Alla ricerca del centro perduto

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E’ vero. Col sistema elettorale proporzionale con cui andremo a votare il 4 marzo, stiamo tornando indietro nella storia politica italiana. Con almeno tre novità rispetto al passato: il proliferare di partiti partitini e liste, mai visto prima; la personalizzazione leaderistica di tante sigle in competizione; la ricerca patologica di un elettorato c.d. di centro su cui insistono una miriade di formazioni politiche che si dichiarano tutte di centro moderato, ma che in fondo in fondo e tranne qualche virgola, hanno programmi fotocopiati. Se non vogliamo risalire a Cavour, sono partiti, partitini e liste moderate di centro che (forse) avrebbero potuto avere un senso solo ai tempi di De Gasperi, una volta di fronte ad un robusto ceto medio consegnatogli dal fascismo. Ma che oggi rappresentano la presa in giro di un pluralismo politico e culturale autentico.

 

Il centro politico “orizzontale” del secolo passato

Che si stia rispolverando il centro politico, dopo che era stato messo tra i ferri vecchi del Novecento, indicandolo come toccasana della competizione elettorale, è non solo colpa del proporzionale, ma responsabilità dei nostri attuali uomini politici e dei tanti leader che con decine di partiti fanno oggi a gara nel dichiararsi di centro. Certamente frettolosi nell’identificare il “centro” politico con i c.d. moderati, spesso indifferenti ai loro doveri di cittadini, definiti come tranquilli conservatori contro il progresso e ogni cambiamento. La faccenda confonde di più le acque, quando compaiono ancora oggi sigle doppie che si dichiarano di centrodestra, centrosinistra, se non di sinistra centro e di destra centro. Ma tant’è.

Il centro politico è, a ben vedere, solo una grande finzione geometrica e lessicale. Naturalmente ben presente nella storia delle democrazie moderne a partire dalla rivoluzione francese, ma oggi addirittura inesistente in alcuni paesi bipolari anche in virtù dei loro sistemi elettorali. Così come è inesistente la nozione dei moderati nei dizionari di politica seri. Deve essere però chiaro che il c.d. centro moderato è una fetta di elettorato che ha sempre permesso la vittoria o la sconfitta di alcuni partiti “decentrati” che stavano alle ali estreme.

Tutto però sta a capire per bene cosa intendiamo con centro. Chiarendo intanto perché ai nostri giorni è una vera e propria finzione quando non venga messo in stretta relazione col centro di natura sociale, molto meglio definibile e identificabile. E poi perché, al di sopra e al di fuori del centro politico e del centro sociale, esiste un centro globale invisibile, economico e finanziario, dimenticato da tutti, che oggi col suo potere fa girare il mondo intero attraverso Wall Street. Non bisogna essere per forza marxisti per capirlo.

 

Il centro osservato “sulla verticale”

Se facciamo un minimo sforzo e ci trasferiamo dalla posizione orizzontale di un centro equidistante da destra e sinistra, a quella verticale di un centro equidistante da ricchi e poveri, primi e ultimi, eguaglianze e diseguaglianze, allora io credo che si possa comprendere bene sia la realtà che ci sta intorno, sia le nuove sfide che ci attendono.

Con un particolare che andrebbe tenuto sempre presente. E cioè che quando ci trasferiamo sulla verticale, troviamo in alto solo l’1% della popolazione, e cioè una ristrettissima èlite del potere, che detiene il 25% della ricchezza nazionale, quei ricchissimi insomma a cui si augura di cuore di non fare come il cammello e la cruna dell’ago. Mentre il rimanente 99% della popolazione italiana si distribuisce il 75% di quella ricchezza. Se vogliamo prendere la lente d’ingrandimento ricorrendo ai dati Oxfam, nel 2015 il 20% della popolazione italiana deteneva il 68% circa della ricchezza nazionale, mentre il rimanente 80% si divideva il restante 32%. Insomma: se non siamo nella “società dei 2/3” a cui spesso si richiamava Pietro Scoppola e ben descritta da Ilvo Diamanti in una sua ricerca, le siamo molto vicini. Con una aggravante: e cioè che oggi un 35/40, forse 45% degli aventi diritto al voto non va a votare.

Ora, se noi desideriamo identificare il centro politico con l’1% dei ricchissimi o con il 20% di popolazione benestante e ricca senza grossi problemi economici e incertezze sul futuro proprio e dei figli, oppure con quei 2/3, o con quel 40% di apatici, siamo liberi di farlo. Ma così facendo, compiamo una operazione politica sbagliata. Una operazione che tende, oggi, ad imbrogliare e a fare confondere gli elettori evocando una terra di mezzo inesistente che semplifica la realtà sociale.

Se invece vogliamo rivolgere lo sguardo al resto della popolazione, tutto possiamo fare tranne che evocare un partito di centro e un elettorato centrista: quel lontano centrismo dell’Italia cattolica di De Gasperi ad ispirazione sturziana e popolare, che nel lontano 1951, oltre ad avere da fare con la Cortina di ferro e la ricostruzione, registrava un 63% di lavoratori fra coltivatori diretti e salariati agricoli contadini (fonte Sylos Labini).

E’ corretto aggiungere che quando si rimuove la linea verticale (ricchi e poveri) e si ritorna alla linea orizzontale (destra e sinistra, o, peggio, centrodestra e centrosinistra) il discorso, dal punto di vista della scienza politica e della storia politica della nostra democrazia italiana si fa certamente più pertinente. Ma solo, appunto, per la scienza politica e solo per la storia del secolo scorso. Si possono infatti riscontrare riferimenti e richiami storici notevoli per spiegare e capire bene il termine centro nel gioco della competizione elettorale e dei nostri parlamenti nazionali. Così come si possono trovare definizioni convincenti che spiegano cosa significa destra e cosa sinistra, in quegli anni divisi – come ha sostenuto Norberto Bobbio – tra libertà ed eguaglianza. Ma niente di più.

 

Ridefinire l’offerta politica

Qual è, allora, il problema di oggi? A mio avviso risiede nel fatto che continuiamo ad utilizzare categorie politiche che spiegavano solo per il passato alcuni fenomeni della democrazia e della società del nostro paese. Ma che ai nostri giorni richiedono forse qualche rivisitazione e ridefinizione con categorie fortemente creative, pensando al futuro che ci attende.

Non credo che di fronte alla crisi del partito politico del tutto liquefatto, e all’avanzata del “nominalismo” dei leader in diretto rapporto con l’elettore senza nessun corpo intermedio, utilizzando la nozione di centro si riesca a spiegare e capire qualcosa. Voglio ricordare che il più coraggioso europeista dei nostri giorni è il presidente senza partito di un paese, la Francia, dove la classe operaia vota per la Le Pen.

Così come non credo che, di fronte all’avanzata infantile dei nuovi populismi nazionalisti e antieuropeisti dalla vista corta, con la terra, il sangue, la lingua, e le tradizioni …e perfino la razza – una presa in giro dell’autentico comunitarismo -, messi nei loro programmi romantici e sbandierati nelle loro manifestazioni, la riposta sia quella degli slogan e dei twitter.

Credo di più, invece, che, di fronte ai rivolgimenti sociali inimmaginabili per tutto il Novecento, ma irreversibili, di fronte crisi dei ceti medi saliti sul “discensore” – che bene o male componevano il centro c.d. moderato nel secolo passato -, non bisogna stare immobili sulla riva del fiume richiamandoci a interpretazioni e paradigmi superati dalla storia. Forse è bene cominciare a pensare che i moderati, quelli senza problemi economici, educati e per bene, tranquilli e fiduciosi sul futuro loro e dei figli, nemici delle grandi “rivoluzioni”, hanno oggi ceduto il posto all’intemperante odioso, al nervoso preoccupato, alle famiglie con i figli disoccupati e senza molte speranze.

 

Il nuovo centro … estremista?

E’ indispensabile declinare valori e principi del vivere insieme e della democrazia costituzionale nello “spirito dei tempi” che viviamo. Interpretando bene i fenomeni sociali sopraggiunti. Scoprendo categorie esplicative e definizioni completamente inedite, in grado di farci capire la storia che viviamo e le novità dietro l’angolo. Il che ci potrà aiutare nelle analisi politiche, una volta che facciamo lo sforzo – imprescindibile – di sovrapporle a quelle sociali e culturali.

In questo senso, rivolgersi agli elettori moderati di centro, specie quando addirittura ci si rivolge anche ai  “cattolici democratici moderati”, è il più grosso errore che una classe politica possa oggi fare. Il moderato, che nessuno sa chi sia e dove si trovi, ce lo troviamo infatti sia a destra che a sinistra, e non solo nel mezzo della vecchia dimensione spaziale orizzontale della politica. Attrarlo oggi in un luogo di centro, anche ricorrendo a spezzatini irrilevanti di offerte con programmi fotocopiati, è operazione inutile, sociologicamente sbagliata, politicamente falsa.

Il fatto è che siamo di fronte ad un elettorato antisistema e arrabbiato che ha trovato il suo sfogo e la sua rappresentanza in un movimento fondato da un comico che si dichiara né di centro, né di sinistra, né di destra.  Almeno nel significato che noi davamo a questa orizzontalità politica spaziale nel secolo passato. Quello del M5s è un elettorato presente tanto al Nord sviluppato quanto al Sud sottosviluppato. Trasversale e simile a quello di altri partiti dal punto di vista socio demografico, e il cui bacino elettorale presenta le seguenti caratteristiche: in maggioranza giovani donne e uomini 30-44 anni (43%), operai (27%), impiegati (20%), casalinghe (13%), disoccupati (13%); diplomati di scuola superiore (42%). E con un 10% di laureati e un 20% che va a Messa tutte le domeniche (sondaggio CISE, su Il Sole 24 ore, dicembre 2014). Si tratta di un profilo che, come dicevo, si può benissimo sovrapporre a quello dei partiti che nelle prossime elezioni si dichiarano di destra e sinistra, centrodestra e centrosinistra, e naturalmente di centro.

C’è da chiedersi perché il M5s – contro il sistema e le istituzioni ma oggi facente parte del sistema e delle istituzioni, a favore della politica o contro la politica, a favore dell’éstablishment o contro l’éstablishment, a favore delle competenze o contro le competenze, della rappresentatività democratica o della delega ad un’oligarchia informatica col voto online, a favore dell’Europa e contro l’Europa, ecc. – cresca sempre di più e non dia cenni di esaurimento. Noi, invocando il centro e partiti e partitini di centro, non diamo nessuna risposta, evitando di riflettere sui motivi di fondo che hanno radicato nella società un Movimento come quello di Grillo.

Torno a chiedermi, in conclusione: ma quando parliamo di centro, di che cosa vogliamo parlare?

 

Nino Labate

 

Questo articolo, qui in parte ridotto e modificato, è uscito sul www.ildomaniditalia.eu

3 Comments

  1. Bravo, molto chiaro e convincente, ma quale può essere l’evoluzione?

  2. Grazie Michele, spero che tu sia Michele Russo.
    In ogni caso mi interessa sapere a quale “evoluzione” ti riferisci :
    a quella del M5s ? a quella del “Centro” politico ?,
    a quella del sistema dei partiti e alla ridefinizione dell’offerta politica ?
    Se mi chiarisci possiamo dialogare meglio .-
    grazie ancora N.

  3. Scusa, mi sono dimenticato di dirti che ho letto il tuo commento con molto ritardo.

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