Il discorso di papa Francesco alla classe dirigente brasiliana

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L’autrice è giornalista di Rai News 24 e ha seguito il Papa nel suo viaggio

 

Tra i discorsi pronunciati da Papa Francesco in occasione della 28esima Gmg, particolarmente denso è stato quello alla classe dirigente brasiliana, che delinea una visione di chiesa e di mondo radicata nel concilio Vaticano II, vissuto da papa Francesco non solo nell’approfondimento e nello studio dei documenti conciliari, ma anche nell’esperienza pastorale maturata in America Latina. Un concilio esperito “alla fine del mondo”, che ora ritorna a Roma e viene rilanciato dalla cattedra di Pietro, a 50 anni dal suo inizio e nel pieno di un anno dedicato alla fede.

Memoria del passato e utopia del futuro, ha invocato papa Francesco parlando alla classe dirigente del Brasile, con parole destinate a risuonare ben oltre i confini di questo pur grande paese. Alle spalle, la tradizione; per costruire il futuro, la responsabilità solidale; per affrontare il presente, il dialogo costruttivo. Sembrano ingredienti di una ricetta semplice per una vita possibile. La cultura brasiliana, creativa, originale, ha ricevuto molto dalla linfa del cristianesimo, ha sottolineato il papa,  parlando di umanizzazione integrale e cultura dell’incontro. L’abbraccio con uomini e donne indios ha offerto alcune delle immagini più significative  di questo viaggio. Un indios cerca di inginocchiarsi, papa Francesco glielo impedisce. Un altro gli offre in dono il suo copricapo, e il papa glielo restituisce compiendo il gesto di rimetterglielo lui stesso sul capo, segno del riconoscimento della dignità di una cultura “altra”. Poco prima, con la forza grande del suo tono mite, aveva parlato della responsabilità sociale, che richiede la formazione di nuove generazioni, capaci nell’economia e nella scienza, ma ferme nei valori etici. La politica realizzi sempre più e meglio la partecipazione della gente, eviti elitarismi, sradichi la povertà, aveva chiesto, invitando ad ascoltare le voci di chi non ha voce, perché “anche oggi continuano ad alzarsi grida che chiedono giustizia”.

Ha parlato ai brasiliani ma non solo, papa Francesco, quando ha affermato che il senso etico richiesto a chi ha responsabilità pubbliche è oggi una sfida senza precedenti. “Chi ha un ruolo di guida deve avere obiettivi molto concreti e ricercare i mezzi specifici per raggiungerli”, ha detto, indicando nel contempo la strada da percorrere davanti al pericolo della disillusione, dell’amarezza, dell’indifferenza: “la virtù dinamica della speranza spinge ad andare sempre oltre”, ha suggerito, “a impiegare tutte le energie e le capacità in favore delle persone per cui si opera, accettando i risultati e creando condizioni per scoprire nuovi percorsi, donandosi anche senza vedere risultati, ma mantenendo viva la speranza”. Un discorso, questo alla classe dirigente del Brasile, che contiene la cornice e il disegno di una società più giusta e più equa, in cui anche le grandi tradizioni religiose hanno una loro funzione, quella di lievito sociale e animazione democratica; ma attenzione, ha avvertito il papa, solo la laicità dello Stato che rispetti e valorizzi la presenza dell’elemento religioso può garantire la pacifica convivenza tra religioni diverse. Come dire, niente tentazioni confessionali.

Il nostro Paese, l’Italia, ha conosciuto la questione romana. La fine del potere temporale si è realizzata per la chiesa non senza traumi. Il principio della laicità dello Stato ha avuto riconoscimento, ma in certi passaggi e da taluni un po’ a fatica.  Nell’America latina, dove le confessioni religiose hanno dovuto confrontarsi con le dittature, il principio della laicità non viene “riconosciuto” da papa Francesco, ma viene “chiesto”. “Favorevole alla pacifica convivenza tra religioni diverse è la laicità dello Stato”, afferma il papa. Lo Stato,“senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza del fattore religioso nella società, favorendone le sue espressioni concrete”.

Nello stesso discorso una delle parole più ripetute è stato “dialogo”, opzione sempre possibile “tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta”. “Un Paese cresce”, afferma il papa, quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: “cultura popolare, cultura universitaria, cultura giovanile, cultura artistica e tecnologica, cultura economica e cultura familiare, cultura dei media. È impossibile immaginare un futuro per la società senza un forte contributo di energie morali in una democrazia che non resti chiusa nella pura logica di rappresentanza degli interessi costituiti”. Uno degli elementi che favoriscono il dialogo è, nella visione di papa Francesco, l’”umiltà sociale”, perché aiuta a far crescere una buona intesa fra le culture e le religioni. E oggi, conclude il papa, “o si scommette sul dialogo, sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo”.

 Vania De Luca

 

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