DOVE VA IL SINDACATO? NE DISCUTE “APPUNTI ALESSANDRINI”

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“Soltanto i sindacati possono elaborare un progetto di società e di economia alternativo alla troppo rigida politica di austerità dell’Unione Europea. Soltanto i sindacati possono inglobare nella loro opera di tutela dei lavoratori i paesi del Terzo e Quarto mondo (…).Soltanto i sindacati, infine, possono costituire oggi, nella generale disaffezione alla politica e nel prevalere di decisionismo e autoritarismo nella gestione del potere, il luogo della partecipazione collettiva alla democrazia e dell’educazione alla cittadinanza attiva”. Dopo un primo articolo di Marco Ciani (“Dove va il sindacato?“), e un successivo intervento del senatore Daniele Borioli (“Il sindacato che ci vuole”), interviene ora nel dibattito aperto dall’Associazione “Appunti Alessandrini”, con grande incisività, Patrizia Nosengo: “Il ruolo del sindacato, quando i diritti di tutti sembrano privilegi e i privilegi di pochi diventano diritti”.

 

 

 

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  1. DELL’UTILITA’ DEL SINDACATO PER LA DEMOCRAZIA

    Trovo molto interessante il dibattito aperto dall’articolo di Marco Ciani e proseguito con gli interventi di Daniele Borioli e Patrizia Nosengo. Non che non abbia nulla da dire nel merito di quanto hanno scritto e dei problemi e le difficolta che vive il movimento sindacale oggi nel nostro Paese, ma ritengo più opportuno e utile proporre un testo di Savino Pezzotta, gia Segretario Generale della CISL, che ben si colloca in questo dibattito.
    R. Vialba

    DELL’UTILITA’ DEL SINDACATO PER LA DEMOCRAZIA

    24 settembre, 2015 di Savino Pezzotta

    Oggi è di moda fare del sindacato il responsabile di tutti mali del Paese, fa specie vedere negli accusatori politici che in questi ultimi vent’anni sono stati al Governo o il Presidente di Confindustria che mai una volta ha preso posizione sulla oggettiva latitanza di molti industriali italiani.

    Tutti si sono messi al seguito del Presidente del Consiglio Matteo Renzi che con una metodica quasi giornaliera ha ritenuto opportuno fare accuse e insinuazioni sul sindacato. Il sindacato ha certamente delle responsabilità e a mio parere è in ritardo rispetto ai grandi mutamenti e alla metamorfosi del lavoro generata da una nuova divisione internazionale della produzione e della trasformazione tecnologica della manifattura.

    Un conto è avanzare critiche che tendono a valorizzare il ruolo del sindacato nell’economia e nell’articolazione democratica delle rappresentanze, altro è cercare di ridurne le potenzialità. A volte ho l’impressione che si voglia creare un capro espiatorio. Quando si attraversano delle gravi situazioni di crisi che mettono in tensione le dinamiche sociali e generano un disincanto verso il potere politico ritenuto incapace di risolverle, emerge la necessità di un escamotage grazie al quale ricomporre la crisi riconciliando gli animi. In situazioni di questo genere viene individuata la vittima sacrificale sulla quale scaricare tutte le responsabilità della situazione. Mi sembra che sia quanto si sta montando nei confronti del sindacato, non si cercano elementi oggettivi e non si circoscrivono i singoli casi, ma si procede a una generalizzazione di colpevolizzazione che renda necessario l’intervento regolativo in termini restrittivi.

    L’esempio più clamoroso è quello che in questi giorni si sta svolgendo sulla chiusura dei monumenti storici romani a causa di una assemblea sindacale. Una assemblea convocata nel rispetto delle leggi e delle normative e attuata con orari ad inizio del primo turno per ridurre al minimo i disagi dei visitatori. Si può certamente criticare questa modalità, ma anche valutare se non ci siano state responsabilità di coloro che avendo ricevuto la comunicazione dell’assemblea alcuni giorni prima, non hanno avuto la sensibilità di aprire un dialogo con i responsabili sindacali.

    Oggi dialogare con i rappresentanti dei lavoratori viene considerato tempo perso, quello che conta e la decisione e poi “se ne faranno una ragione”. Questo modo di procedere creerà ulteriori situazioni di conflittualità poiché la logica di “non disturbare il manovratore “può funzionare per qualche tempo, ma non sicuramente all’infinito.

    Mi rendo conto che il sindacato può sollevare dei problemi a chi Governa, ma non bisogna mai dimenticare che il sindacalismo italiano. Con buona pace dei suoi critici attuali, ha sempre giocato un ruolo nazionale, che ha contribuito a battere il terrorismo e che con coraggio non sempre riscontrabile nei partiti e nella politica ha contribuito ad affrontare interventi delicati sulle vicende della politica economica, dal superamento della scala mobile, alle riforme delle pensioni e dello stato sociale.

    Oggi il sindacato si trova ad affrontare un gap di credibilità sociale molto alto, ma non credo sia nell’interesse della politica e del Governo infierire approfittando di questo declino di fiducia presso la pubblica opinione. Molte delle critiche che oggi si volgono verso il sindacato nascono dall’aver lo stesso assunto delle responsabilità e di non essersi attestato su posizioni corporative o antagoniste. Posso capire, senza condividere, che ci sia un interesse politico che accumuna destra, sinistra e forze emergenti a indebolire il sindacato, ma questa è una visione miope poiché alla fine è il Paese ad avere bisogno di un sindacato forte, propositivo e partecipativo.

    Il sindacato non è privo di errori ed è sbagliato non riconoscerli , si è fortemente burocratizzato e forse allontanato dal rapporto diretto e partecipato dei lavoratori, nello stesso tempo bisogna riconoscere che quando si apre una crisi aziendale o una grande azienda si ristruttura , manda le produzioni all’estero dove il lavoro costa meno chi si muove per primo è sempre il sindacato che chiede tavoli di confronto per ricercare una soluzione che non scarichi tutti i costi sulle spalle dei lavoratori e delle loro famiglie. Se al ministero delle Sviluppo ci sono oltre duecento vertenze aperte chi le ha portate al quel tavolo? se non il sindacato. Non sempre le trattative sulle aziende in crisi sono coronate da risultati positivi, ma non certo per colpa dei sindacati, molte volte sono le condizioni oggettive ad impedirlo. Ecco perché ci vorrebbero giudizi più equilibrati e non approfittare di qualche errore per imporre restrizioni ai diritti sindacali, che, va tenuto presente non sono diritti del sindacato, ma dei lavoratori.

    La presenza del sindacato, anche nella sua debolezza e con i suoi ritardi che non sono pochi, rappresenta comunque un fattore di contenimento delle prevaricazioni e comunque è una presenza sociale che declina il valore del lavoro che mai dovrebbe essere considerato come una merce e pertanto sottoposto in modo esclusivo alla legge della domanda e dell’offerta.

    Il sindacalismo italiano ha sempre rifiutato l’idea corporativa di difendere solo i suoi, ma ha mantenuto, non senza difficoltà, l’idea di avere una Mission generale e una rappresentanza molto più ampia di quella dei soli iscritti. Non sempre riescono per difficoltà oggettive interne ed esterne a rappresentare l’insieme dei dipendenti e dei subordinati economici, anche perché le tipologie del lavoro moderno non corrispondono più alla tradizionale categorializzazione merceologica o di professionalità.

    La frammentazione domina il mercato del lavoro ma all’interno di questa trasformazione resta sempre l’esistenza di una concreta asimmetria tra chi offre e chi chiede lavoro, è sempre in campo un rapporto di subordinazione economica che deve essere regolato dai contratti e dalle leggi, ed è qui che il ruolo del sindacato si realizza. Il resto sono solo delle chiacchiere, utile a mantenere in vita rapporti di potere anacronistici.

    La difesa del sindacalismo e dei suoi valori tocca in prima istanza alle organizzazioni sindacali che devono avere il coraggio di cambiare, di agire in modo virtuoso, di riformarsi nelle strategie, diventare sempre più un soggetto generatore di forme partecipative e innovarsi permanentemente nella sua dirigenza, superando la logica della cooptazione per ampliare la democrazia interna rompendo la tendenza al formarsi di una oligarchia interna. Non vorrei che a oltre 100 anni di distanza si dovesse dare ragione al sociologo Robert Michels che questo sbocco oligarchico aveva preconizzato. Osservando con attenzione vedo che questo processo è iniziato e che occorre sostenerlo e stimolarlo anche attraverso critiche costruttive. La vera riforma del sindacalismo italiano si chiama unità, non ha più ragione che ci si mantenga divisi di fronte alla grandi trasformazioni che attraversano l’economia e investono la politica.

    Certo è, che stiamo assistendo a uno spudorato anti sindacalismo, predicato e praticato da destra e da sinistra, questo è un indizio ulteriore della metamorfosi che attraversa la democrazia italiana che , onestamente, un po’ stupisce e molto addolora.

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