L’incontro segreto che avviò il disgelo Vaticano-Urss

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Giuseppe Vacca su “l’Unità” del 19 marzo – per i 50 anni dalla morte di don Giuseppe De Luca – rievoca il rapporto di amicizia che legò il sacerdote lucano e Palmiro Togliatti. In particolare rievoca un primo incontro, a casa Rodano nel 1944, e un secondo incontro, sempre dai Rodano, nell’ottobre del 1961 in cui don De Luca convinse Togliatti a suggerire a Krusciov di mandare un telegramma di auguri a papa Giovanni per i suoi 80 anni. Il telegramma ci fu e De Luca, il 30 novembre del 1961 commentò il telegramma di Krusciov nei suoi diari: «É un immenso fatto (dal 1917, silenzio, odio), e sarà il seme della storia futura».

Don Giuseppe De Luca e Palmiro Togliatti si conobbero a cena da Marisa Cinciari e Franco Rodano la vigilia di Natale del 1944. Non si frequentarono molto, ma come risulta dalle testimonianze e dai pochi documenti che abbiamo, fra loro nacque un’amicizia. Le testimonianze riguardano il ruolo di don De Luca e di Togliatti nell’avvio del disgelo tra il Vaticano e l’Unione Sovietica. I documenti sono assai significativi dei contenuti intellettuali e morali che sostanziarono non solo il loro rapporto, ma anche la stagione del dialogo fra comunisti e cattolici a lungo cercata da Togliatti e giunta con il pontificato di Giovanni XXIII.

Il viaggio

L’11 ottobre del 1961, alla vigilia della partenza di Togliatti per Mosca, dove era in programma il XXII congresso del Pcus, si incontrarono a cena in casa Rodano e don De Luca propose a Togliatti di suggerire a Krusciov di dare un segnale distensivo anche al Vaticano. Il disgelo fra Usa-Urss aveva già segnato un momento di grande valore simbolico nell’incontro fra Kennedy e Krusciov a Vienna nel giugno 1961, e la costruzione del muro di Berlino (13 agosto) aveva avviato un periodo di stabilizzazione dell’assetto europeo che sarebbe durato fino alla sua rimozione (9 novembre 1989).

Nel nuovo clima internazionale caratterizzato dalla presenza di tre grandi figure carismatiche – Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni – che facevano sperare nel superamento della contrapposizione fra Est e Ovest, De Luca ebbe l’approvazione del Papa e Togliatti portò a Krusciov la sua proposta. Fra le carte di Togliatti c’è un appunto di mano di De Luca che dice: «Nell’80° del Papa, farsi vivi. Cioè non ereditare i rancori della Chiesa russa, superando anche in questo il nazionalismo. Non fosse altro come un possibile tramite di propaganda, il cattolicesimo romano è più diffuso del protestantesimo inglese e tedesco e del cristianesimo russo. Roma è l’unico ponte possibile». L’annotazione autografa di Togliatti, «da don D. L. prima del 22», rivela quale fosse il suggerimento di don De Luca: far inviare da Krusciov un telegramma di auguri al Papa per il suo 80° compleanno. Il telegramma giunse a Roma il 25 ottobre e fu reso noto dall’Osservatore Romano.

Ma, fatto ancora più rilevante, si avviarono anche trattative per un evento di grande impatto simbolico, che si sarebbe verificato il 7 marzo 1963 con l’udienza in Vaticano di Alexiej Adjubei, direttore delle Izvestia, accompagnato dalla moglie Rada, figlia di Krusciov. Poche settimane dopo, con la pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris l’11 aprile, Papa Giovanni abrogava di fatto la scomunica del 1949 poiché, nel ribadire la condanna del marxismo, introduceva la distinzione fra «l’errore» e «l’errante» restituendo alla valutazione dei comportamenti politici e morali dei singoli, il giudizio della Chiesa sui comunisti. Tornando a De Luca, il 30 novembre del 1961 egli commentò il telegramma di Krusciov nei suoi diari: «É un immenso fatto (dal 1917, silenzio, odio), e sarà il seme della storia futura». Si riprometteva quindi di dar seguito alla sua azione e il 17 gennaio 1962, rispondendo agli auguri di Togliatti per l’anno nuovo, rievocava la cena che aveva originato il telegramma e scriveva: «Torno a ringraziarla di quella sera, di quello che si disse, di quello che ne seguì, torno a dirle che volentieri sempre parlo con lei e lei è per me tra quei pochi che, vivendo, della mia vita sono stati un po’ la compagnia e un po’ la fierezza».

Come ha ricordato Marisa Rodano nelle sue memorie, stavano cercando di organizzare un’altra cena, che però non ebbe luogo per il precipitare della malattia e della morte di don De Luca. La lettera citata echeggia il carattere della loro amicizia con toni analoghi a quelli usati da Togliatti nel ricordo scritto poco dopo la sua morte («Lui sacerdote io non credente. », ripubblicato da l’Unità il 15 marzo scorso). Ma, per cogliere il senso più intimo del desiderio di riconoscimento reciproco che animò la loro relazione, vorrei ricordare il passo di un’altra lettera, la prima delle tre conservate fra le carte di Togliatti, che illumina il motivo centrale del suo successivo ricordo. Dopo anni d’interruzione dei contatti personali, il 20 febbraio 1960 Togliatti aveva inviato a De Luca una sentita lettera di condoglianze per la morte del fratello Luigi, che si occupava delle Edizioni di Storia e Letteratura. Rispondendo, il 4 marzo, don Giuseppe scriveva: «Dirle che ne ebbi conforto grande è un dirle cosa che a lei non farà meraviglia perché sa come le sono legato e come la sento legata a me in un sentimento umano e dell’umano che non domanda nulla per esistere e per valere, ma ha in sé la sua ragion d’essere ed è, se non beato, contento e rende contento (o mi sbaglio?)». Quel «sentimento umano e dell’umano» troverà una corrispondenza profonda nel ricordo di Togliatti: «La sua mente e la sua ricerca mi pare fossero volte, nel confronto con me, a scoprire qualcosa che fosse più profondo delle ideologie, più valido dei sistemi di dottrina, e in cui potessimo essere, anzi, già fossimo uniti (…). La sostanza della comune umanità».

Il discorso di Bergamo

Si può fondatamente ritenere che l’amicizia e lo scambio spirituale con don De Luca abbiano contribuito a far maturare definitivamente in Togliatti la persuasione della irriducibilità e dell’autonomia del fatto religioso che furono al centro del suo discorso di Bergamo, «Il destino dell’uomo», tenuto non a caso nella città di Papa Giovanni il 20 marzo del 1963, tre settimane prima della Pacem in terris. Va sottolineato che quel discorso segnò il punto più alto della revisione togliattiana del comunismo in tema di dottrina della guerra e teoria delle relazioni internazionali. Forse la chiave di lettura più feconda per capire l’incidenza della relazione con don Giuseppe De Luca sul pensiero di Togliatti è quella suggerita dalla bellissima biografia del «prete romano» che dobbiamo a Luisa Mangoni, «In partibus infidelium». La cifra della straordinaria figura intellettuale del sacerdote lucano era nella visione culturale dei problemi politici, religiosi e umani del suo tempo. E questa sensibilità l’aveva portato a scrivere il 21 aprile del 1947, agli albori della guerra fredda: «Il comunismo è più che un partito, è una religione. Una religione non la si combatte né con l’irreligione né con la violenza, così anzi la si fa riardere più potentemente. Ma il comunismo è anche un partito e una politica (…). Bisogna scindere tra i due elementi: la forza religiosa dell’idea, la forza politica di chi quest’idea ha monopolizzato. Questa bisognerebbe isolare e battere, nell’interesse stesso delle idee eccellenti, anzi ammirabili, che bisogna riconoscere nella predicazione comunista». Forse questa percezione non fu estranea alla mente dello stesso Togliatti almeno negli ultimi anni della sua vita, segnati da un profondo travaglio per la crisi del comunismo sovietico.

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  1. Uomini d’altri tempi indimenticabili. Oggi? Ci sono solo omuncoli piccoli piccoli! Capurso-Puglia

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