “… obiettivi” per una nuova forma-partito, che ad eccezione di qualche lieve chiosa sulle “regole”, condivido in pieno e sottoscrivo.
    Hai fatto infine bene in chiusura a suggerire alcuni testi “In dialogo”. Nino Labate

  6. il mio primo pensiero va alla rappresentanza dei partiti…una volta era ben delineato il campo di rappresentanza dei vari partiti…oggi lo è molto (ma molto) meno. I programmi dei partiti attuali sono a volte sovrapponibili al 70% che diventa poi 0% grazie alla selvaggia applicazione di questo ormai tramontato bipolarismo.
    A mio parere i partiti così come sfacciatamente si presentano e ripresentano hanno concluso il loro ciclo storico.
    Sto attenzionando invece il ruolo del Forum delle Associazioni familiari…a mio parere quella è una nuova formula aggregativa che ha tutte le carte in regola per far crescere in cittadinanza…deve fare solo il salto dal pre-politico al politico istituzionale.
    Saluti

    Aldo Di Canio

  7. Colgo occasione da un passaggio di A.B., che elenca le numerose cose che la congiuntura attuale ci obbligherebbe a fare, per approfondire un aspetto riguardante il senso della politica, nella relazione tra formazione, azione e organizzazione.
    Faccio parte di una generazione che ha avuto la ventura (che considero fortuna!) di vivere da adolescente quel faticoso periodo che fu la “ricostruzione”.
    Furono una decina di anni cruciali per la partecipazione dei cattolici alle vicende politiche, delle cui situazioni contraddittorie fummo – per età – testimoni inconsapevoli: tra “adunate” di baschi verdi e testimonianze di scelte etiche, culturali e politiche, come quelle praticate da Carlo Carretto o Mario Rossi.
    Ma, sia pure in presenza di tali contraddizioni, la cosa che contribuì più profondamente a costruire coscienze fu la diffusa pratica di programmi e azioni di formazione che venivano attuati con seminari invernali e campi estivi, ai quali partecipavano centinaia di ragazzi di 13, 16, 19 anni.
    Lì ho letto e studiato Toniolo e Anile e subito dopo i primi testi conciliari, non trovandomi solo, perchè il mio compagno di banco, figlio di un ferroviere internato a Mauthausen e quindi “pioniere” della fgci, a sua volta studiava altrettanti “sacri testi”, in altrettante scuole di partito.
    Questi lodevoli percorsi non hanno retto alle tensioni e alle mutazioni dei due decenni successivi: credo di aver partecipato (ormai come formatore) all’ultima scuola dotata di obiettivi e programmi adeguati quasi trent’anni or sono (Diocesi di Brescia!).
    Insomma di formazione (antropologica e politica) poco si parla e ancora meno se ne pratica: c’è molto dibattito, questo sì, soprattutto televisivo, ma tutti vediamo quanto spesso ciò evolva solo in esercizi polemici di dialettica violenta, se non di pettegolezzo conflittuale.
    Ripartire, magari reintroducendo una questione che è stata troppo presto dimenticata, sacrificata dalla volontà di semplificare il quadro politico al bipolo degasperi-togliatti: le idee e il ruolo dei cattolici alla riscoperta del diritto a “fare politica” nella ricostruzione non solo materiale, ma sopratutto etica e culturale, dell’Italia post-bellica; riflettendo poi su presenze come quelle di Felice Balbo e Giorgio Sebregondi ed Ernesto Baroni.
    Per questo anch’io rimando a un recente libro: Giorgio Rivolta, giovane filosofo milanese ne ha scritto con “Libertà personale e bene comune”, introdotto da Giulio Sapelli.
    Poi c’è la questione europea, della quale occorre occuparsi decisamente e al più presto, prima che l’imminente apertura della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento si avvi sul noto percorso consolatorio utile a chi non ha avuto il bene di vincere la lotteria del posto nel Parlamento nazionale.
    Ma aggiungerò poco alle riflessioni di Eugenio Scalfari, pubblicate su “la Repubblica” di domenica scorsa, utili come base per far compiere, alle strategie politiche nazionali, una decisa virata europeista, non solo fatta di dichiarazioni, ma di programmi lungimiranti e azioni concrete: non è casuale il riferimento a Hollande e alle più recenti posizioni assunte dalla Francia, dato il ruolo drammaticamente modesto che quel Paese ebbe in vicende passate, quali la bocciatura della Comunità Europea di Difesa nel 1954 o delle Politiche agricole comuni in una Comunità Europea appena costituita (1965).
    La visione europeista deve diventare il supporto di una assunzione di responsabilità di governo europeo sempre più coinvolto nella regione mediterranea, capace di tradursi in proposte che, alla nostra centralità geografica, facciano corrispondere una adeguata capacità di proposta culturale, politica ed economica.

  8. Insistendo con i nostri commenti sull’ inattuato ‘art.49 della nostra Costituzione, forse non sapevamo, almeno io sicuramente lo ignoravo, di mettere il dito sulla piaga che stavano tentando di lenire – fraintesi – Finocchiaro e Zanda con il loro Ddl.
    Ma …non disperiamo.

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