Elezioni a Reggio Calabria. Per risalire la china, si deve mobilitare tutta la città

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Ai miei amici di Reggio Calabria che attendono con ansia le prossime elezioni amministrative, l’esercizio che suggerisco è quello di girare solo per un momento lo sguardo verso il passato. E’ un esercizio che raccomanderei soprattutto alle classi dirigenti locali. Non da oggi disinteressate alle sorti della città. A quei ceti cioè che hanno preferito in questi anni mettersi alla finestra. La nostalgia e il rimpianto del tempo che fu non servono. Non è questo che chiedo. Indagare sul passato serve solo a fare emergere qualche monito ancora valido per i nostri tempi. E facendo così da pungolo alla sonnolenta e pigra società civile, ormai assente dall’impegno politico. Richiamare alla mente un pezzo di storia cittadina potrà in questo modo servire a dare speranza alla democrazia civica. Fornendo la carica necessaria alle nuove generazioni, da cui Reggio si attende la rinascita e la svolta. Tutto questo potrà tuttavia accadere se questi giovani vedranno dietro di loro, a sorreggerli, aiutarli, comprenderli, l’intera città.

E’ bene allora ricordare che Reggio non è sempre stata una città di corrotti e corruttori. Una città oggi addirittura commissariata. Non è sempre stata una città dove l’illegalità ha regnato indisturbata sin dentro il Consiglio comunale. Questo sbrigativo giudizio si alimenta dagli stereotipi di una storiografia meridionalista non sempre benevola nei confronti dell’intera Calabria. E di una stampa ripetitiva nei suoi luoghi comuni. Ma è un giudizio precipitoso. Anche se c’è della verità in queste  descrizioni, bisogna avere la pazienza di indagare meglio, guardando un poco indietro nel tempo, appunto. Di capire bene cioè le cause della “decadenza” cittadina, che non sono soltanto le “mani sulla città” della ‘ndrangheta. Indubbiamente presenti. Ma che sono anche quelle favorite da un parallelo dileguarsi delle mani virtuose della onesta classe dirigente locale, ritiratasi dallo spazio pubblico. E progressivamente assente dall’amministrazione civica. Se si guarda a questo passato ci si accorgerà allora che Reggio ha avuto élite politiche di qualità. E che c’è stata una buona borghesia, qualche volta di alto profilo, responsabile e retta. Per i tempi, addirittura competente. Che si è dedicata con passione all’impegno politico per servire la comunità locale con un senso civico mai più visto nella storia della città. Una borghesia sinceramente cattolica. Colta. Spesso conservatrice e di destra. Formata da latifondisti agrari, da professioni liberali, da commercianti. In qualche occasione una borghesia intellettuale. Che però ha avvertito il bisogno di sporcarsi le mani mettendoci la faccia. Come si dice oggi. Insomma, una borghesia virtuosa i cui valori erano quelli della probità e della correttezza, e le cui radici erano quelle delle migliori virtù liberali, declinate nell’assunzione di responsabilità amministrative. Tra luci e ombre, questa borghesia del passato si è impegnata in politica perché credeva ai valori della democrazia liberale moderna. Della partecipazione. Laddove la tradizione civica non aiutava certamente. E laddove le stesse istituzioni statali andavano avanti con l’assistenzialismo e con pregiudizi postunitari. Una borghesia che scommetteva sul futuro della città. Non certo per bisogno, o peggio per narcisismo come capita oggi con la telepolitica e i social-network, ma perché ci credeva. Spesso lasciando forti ricordi della propria onestà e del proprio operato. I De Nava, i Mantica, Zerbi, Giuffrè, Tripepi, Spanò Bolani, ecc. E poi nel secondo dopoguerra i Priolo, Andiloro, i Siles , Spoleti,  Quattrone, ecc. Tutti sindaci di Reggio, che sono lì a testimoniare quanto la disponibilità all’impegno civico fosse presente in un ceto sociale che poteva benissimo starsene in pantofole e vivere di rendita.

La repentina scomparsa di queste èlite dallo spazio pubblico è stata però fatale. Se da un lato ha favorito la democratizzazione della città e il ricambio delle classi sociali, dall’altro non ha permesso il passaggio di testimone favorendo l’avanzata di schiere di parvenu, il cui solo fine era quello di perpetuare il “familismo amorale”, e di fare favori agli amici, e agli amici degli amici. Portando la città nella situazione in cui si trova. E’ a partire dagli anni ’70 che questi ceti si sono completamente eclissati. Aiutando con la loro apartheid il declino etico, e l’incompetenza che conosciamo.

Questo è stato il tempo in cui la nuova ed emergente borghesia cittadina, arricchitasi intanto con la Cassa del Mezzogiorno e con l’assistenzialismo, con l’edilizia, i lavori e l’impiego pubblici, ha alzato la voce chiedendo protagonismo, forse giustamente. Ma ripiegando su valori sciovinisti e rivendicazionismi stracittadini. Localistici. Su un orgoglio provinciale che guardava più all’impiego pubblico delle burocrazie regionali e al potere delle clientele, che alla nobile storia della città. Ancora più ingannevolmente chiedendo allo Stato una politica economica industriale in una Calabria in cui l’industria non è mai stata di casa. E’ stato questo il momento in cui l’ultima buona borghesia, con i figli ormai pronti ad emigrare ma ancora in parte presente nel tessuto sociale e culturale della città, si è messa definitivamente da parte. Non trovando niente di meglio che ritirarsi nel privato, nei circoli culturali, in quelli sportivi, lasciando la città nelle mani di faccendieri.

Tranne qualche nota eccezione, e guardandomi bene da tessere l’elogio delle èlite borghesi, se devo riassumere in poche parole la storia civica di Reggio degli ultimi quarant’anni, la riassumerei, così: ad un progressivo disinteresse della più onesta classe dirigente cittadina, ha fatto progressivamente seguito il deteriorarsi del tessuto morale, con l’avanzata di un nuovo ceto politico disponibile ai compromessi. Preparando in tal modo il terreno all’illegalità e al malaffare che ha mandato in tilt il Comune. Se responsabilità per la situazione della città dunque ci sono, esse vanno a mio avviso addebitate anche, ripeto anche, all’indisponibilità dei nuovi ed onesti ceti dirigenti locali a sporcarsi le mani.

Ora siamo in attesa delle elezioni. E sul nastro di partenza troviamo per il centrosinistra il giovane Falcomatà, figlio dello storico sindaco Italo, nonché vincitore delle primarie, e per il centrodestra il medico Lucio Dattola, sostenuto fino al momento solo da F.I. Il Movimento del comico Grillo, in assenza di buoni coinvolgimenti e di solide cordate, avrebbe invece a disposizione il 54 % dei giovani reggini disoccupati o inoccupati, diplomati o con licenza media, – un dato da terzo mondo – su cui potrebbe attingere consenso una volta che questi ragazzi si lasciano prendere dalla retorica disfattista del “… tutto va male e non c’è niente da fare … A Palazzo S.Giorgio ci pensiamo noi”. Al di sopra di tutto c’è un dato che preoccupa: alle politiche del 2013 l’affluenza alle urne a Reggio Calabria è stata del 63%, mentre alle Europee di quest’anno si è fermata al 46% – una delle più basse d’Italia. E’ probabile che il voto amministrativo locale ribalti questa tendenza all’apatia. Ma non è certo. Perché se così non fosse, prima che la città si inserisca in quella “civic community” dei rapporti orizzontali di solidarietà e giustizia, passeranno parecchi anni. L’errore che Reggio può, a questo punto di grandi attese, commettere è allora quello di credere che questi giovani ce la possono fare da soli. Senza avere alle spalle ciò che rimane della virtuosa società civile: gli ordini professionali, la Chiesa, i sindacati, l’associazionismo culturale, imprenditoriale, il volontariato, le scuole, ecc. Insomma che ce la possano fare senza l’appoggio della città e di tutta la classe dirigente cittadina. E’ vero che il clima politico che stiamo respirando è quello della delega a un decisionista. Nella convinzione, maldestra, che un buon “capo forte” degli anni 2000 ce la possa fare col suo carisma, con una maggioranza anche ristretta. Questo nuovo leaderismo non è mai stato però foriero di allargamento della democrazia. Specie di quella rappresentativa. E a Reggio si può addirittura vestire di beffa creando tragiche illusioni. Poiché dopo il commissariamento non ci resta che consegnare definitivamente la città. Rimandando la rinascita a tempi migliori e imprevedibili. Che è quello che la stragrande maggioranza sana dei reggini non vuole.

Nino Labate

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