Il limite dell’Italicum, secondo me

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 Procedo mettendo in fila tesi che meriterebbero di essere svolte e argomentate: nessuna legge elettorale, il cui compito è quello di convertire i voti in seggi, è perfetta; ciascuno di noi coltiva una propria preferenza ma sarebbe sciocco pretendere che essa sia quella in concreto adottata; le leggi elettorali sono relative (e dunque buone o cattive) in rapporto al contesto politico cui si applicano; nel primo tempo della Repubblica è stata utile e provvidenziale una legge a base proporzionale, a motivo dei due problemi politici allora preminenti, quello della integrazione delle masse nel neonato Stato democratico attraverso appunto i grandi partiti di massa e quello dell’integrazione nel sistema democratico-costituzionale delle forze antisistema o comunque estranee ai paradigmi liberal-democratici. Dopo lo spartiacque del 1989 e il referendum elettorale dal quale sortì il Mattarellum, le priorità politiche mutarono. Di nuovo due: propiziare un di più di governabilità (sacrificata alla rappresentatività nel primo tempo) e il bipolarismo, sbloccando la democrazia, assicurando competizione e alternanza. E ora?

Mi pare questo il modo giusto di impostare il problema della legge elettorale, trascendendo un approccio schiacciato sulle convenienze di parte. Comprese le nostre. Personalmente penso che quelle due priorità valgano tuttora. Ripeto: governabilità e contendibilità, cioè bipolarismo, democrazia competitiva e dell’alternanza. Dunque, bene una legge di stampo maggioritario. L’Italicum lo è….in abbondanza. Favorisce la governabilità. Non si può dire la stessa cosa per un vero bipolarismo competitivo. Basti osservare l’attuale assetto dei rapporti politici. Diciamo la verità: nelle condizioni presenti il premio al primo partito è un premio al PD. Non essendoci competitor credibili. Da un lato i 5 stelle, che non sono in condizione e forse neppure vogliono competere per vincere e governare. Dall’altro un centrodestra debole, allo sbando e frammentato. La cui forza prevalente, estremistica e di sicuro non competitiva, è la Lega di Salvini. Se non si vuole rinunciare all’obiettivo di un bipolarismo competitivo, non meno importante di quello della governabilità, si dovrebbe tornare (così fu nella prima versione) al premio alla coalizione e non alla lista. Così da dare modo di organizzarsi a un centrodestra, le cui chance competitive (oggi come e più che in passato) sono affidate a un’opera federativa. Ieri di Berlusconi, domani di chi, a dio piacendo, gli succederà. Il premio alla lista conduce invece a un PD che, forzando al limite del proprio snaturamento, occupa il centro del sistema politico ove la formula “partito della nazione” acquista il senso di partito centrista pigliatutto. Senza effettivi competitor, salvo partiti minoritari sospinti semmai ad accentuare il loro profilo populista e antipolitico. Compiacersene, da parte del PD, sarebbe miope. Rammento che, quando fu pensato l’Ulivo prodiano, l’obiettivo era invece alto e sistemico: non già semplicemente la costituzione di un soggetto coalizionale di centrosinistra, ma la evoluzione-riforma complessiva del sistema politico che conducesse a un traguardo di portata storica, quello di venire a capo di una democrazia bloccata, priva di una fisiologica alternanza. L’agognato approdo della Terza fase patrocinata da Aldo Moro. Si osservi la Francia: Sarkozy ha sconfitto la Le Pen solo grazie a una coalizione. L’Ulivo era per il bipolarismo, non per il bipartitismo, nella convinzione che una semplificazione del sistema politico fosse auspicabile e necessaria, ma che la “reductio ad unum” dei due campi mal si conciliasse con una storia politica connotata dal pluralismo e da una ricca articolazione sociale. Del resto, si vanno moltiplicando le voci di opinionisti non ostili all’attuale corso politico che ammoniscono a non sottovalutare il problema della contendibiltà, cioè del “partito unico della nazione” privo di effettivi competitor. Con il rischio di regredire alla casella n. 1 del primo tempo della Repubblica, quando a inibire l’alternanza democratica era il fattore K, cioè la questione comunista.

Non si vuole il premio alla coalizione? Si apra almeno alla subordinata della possibilità dell’apparentamento tra i due turni. Come negare il problema di assicurare una base di consenso non troppo esigua al governo? Se anche il PD confermasse lo straordinario risultato delle elezioni europee (40% ancorché da tarare sulla metà degli aventi diritto al voto), un premio che assicuri il 54% dei seggi alla Camera è francamente alto, troppo alto. Ragionevole sarebbe allargare la base dei governi grazie ad alleanze. Meglio prima, ma, in subordine, anche a valle del primo turno. Le minoranze interne al PD su questo dovrebbero concentrare la loro battaglia, non sul dosaggio tra nominati e preferenze. E il PD che, ancora una volta, contro auspici e promesse, si appresta a varare una legge elettorale senza le opposizioni, almeno di questo interesse superiore dovrebbe farsi carico di suo. Provando a riaprire un dialogo sul punto dentro il PD e con FI (in fondo era la versione originaria dell’Italicum siglata al Nazareno), anche per non rassegnarsi a varare una legge elettorale sulla scorta di un consenso ristretto, al prezzo di laceranti conflitti, sino all’azzardo del voto di fiducia al governo su materia genuinamente parlamentare e paracostituzionale.

Del resto, la tradizionale obiezione circa le coalizioni concepite per vincere ma inadatte a governare si applica anche a listoni omnibus. Se le differenze esistono in natura non se ne viene a capo con scorciatoie e artifici elettorali, confezionando listoni che mascherano alleanze. Meglio che le alleanze siano proposte, siglate, discusse alla luce del sole.

Certo, tutto dipende dall’ottica e dall’obiettivo: se solo un calcolo di convenienza o non anche la cura per una democrazia sana e matura.

Franco Monaco

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  1. Ma alla fine perché bisognerebbe concedere di partecipare al premio di coalizione, e quindi magari di essere decisive per formare il Governo, a forze che hanno già ampiamente dimostrato di non essere capaci di assumere una vera mentalità governativa? E d’ altro canto, non è stato forse proprio il puntare su di una confusa logica coalizionale piuttosto che il radicarsi in una forte dimensione partitica a perdere l’Ulivo? Ma capisco che la domanda sia scomoda, in quanto porta a chiedersi se le cadute dei due Governi dell’Ulivo siano solo il portato di presunte congiure o piuttosto dell’inabilità politica di chi la guidava.
    In ogni caso, anche l’ obiettivo di creare un Partito Democratico ampio e forte, capace di pluralismo nella rappresentanza delle culture politiche e delle istanze sociali è un obiettivo “alto e sistemico”, mi sembra.

  2. Sono d’accordo che l’attuale polemica della minoranza del PD non centra il vero problema della legge elettorale, ma dissento sul fatto che con il premio alla coalizione cambi qualcosa, poichè ricordo che la lista può anche non essere espressione di un solo partito, e sull’affermazione che il premio al Primo partito sia un premio al PD, infatti credo che al ballottaggio tutti quelli che non hanno votato PD voteranno il secondo partito (sia esso FI o M5S) con la conseguenza che verremo governati da un partito che al primo turno ha ottenuto solo il 25% dei voti. Il vero vulnus antidemocratico di questa legge è il Ballottaggio, che farà governare partiti senza una reale maggioranza nel paese, e la prova più evidente è l’incapacità pratica dei Sindaci di governare laddove non hanno avuto più del 40% dei voti al primo turno. La mia proposta è quella di lasciare immutata la proposta di modalità di elezione del primo turno (capolista bloccati, preferenza per gli altri e premio al partito con più del 40% dei voti), ma che se nessuno supera quella soglia si applica il sistema proporzionale.

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