La Chiesa è in campo ma i pastori sono tanti

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Riportiamo l’intervento uscito il 4 gennaio 2013 su “Europa”, in risposta ad un commento di Federico Orlando ad un suo precedente articolo, pubblicato sempre su Europa (e qui su c3dem)

 Caro Federico Orlando, permetti solo tre chiose alla tua nota simpaticamente pungente che mi chiama amichevolmente in causa e che verte sulle ingerenze ecclesiastiche nella contesa politica e, segnatamente, a sostegno dell’iniziativa di Monti. Innanzitutto rispondo al tuo quesito: la tua è di sicuro una nota informativa, non di colore e che evoca una questione serissima. Riferisce un episodio che conferma tali indebite ingerenze e ci fornisce anche qualche dettaglio che semmai le arricchisce di una certa ineleganza. In secondo luogo, mi dai modo di precisare il senso della mia sottolineatura circa le gerarchie specificamente “romane”. Non mi sfugge la circostanza che il loro attivismo trovi poi riscontri e proiezioni in giro per l’Italia. Non vi è in me nessuna intenzione minimizzante. Piuttosto l’impressione – e anche qualche cosa di più, grazie a qualche informazione di cui dispongo a mia volta – è che molti preti e vescovi non si riconoscano in quella visione e non si prestino a quelle pratiche. Che chiamo romane, sia per ragioni geografiche sia per ragioni culturali e simboliche che tra loro si richiamano: alludo alla contiguità, fisica e non solo, tra il potere religioso (?!) e il potere politico. Che le cose non vadano così dappertutto spero non sia solo una percezione condizionata da un’appartenenza e da una formazione cattolica, le mie, che ho l’ambizione possano convivere con l’autonomia personale di giudizio. Ma, come notavo, è una rappresentazione che ricavo dalla mia conoscenza di numerosi pastori che, da un lato, danno mostra di conoscere il primato del Vangelo e le insidie del connubio con il potere, dall’altro, a Dio piacendo, anch’essi, come i loro fedeli laici, hanno opinioni e orientamenti politici diversi. Il pluralismo si è affermato anche tra loro.
Pastori che, per esempio, non rimuovono la circostanza di fatto, documentata da studi recenti, che il Pd è oggi il partito più votato dai cattolici praticanti. Nel mentre i loro referenti romani sembrano letteralmente ignorare i numerosi cattolici impegnati nel Pd, anche ai suoi vertici, e parlano di “nuovo protagonismo politico” dei cattolici a supporto di Monti come se la storia di quel protagonismo avesse inizio oggi e lo si potesse improvvisare accodandosi a un uomo e a un’agenda.
Infine, mi preme sottoscrivere alla lettera la tua convinzione secondo la quale credenti, non credenti o diversamente credenti possono perfettamente intendersi e cooperare se e in quanto abbiano interiorizzato il prezioso portato della tradizione liberale di cui tu sei maestro e segnatamente il senso-valore della laicità dello Stato. La coscienza cattolica lo ha acquisito – almeno sul piano degli enunciati – dopo un lungo travaglio e non senza persistenti resistenze e regressioni. Del resto, come tu stesso rammenti, fu quella una delle idee-forza dell’Ulivo di Romano Prodi che ci diede modo di conoscerci e di intrecciare un’amicizia che tuttora vive. L’idea del superamento di una delle linee di frattura che tanto ha segnato la storia civile e politica italiana a partire dal Risorgimento.
Tu fai cenno alla caduta del primo governo Prodi. In quella circostanza, egli, che tanto soffrì anche sul piano personale l’ostilità dei vertici ecclesiastici, si spinse al punto di sostenere che quella storica linea di frattura tra “laici” e cattolici si era rivelata più ostica e difficile di quella, più politica, tra ex Dc ed ex Pci, tra liberal-democratici e sinistra a dominante matrice comunista. Quel rilievo del nostro Romano (c’è romano e romano!) ci suggerisce di non sorprenderci se quel vecchio retaggio, con il suo carico di problemi, periodicamente e di nuovo si riaffaccia.
Una ragione in più per attendere insieme a quel cantiere che ieri chiamavamo Ulivo e del quale vogliamo che il Pd sia l’erede coerente, pur dentro nuove coordinate.

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