Family day. Rispetto, ma non mi convince

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Il 20 giugno a Roma si è svolta una manifestazione promossa da varie sigle diciamo pro-life e pro-family che giornalisticamente è stata letta come una sorta di Family day 2, evocando quella più partecipata che ebbe luogo nel 2007, al tempo del secondo governo Prodi. Sensibili tuttavia le differenze. Due in particolare, concernenti oggetto e promotori. Semplificando ma, fuor di ipocrisia, allora il bersaglio erano i “dico”, cioè la proposta di legge poi affossata sulle unioni civili, e promotrici erano anche le principali associazioni ecclesiali (alcune un po’ precettate) dietro la palese regia della Cei guidata dal cardinale Ruini, che si adoperò per assicurare la partecipazione massiccia di diocesi e parrocchie. Ora, tra i soggetti associativi e istituzionali promotori non figurano quelli di natura ecclesiale e la Cei e i vescovi hanno fatto un passo di lato. Nonostante il bersaglio, diciamo così, fosse più esteso e il quadro più problematico, come si evince dal titolo assegnato all’iniziativa: “difendiamo i nostri figli”. E cioè la proposta di legge sulle unioni gay in discussione al Senato, ma anche il divorzio breve, la teoria della pluralità dei modelli familiari e soprattutto la proposta di introdurre nelle scuole le questioni connesse agli orientamenti sessuali e al gender. Anche a valle del referendum irlandese che ha avuto vasta eco in Italia.

Merita chiedersi perché la Chiesa istituzione abbia adottato un atteggiamento più defilato e prudente, pur a fronte di un’accelerazione vistosa del parlamento su questo fronte. È facile rispondere. Decisiva la svolta impressa da Papa Francesco, ancorché non adeguatamente assimilata dai vertici di una Chiesa italiana ancora alla ricerca di sintonizzarsi con essa. Senza però equivocare.

A mio avviso, a dispetto di certi luoghi dettati da letture superficiali, Papa Francesco non recede in nulla sul piano dei principi etici, della visione umana e cristiana della sessualità e della famiglia. La svolta attiene ad altro. Segnatamente a quattro profili: 1) non avalla l’evoluzione del costume, ma ne prende realisticamente atto (così ha commentato il primate d’Irlanda l’esito del referendum), anche se esso fa problema; 2) non misconosce l’esigenza di tenerne conto e dunque delle mediazioni politico-legislative nell’opera tesa a insediare quei principi nella vita della polis; 3) affida tale difficile compito al responsabile discernimento dei laici cristiani dentro un confronto-collaborazione con gli uomini di buona volontà; 4) sul piano educativo e pastorale proprio della Chiesa sollecita a moltiplicare, in positivo, gli sforzi perché sia mostrato e proposto il Vangelo della famiglia, la sua attrattiva, il suo valore umano e sociale.

Detto questo, la mia opinione sulla manifestazione è la seguente. Primo: condivido l’idea della centralità e della peculiarità della famiglia quale disegnata in Costituzione e l’esigenza di un concreto sostegno ad essa, preservando appunto un “favor familiae”. Dunque non accedendo a improprie equiparazioni con altre forme di unione. Secondo: anche in una società liberale e pluralista, il legislatore deve procedere con la massima prudenza quando è in gioco l’interesse del minore. Terzo: non demonizzo la teoria gender, ma non mi convince la tesi secondo la quale la differenza sessuale non avrebbe rilevanza alcuna nella costruzione della personalità e quindi penso che, dentro l’educazione scolastica, se ne possa sì ragionare ma con tutte le cautele connesse al processo evolutivo dei minori. Insomma tutto dipende dal modo, che tuttavia sta a significare tante cose per nulla scontate nelle nostre scuole: preparazione degli insegnanti, cura di informare ed educare rispettosamente e non indottrinare, dialogo con i genitori… Quarto: proprio lo statuto di una società liberale e democratica prescrive che tutti possano esprimersi e fare valere le proprie convinzioni ed opinioni. Dunque va riconosciuto il diritto di parola e di manifestazione di chi difende una visione tradizionale di famiglia come di chi se ne distanzia. Guai al pensiero unico. Quinto: tuttavia non mi riconosco nei modi e nei toni dei promotori del “difendiamo i nostri figli”. Mi spiego. La difesa della famiglia non esclude l’esigenza di riconoscere e disciplinare altre forme di unione. Ancora: su temi di questa natura, penso non aiutino le adunate, con i loro toni assertivi e apodittici. Mi è parsa sopra le righe la reazione polemica del sottosegretario Scalfarotto, ma, per converso, non hanno giovato alla manifestazione quegli esponenti del centrodestra che non hanno resistito alla tentazione di metterle su il cappello. Di più: in un paese come il nostro e, considerati i precedenti, anche se si ha l’avvertenza di marcare il carattere aconfessionale della mobilitazione (con qualche infelice eccezione, come nel caso di Kiko Arguello, carismatico fondatore dei Neocatecumenali, che ha accostato la croce al microfono e ha opposto il Papa alla Cei), essa assume inesorabilmente una coloritura che evoca quella impropria opposizione laici-cattolici. Con il noto effetto di instillare nei non cattolici una reattività alle presunte ingerenze confessionali e nei cattolici la malcelata pretesa di fare passare il proprio punto di vista come universalmente valido a monte della cura di argomentarlo razionalmente e persuasivamente. Insomma, se la prospettiva è quella di maturare insieme soluzioni legislative condivise, modo e toni sono decisivi. Infine, per venire al punto oggi più stringente, penso che sia saggio applicarsi a un’attività migliorativa ed emendativa della proposta relativa alle unioni civili che sta al Senato. Non adoperarsi per affossarla. Una legge è necessaria. E comunque l’attuale parlamento, complice la giovane età di molti suoi membri, sembra decisamente orientato a vararla. Chi, a torto o a ragione, se ne preoccupa e dissente, farebbe bene a riflettere appunto sull’accelerazione irlandese, paese storicamente cattolicissimo. Se e quando non si adottano soluzioni equilibrate a tempo debito – non è il caso di scomodare il Kairos – poi si producono derive e accelerazioni sorprendenti. La stessa Cei dovrebbe chiedersi se avere contrastato allora i “dico” non sia stato poco lungimirante.

 

Frano Monaco

 

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