I Cristiano sociali, un cammino concluso (nel 2017) ma che ancora ci interpella

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Non è stata la presentazione convenzionale di un libro, quella che si è svolta a Roma lunedì 9 dicembre in occasione della pubblicazione di “Da credenti nella sinistra. Storia dei cristiano sociali 1993-2017”, a cura dello storico Carlo Felice Casula e con due saggi di Claudio Sardo e Mimmo Lucà (prefazione di Romano Prodi, Il Mulino, pp. 386, 2019). Paolo Corsini, David Sassoli, Nicola Zingaretti, Mimmo Lucà, coordinati dalla direttrice del Tg3 Giuseppina Paterniti, hanno sì rievocato la storia di quei cristiani che in un epoca complicata di transizione democratica (e lo siamo ancora, come ha detto Sassoli) hanno fatto la chiara scelta di collocarsi a sinistra; hanno sì sottolineato quanto sia stato importante il contributo di un drappello di (ingenui? folli? idealisti?) esponenti del mondo cattolico che guardavano con passione alle sorti della politica di questo Paese per aggregare le forze riformiste; hanno riconosciuto (Zingaretti in primis) che sono stati i principali interlocutori di quella politica che vedeva le differenze come un arricchimento reciproco e non come fonte di distinzioni e separazioni; hanno anche testimoniato (Corsini) quale importanza abbia avuto per loro (non nonostante, ma proprio per il nome portato nel Dna) il concetto di laicità della politica e delle istituzioni statali. Hanno, i relatori, discusso di questo e di altro (e la registrazione integrale del convegno fatta dal pregevole lavoro di Radio radicale dà la possibilità di apprezzare in pieno gli interventi); ma soprattutto hanno dimostrato, nelle parole e nel clima che si è vissuto anche dopo, nello scambio di battute amicali che sono seguite agli interventi, che l’esigenza di quel tipo di politica è oggi più forte di prima. Forse la risposta conclusiva alla domanda provocatoria della moderatrice non troverà soddisfazione: “allora adesso – ha chiesto a fine serata Paterniti – rinascono i cristiano sociali?”. Ecco, no, non rinascono. Ma allora, di fronte a quel patrimonio di valori, a quelle “idee e battaglie che non sono finite”, come titola la seconda parte del testo (con i due saggi di Sardo, “’Salvare il carico’ sulla nave dei democratici”, e di Lucà, “Una storia coraggiosa con l’esito ancora aperto”), risuonano ancora più impegnative le parole di Romano Prodi nella prefazione: “Si dovrebbe a questo punto aprire un discorso se questo ruolo sia esaurito o se il richiamo etico, l’attenzione al primato della coscienza, l’importanza della giustizia sociale e la preoccupazione per la pace in pericolo non dovrebbero ancora essere i fondamenti di una rinnovata politica riformista”. Già, dovrebbero. Soprattutto oggi che il clima nella Chiesa è evidentemente cambiato. Detto per inciso: in quegli anni problematici, di piena transizione politica e democratica, per noi che venivamo da ruoli più o meno importanti dell’associazionismo cattolico fare una scelta palese e attiva per una collocazione politico/partitica per nulla “equidistante” ha significato non pochi problemi. Qualcuno ha pagato e non poco. Ma se la visione politica dei padri fondatori, Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti – quella visione che oggi, palesemente, manca agli attuali protagonisti, come ha detto Zingaretti -, di un mondo migliore e più giusto, ha animato le coscienze, le parole e l’impegno di tanti che credevano alla politica come a “una delle più alte forme di carità”, cosa si doveva fare? Restare a guardare e per prudenza collocarsi su linee non divisive, ma tranquillizzanti e aderenti a proposte indicate dall’alto? Oggi siamo in un’epoca ecclesiale profondamente segnata da un maturo rapporto di responsabilità fra premesse di fede e scelte politiche. Quello che manca, oggi, (e sono le motivazioni che hanno spinto a pensare che quella storia poteva dirsi compiuta), è quell’afflato politico, ideale, culturale che ha portato non solo singole personalità a condividere un progetto, ma anche tante associazioni (Acli, Cisl, Ac, Agesci, Fuci, parte del movimento cooperativo e del volontariato) a sostenerlo e a farne ragione di dibattito e di riflessione, se non di opzione vera e propria. Era un movimento che partiva dal basso, si direbbe oggi; e chi stava dentro le strutture dei Cs, lo percepiva e ne traeva incoraggiamento. Quando quella spinta è finita, e le vie intraprese per il rapporto mondo cattolico/politica sono state altre, è stato altresì chiaro che la storia dei Cs poteva dirsi chiusa. Proprio per il raggiungimento dell’obiettivo principale dell’aver contribuito all’unione delle forze riformiste di centro sinistra.

Ora, però, il grande rammarico – e Mimmo Lucà lo ha riconosciuto nel suo intervento dell’altro giorno e nelle righe conclusive del suo contributo pubblicato nel libro -, è quello di non aver potuto fare di più sul tema più caro a Gorrieri e Carniti: “portare al centro del progetto politico della sinistra italiana le politiche sociali e le connesse esigenze di redistribuzione delle risorse a favore della povera gente”. In altre parole, il tema dell’uguaglianza. Ecco: su questo obiettivo la partita rimane totalmente ancora da giocare. Il tema degli “scarti” e degli “esclusi” (vedi papa Francesco) diventa ormai basilare per chi vuole ancora fare politica da cristiani. E – personalmente, ma conta poco … – spero non ci si faccia sviare dai recenti successi della destra più impudente e fuori controllo che ci si potesse immaginare. Quella del tutti contro tutti, che, nell’ingannevole mito del popolo da difendere, spaccia come idonea e giusta la teoria del “fare parti uguali tra disuguali”. Niente di più sbagliato, oltre che truffaldino. Noi cristiano sociali della prima ora, se anche dovessimo ritenere la politica sempre meno praticabile, difficilmente potremmo dimenticarlo.

Vittorio Sammarco

 

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  1. Il dibattito in corso nella sinistra appare vivace e ciò non può che rallegrare. Ho partecipato l’altro ieri sabato 11 qui a Torino a un affollato dibattito in sede PD. Una sensazione di insufficienza, però, la situazione la dà: siamo completamente assorbiti dai nostri problemi italiani e non c’è vitalità sulle questioni più generali (mondiali) che peraltro ci determinano. Sono abbastanza vecchio per ricordare i tempi in cui, ingolfati nei problemi della “ricostruzione”, assistemmo silenziosi (salvo qualche protesta più ideologica che intelligente) a come un sistema economico ormai multinazionale si impadronì del mondo con metodi tutt’altro che pacifici: solo la “guerra in vietnam” provocò un soprassalto diffuso di attenzione, peraltro sterile su piano della possibilità di intervenire nei processi mondiali. Tuttavia nel frattempo, almeno si costruì una Comunità in Europa, peraltro però successivamente realizzata con molta burocrazia, nel gioco dei poteri nazionali più forti (ovviamente non italiani) e quindi destinata a una decadenza, di cui brexit è solo la punta dell’iceberg. Risultato: ci si limita a criticare, magari ridacchiando, le mosse del nostro Ministro degli esteri, ma in realtà chi si muove oggi sul piano mondiale sono solo alcune lodate, ma poco sostenute culturalmente e politicamente, organizzazioni che si occupano dei veri problemi di squilibrio economico e sociale mondiali, generati de politiche ancora e sempre fondate solo sullo sfruttamento di risorse umane e fisiche e orientate all’accumulo di profitti. A quando la capacità di occuparsi di ciò con capacità di intervento?

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