La Lega e i cristiani devoti

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“Rovineranno la casa del Papa, invece di stare a casa loro a curare gli elefanti” (sic!). “I nostri hanno bisogno più dei profughi”. “A me non mi ha mai aiutato nessuno”. Sono questi, ma  solo un esempio, i commenti, riportati dal Corrierone, pagine di Bergamo, non di leghisti patentati bensì di devoti fedeli, in visita, a Sotto il Monte, alla casa natale di Giovanni XXIII, che i missionari del PIME hanno parzialmente e temporaneamente adibito all’ospitalità di 58 profughi. “Ma la storia della bontà andava bene 50 anni fa”, rispondono costoro a chi fa loro notare che si tratta dei luoghi del papa buono, e che ragionando così si finisce col mancare di rispetto a quest’ultimo. Atteggiamento agghiacciante, imbarbarimento ormai accettato come senso comune da una parte della popolazione, cristiani devoti compresi, considera allora esterrefatto il notista del giornale.

E così la Chiesa, che fa accoglienza a prescindere dai tromboneschi appelli del leghismo più becero (e che magari osa ricordare anche le scelte egoistiche compiute nei Paesi d’origine degli immigrati dall’Occidente pingue), infastidisce non poco una parte degli stessi fedeli. I quali, pertanto, non sono per nulla in sintonia con il pur rude monsignor Galantino, con la più parte dei vescovi, con lo stesso pontefice. E così, i Salvini ci giocano, e provano a dividere la Chiesa buona, quella rappresentata per esempio da personaggi quali mons. Maggiolini, già vescovo di Como, accreditato di filoleghismo in vita, dall’altra Chiesa, quella del comunista segretario generale della CEI. Tra i non fedeli della galassia di destra, non esclusivamente salviniana, la citata politica di accoglienza porta sul web ad esprimere invece commenti del tipo “cattocomunisti di merda”, “chiesa (e governo) di merda”, “accadrà che preti, suore e sinistri saranno i primi ad essere sgozzati” (dagli extracomunitari, s’intende).

Questo fastidio contro la Chiesa che accoglie profughi in talune delle strutture ad essa collegate sta ultimamente ricevendo una sanzione “culturale” dalla categoria dei teocon (la quale ha di norma a capo dei convertiti alquanto integralisti), e così il redivivo Marcello Pera arriva ad accusare la gerarchia di praticare, sul tema, una sorta di più o meno diabolica teologia della liberazione (con riferimento alla nota esperienza di decenni fa nell’America latina). Si trasforma la carità in ideologia dei diritti, tuona il nostro, scandalizzato.

La situazione, insomma, sta diventando esplosiva, anche a prescindere da preoccupazioni d’ordine elettorale. Le quali ultime portano in ogni caso a considerare che, se si votasse a medio-breve, il tema dell’immigrazione verrebbe spregiudicatamente sfruttato (in negativo) a più non posso, portando, io credo, vistosi benefici in termini di voti a chi sappiamo.

Certo, Galantino, forse un poco ingenerosamente (ma la sua intervista va in qualche misura chiosata), se la prende anche con il governo, il che spinge un po’ scioccamente un certo estremismo filorenziano a considerare pure il monsignore, insieme a Salvini e a Grillo in particolare, un nemico del capo del governo. Il quale ultimo sta facendo quello che può, in verità, in una situazione difficilissima, quasi drammatica. Perché è in atto, lo sappiamo, una trasmigrazione che rappresenta il fenomeno più importante dal secondo dopoguerra. E che preoccupa anche i cosiddetti buonisti. Quelli che vogliono cioè, quantomeno, ragionare sul fenomeno, sentendosi tra l’altro quotidianamente sbeffeggiare, sul web in particolare, dagli anti: “perché non li ospitate voi a casa vostra?”. Come se invece loro, gli abituali teorizzatori della difesa, innanzitutto, degli italiani più deboli, facessero chissà cosa a favore di questi ultimi. Il governo sta dunque impegnando ingenti risorse e centinaia di uomini, con la Marina, l’Aeronautica, la Guardia costiera, la Guardia di finanza. Certo, dopo i salvataggi resta la questione di capire, in qualche misura, chi sono davvero questi immigrati – i quali ormai arrivano da tanti e diversi Paesi, e non soltanto da regioni in guerra – e chi ha diritto indiscutibilmente di ottenere lo status di profugo. E in proposito, certo, il lavoro delle competenti commissioni va accelerato enormemente, vanno sveltiti i tempi. Ma se si è semplicemente ‘umani’ è evidente che la prima cosa da fare è di consentire loro il primum vivere, bisogna garantire la loro sopravvivenza.

Il problema resta, in ogni caso, che l’attuale politica in materia non  è sufficiente, com’è evidente. E che la prospettiva non è ovviamente tanto o soltanto quella di superare le vecchie regole europee, il trattato di Dublino, nato avendo per obiettivo la cosiddetta immigrazione economica. Il problema è che l’Italia non può essere lasciata sola, e che dunque risulta indispensabile una politica europea. Tuttora sostanzialmente assente. Allo scopo occorrerebbe però che gli sforzi di tutte le forze politiche italiane fossero sintonizzati su tale obiettivo. Al fine di presentare su questo tema all’Europa un Paese unito, che si siede al tavolo delle trattative con un governo forte, sicuro di sè, perché delegato in tal senso da tutti i partiti, e che conseguentemente ha anche la forza di picchiare i pugni, di minacciare, in qualche misura, se necessario.

Invece sappiamo come va: Forza Italia  un po’ di qua e un po’ di là, Grillo  sostanzialmente con Salvini, e quest’ultimo che sbraita senza minimamente dirci come intenderebbe risolvere lui nel concreto la questione, se fosse al governo. Galli della Loggia, sul Corrierone, gli ha chiesto provocatoriamente quali sarebbero, appunto, le sue scelte: raccolto il segnale di Sos, lasciar affogare in mare quelli sui barconi e chiuderla lì? Speronarli, anzi, per fare prima? Se raccolti, i profughi, portarli indietro? Ma dove? Sulle coste libiche, ormai terra di nessuno (un’azione che risulterebbe in ogni caso un’operazione militare in piena regola, da replicare oltretutto dieci volte a settimana)? Aiutarli a casa loro? Ma costoro arrivano da territori vastissimi, alcuni in stato di guerra! Dare milioni di euro ai loro truci governi e poteri locali perché ci facciano il piacere di trattenerli? Impiantare in quelle immense contrade (dal Corno d’Africa al Golfo di Guinea, cioè milioni di chilometri quadrati), senza esservi invitati, uno, due, cento di “qualcosa” per cercare di dissuadere dal farlo chi se ne vuole andare? Ma farlo con quali e quanti mezzi?

Occorre dunque, allora, una robustissima politica europea. Che abbia magari a monte, sempre a proposito del ruolo della Chiesa, che si dichiara universale, anche una forte azione di moral suasion da parte dei vescovi dei vari Paesi europei, che porti a superare in qualche misura gli egoismi nazionali. In proposito il commissario UE all’immigrazione ha recentemente dichiarato che “tutti gli Stati devono contribuire a un sistema di accoglienza decente, civile, europeo”. Precisamente. Ma dalle parole si deve passare evidentemente ai fatti.

Problema europeo, ma anche internazionale, mondiale, poi. Tanto più se si pensa anche alla in qualche misura collegata questione del terrorismo pseudo-religioso, delle guerre più o meno locali.

“Bisogna chiamare in causa la comunità internazionale, è necessario l’aiuto di organismi non solo europei per trovare soluzioni efficaci”, ha detto un altro prelato, ottenendo stavolta il plauso della Lega. Peccato che si tratti della stessa Lega Nord che ha sempre pensato e pensa alle “piccole patrie”, alle secessioni, alle Padanie. Che non ha mai avuto certo, cioè, una vocazione minimamente internazionalista. E che viene a farci “la predica”.

 

Vincenzo Ortolina

 

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