Guerra civile

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La retorica sulla pacificazione o sulla contrapposta guerra civile inonda le strade già piuttosto asfittiche del dibattito pubblico italiano, in questo scorcio d’estate. Si era cominciato con il forzare il significato piuttosto obbligato del governo di precarie larghe intese, per parlare di una pacificazione che mettesse fine a vent’anni di delegittimazione (del berlusconismo da parte della sinistra, naturalmente). Si è arrivati ora a invocare un qualche colpo di spugna che salvi il leader politico condannato per un reato comune, minacciando in caso contrario la guerra civile.

E’ curiosa la rappresentazione dell’ultimo ventennio come una guerra civile da chiudere con qualche gesto di pacificazione. In primo luogo, non c’è nessun elemento che possa veramente far pensare a qualche paragone con le vicende storiche vere e proprie di guerra civile, che prevede lo scontro violento sulle regole del sistema, non la contrapposizione in una cornice istituzionale condivisa. Non c’è stato il sangue, non ci sono stati colpi di Stato, non c’è stata un’opposizione perseguitata. Ci sono state ben quattro alternanze di governo delle coalizioni contrapposte, legittimamente e ordinatamente seguite a turni elettorali, non a particolari maneggi o trucchi o forzature del consenso (1996, 2001, 2006, 2008). Insomma, la nostra sarà stata una democrazia zoppa e incerta, ma è difficile rappresentarla con le tinte tetre dello scontro permanente o della forzatura violenta delle regole.

Certo, si potrebbe auspicare di più. Si potrebbe pensare a un government by discussion, in cui le scelte vengano ampiamente e razionalmente confrontate per il bene del paese, senza irrigidimenti propagandistici. Si potrebbe pensare a una democrazia in cui alcuni elementi fondamentali (costituzione, politica estera, sistema formativo) siano sottratti allo scontro politico. Si potrebbe invocare un maggior fair play nella lotta e nello scontro, che salvaguardi elementi come le personalità dei politici o il decoro delle istituzioni. Ma non si deve nemmeno esagerare a contrapporre la durezza insensata e perniciosa del bipolarismo italiano alla funzionalità lieve e pacifica delle altre democrazie. Chiedete qualcosa a Obama rispetto alla durezza ideologica e pratica dello scontro parlamentare negli Stati Uniti attorno a questioni come la riforma sanitaria o le tasse: sono successe cose che vanno ben al di là della ragionevolezza, come il braccio di ferro sui tetti all’indebitamento ha mostrato.

Insomma, lo scontro aperto e aspro, che comprende anche l’uso della delegittimazione reciproca come arma della polemica politica, non è solo deteriore elemento dell’Italietta, ma un aspetto della politica contemporanea, da decodificare e gestire senza fasulle preoccupazioni da «anime belle». Il bipolarismo, permettendo l’alternanza di governo (la cui assenza, non dimentichiamolo, era stata la grossa tara della prima fase della storia repubblicana, per ragioni complesse di ordine internazionale e interno), ha un costo corrispettivo: tende a rappresentare in bianco e nero tutti i conflitti e le differenze di opinione. Occorre esserne consapevoli e gestire questa situazione, più che rimpiangere i tempi del «troncare e sopire» di dorotea memoria.

In secondo luogo, la recriminazione dei berlusconiani – e dei loro corifei intellettuali – trascura una piccola questione. Ci sarebbe da indagare su chi ha caricato di più su questi elementi di delegittimazione. Chi ha coinvolto la costituzione stessa nello scontro, tacciandola di bolscevismo e mettendo in questione le fondamenta stessa della «casa comune»? Chi ha utilizzato a piene mani la retorica del comunismo a comunismo scomparso, sfruttando contro «la sinistra» tutto l’armamentario delle paure e delle delegittimazioni «di sistema» tipiche della guerra fredda? Chi ha sistematicamente operato per una forzatura e curvatura delle regole di sistema per coprire magagne personali di ordine giudiziario? Difficile insomma insistere solo sulla «demonizzazione» di Berlusconi come origine della guerra civile. Come non pensare, quindi, che tante lagne siano in fondo destinate a coprire una semplice verità: accusando gli avversari di delegittimazione politica si vogliono coprire le anomalie significative della carriera dell’imprenditore-politico, che in nessun altro luogo in Occidente o in una democrazia moderna sarebbero state tollerate, come sa chiunque abbia letto quel pericoloso giornale sovversivo che è l’«Economist».

Ora quindi si rilassino tutti i fautori della pacificazione. Una democrazia funzionante può benissimo tollerare la condanna per reati comuni di un capo politico. I sistemi di controlli e contrappesi nel nostro paese sono molteplici e quindi l’ipotesi della persecuzione politica appare del tutto risibile, secondo tutti gli standard internazionali. Il condannato sconterà la condanna, fuori dal parlamento come le regole prevedono. Nulla gli impedirà di avere «agibilità politica», di continuare a guidare un partito o di fare battaglie di opinione, fuori dalle istituzioni, o addirittura – se gli aggrada e i suoi sodali lo vorranno – di condurre una campagna elettorale. Cosa tra l’altro che sa fare così bene, come tanti italiani pensano, mentre sulle sue capacità di guida di un governo ci sarebbe molto più da discutere… Comunque, così funzionano i paesi civili.

 Guido Formigoni

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  1. Condivido e osservo a mia volta che la situazione attuale appare grottesca e surreale e rappresenta, si spera, l’epilogo dell’anomalia vissuta dalla nostra democrazia negli ultimi venti anni. Non c’è dubbio, infatti, che Berlusconi ed il berlusconismo siano l’espressione di un’anomalia democratica: la personificazione della politica che giunge ad un culto della persona estraneo a qualunque contesto democratico e civile, la fondazione di un movimento spacciato per partito ma che non ha nulla a che fare con quanto prevede l’art. 49 della nostra Costituzione, il populismo demagogico esasperato, la scorretta e grave semplificazione della politica, processo invece complesso, che ha annullato la possibilità di un corretto confronto su linee politiche diverse, confronto vitale per una democrazia….E, come dice Guido Formigoni, tanti e gravi sono i guai recati al nostro sistema da questa esperienza che io definisco tragica anche perché non si può riconoscere a Berlusconi alcuna particolare dote di statista e di governante. Ed ora tutta la situazione sociale e politica del nostro paese è condizionata dal tentativo di salvare l’immagine politica di questo personaggio condannato in via definitiva per gravi reati comuni dopo una serie di altri giudizi evitati per prescrizione o per modifica di norme legislative e mentre sono in corso ulteriori procedimenti inquisitivi per reati che nulla hanno a che vedere con ideologie e opinioni politiche. Le procure della Repubblica avranno certo mostrato una particolare attenzione per questo personaggio ma i giudizi di condanna avvengono su fatti oggettivi. I “seguaci” di Berlusconi non hanno alcuna remora a dichiarare, menandone vanto, che, al di là di ogni idea politica, essi si riconoscono tutti nella persona di Berlusconi distruggendo, così, ogni possibile credibilità della loro parte politica e privando il paese di un civile e costruttivo confronto con una potenziale destra democratica.

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