La partecipazione dei lavoratori e la trasformazione dell’economia

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Il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita delle loro aziende (alla gestione, ai dividendi, all’organizzazione del lavoro…) è un tema ricorrente nella storia del movimento operaio e sindacale. Anche se in Italia ha avuto una scarsa eco. Da qualche tempo, però, se ne parla in sede di negoziati contrattuali (per esempio il contratto dei metalmeccanici). Oggi, nel mezzo della gravissima crisi economica e sociale provocata dalla pandemia, se ne parla con più convinzione. Il tema della condivisione appare, a tutti i livelli, più sentito…

L’autore, già dirigente sindacale ai più alti livelli, guarda avanti e indica la prospettiva verso cui andare.

 

La partecipazione dei lavoratori nelle imprese non ha mai avuto fortuna in Italia, perché la tradizione del movimento operaio è stata dominata da un’idea antagonista nei confronti degli imprenditori: le idee e i progetti sulla gestione delle aziende da parte dei lavoratori si prospettavano dunque per il dopo, a conquista del potere avvenuta.

Oggi, bisogna prendere atto del profondo cambiamento intervenuto; il sistema economico, sociale e politico ha assunto ormai una dimensione mondiale e, di fronte a questa realtà gigantesca, sembra perdere ogni significato una conquista del potere a cui poi far seguire le riforme auspicate.

Di conseguenza, chi ritiene che questo sistema vada modificato, ha davanti a sé solo una strada, quella di procedere per cambiamenti successivi, che si muovano in quella direzione e che possano progressivamente dare forma alla società desiderata. I processi in questione stanno su molteplici piani e possono e devono essere portati avanti da soggetti e da movimenti diversi (forze politiche, culturali, economiche, sindacali, movimenti femministi, ambientalisti e tanti altri ancora), ma indubbiamente un campo decisivo è quello economico, che va dalle banche alle multinazionali, dagli organismi internazionali ai singoli Stati.

Ma qui ci soffermiamo sul problema delle imprese, perché nelle imprese sono presenti i lavoratori e questo consente un movimento di trasformazione a partire dal basso, contrariamente a molti cambiamenti auspicati che competendo alle alte sfere sono spesso lontani dalle nostre capacità di influenza e di controllo. Avanziamo quindi a riguardo delle proposte possibili, relative a un cambiamento sostanziale del mondo delle imprese.

Primo. Occorre sostenere la partecipazione dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione e di Sorveglianza nelle imprese, grandi e piccole, società per azioni e di altro tipo, abbandonando qualsiasi riserva. Le riserve passate erano determinate dalla visione antagonista, che non ha più ragione d’essere, e dalla paura dell’aziendalismo, cioè di essere fagocitati dall’impresa stessa. A questa seconda obiezione si deve rispondere che il movimento del lavoro deve affrontare questa prospettiva avendo una forte posizione e concezione autonoma: pertanto aver paura significa solo non avere fiducia in se stessi. La partecipazione dei lavoratori nelle imprese avrebbe vari effetti positivi fra cui:

– elevare il livello culturale e di conoscenze dei lavoratori nei confronti di una realtà economica e tecnologica complessa, che rischia di vederli sempre più emarginati,

– potere avere accesso a informazioni fondamentali sugli investimenti e sulle produzioni, condizione essenziale per poter influenzare le decisioni relative ai problemi sociali e ambientali.

Secondo. Promuovere una revisione della legislazione sulle imprese che nelle sue linee essenziali è rimasta al Codice Civile del 1942. Occorre in particolare delineare una pluralità di forme di impresa, oltre quelle in essere. Esemplificando, si può pensare che i lavoratori da una parte e il capitalista dall’altra si incontrino alla pari: uno mette il lavoro, l’altro il capitale, assieme si decide la gestione dell’impresa. (Prendiamo questa idea da Anna Grandori, docente di Organizzazione aziendale alla Bocconi nel suo libro 10 Tesi sull’impresa). Oppure pensiamo a un’impresa che funzioni bene: i lavoratori hanno un buon salario e così pure i dirigenti, il capitale ha la sua ricompensa ai valori di mercato. Se avanzano ancora delle risorse, a chi spettano? Al capitalista perché ha la proprietà? Ai lavoratori perché si tratta di plusvalore? In verità, noi pensiamo né agli uni né agli altri, perché si tratta di un surplus sociale che dovrebbe andare alla società, o attraverso il fisco o attraverso un Fonda da destinare a beneficio della collettività.

Terzo. E’ urgente dal vita a una “seconda economia”, non contro, ma accanto a quella capitalistica, con una propria forza autonoma. Questa esigenza è evidente se allarghiamo un momento il nostro orizzonte. In Africa ci sono 1,2 miliardi di persone che si raddoppieranno nel giro di trenta anni: come dice un economista africano, “non penserete che tutte queste persone siano destinata a lavorare a tempo pieno indeterminato?”. Ma il precariato, i bassi salari, la mancanza di lavoro dilagano anche da noi e non possiamo pensare che sarà un ipotetico sviluppo a risolverli. Questa economia potrebbe ad esempio partire dal sociale prima che sia invaso dalle imprese for profit snaturando il settore, ma non limitandosi a gestire qualche attività sociale comunale in appalto in condizioni di sopravvivenza. Si deve trattare di un’economia forte e pertanto dotata di capitali adeguati. Perché non pensare a forme di risparmio dei lavoratori rivolte ad attività economiche che abbiano finalità sociali e di creazione di occupazione? Luciano Gallino sosteneva che la maggior parte dei risparmi che affluiscono alle banche provengono dai lavoratori; non è un fatto su cui ragionare? Perché non pensare a progetti consistenti di mutualismo, regionali e provinciali, che consentano di affrontare problemi come quello della non autosufficienza (in una forma che integri l’intervento pubblico)?

SI tratta solo di un abbozzo di idee che si possono avanzare sul tema dell’impresa e dei lavoratori: hanno soprattutto lo scopo di stimolare l’interesse e l’intervento. I problemi marciano molto velocemente e noi siamo sostanzialmente fermi: è ora di riprendere con coraggio e con determinazione la lotta per la trasformazione dell’economia, di cui c’è un grande bisogno.

 

Sandro Antoniazzi

dicembre 2020

4 Comments

  1. Molto interessante!

  2. Caro Sandro, mi chiamo Giancarlo sono stato iscritto al sindacato CISL dal 1950,son cresciuto con quei ideali cristiani, che mi anno accompagnato, per tanti anni, insieme a quei principi e ideali di giustizia, ma anche di eguaglianza,libertà. Mi ricordo gli incontri che facevamo con Cacae, Frey ,e Morese Ho partecipato a tanti corsi sindacali a Fiesole .Sono stato fortunato di aver conosciuto Carniti ,ma anche Pippo Morelli Reggiano come il sottoscritto. Condivido la tua lucida analisi, purtroppo in Italia questo tema è sempre stato teorico ma mai messo in pratica in una qualche esperienza,( almeno io non ricordo) .termine questo mio scritto ,perchè son stanco, sono appena uscito dall’ ospedale causa Covid 19 con una polmonite al 60 % questa esperienza, mi ha insegnato molte cose, che avevo già nel mio DNA, ma il Covd mi ha dato la forza di rafforzarlo .Odio gli indifferenti, i menefreghisiti , in particolare modo nel mondo del lavoro, dove certi operai non ricordano o non vogliono ricordare, che se godono di certe conquiste, il merito è stato dei lavoratori della mia generazione di anni 84. ciao scusa di questa confusa lettera.

  3. Caro Zambelli, ti ri grazio del tuo intervento che suscita anche tanti ricordi di amici tanto meravigliosi che indimenticabili. Come giustamente dici il problema della partecipazione dei lavoratori nelle azieñde è sempre stato citato, ma non è mai diventato un obiettivo su cui spendersi. Io non demordo, in attesa che altri prendano il bastone della staffetta. Noi continuiamo a credere nel futuro del lavoro e dei lavoratori. Un caro saluto

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