L’amministrazione condivisa, per rigenerare il Paese

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Un modo diverso (ormai non più nuovo) di intendere la Pubblica amministrazione, lo Stato e la politica. Che provoca singoli e associazioni, preoccupati per una democrazia “in difficoltà”.

di Vittorio Sammarco

L’entusiasmo di chi si mobilita per dare corpo e anima a un’idea, a volte sembra esagerato. Ma è sostanza, energia, vita concreta e afflato ideale. Si parla, ad esempio, degli oltre trecento partecipanti agli Stati generali dell’Amministrazione condivisa, riuniti a Bologna il 15 e 16 marzo scorso. Il sottotitolo è ancora più evocativo: Istanze, esperienze, aspirazioni dell’Amministrazione condivisa come modello per le transizioni giuste. E proprio di un modello hanno voluto discutere amministratrici e amministratori pubblici di diversi paesi e città che da qualche anno hanno intrapreso “percorsi e processi collaborativi”. Di una vera “comunità” parla nel suo editoriale Pasquale Bonasora, presidente dell’associazione Labsus (Labsus.org), «Una comunità,  dove la differenza di ruolo, saperi e competenze non costituisce una barriera, ma una ricchezza. … Un esercizio d’intelligenza collettiva che va oltre la somma della conoscenza e cultura individuale».

Non finisce qui, una testimonia adatta a suscitare (in controtendenza, visti i tempi) uno spirito positivo: «Quattro anni dopo la pubblicazione del mio saggio, con la riforma costituzionale del 2001, fu introdotto in Costituzione il principio di sussidiarietà (art. 118, u.c.)», ha ricordato Gregorio Arena, primo presidente e predecessore di Bonasora, nella fondamentale relazione all’Assemblea.  Nella formulazione citata della Carta, cioè i punti fondamentali, sono questi: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale» (corsivo mio). E poi, Arena, aggiunge con orgoglio: «Guardando a queste vicende in una prospettiva storica mi pare che si possano fare due considerazioni. Innanzitutto, per cambiare il mondo le idee devono essere in sintonia con le grandi correnti sociali e culturali che in quel mondo si muovono. Se arrivano troppo presto o non sono in sintonia rimangono sterili». E qui c’è proprio il riferimento ai tempi: «l’idea di tradurre la teoria dell’amministrazione condivisa in un regolamento comunale-tipo era in piena sintonia con ciò che migliaia di cittadini attivi già facevano in tutta Italia». E poi c’è anche un secondo aspetto, sottolinea il professore di Diritto amministrativo che (sia detto per inciso), negli anni di meritato riposo pensionistico si “spende” sul campo, e riguarda il fatto che «per cambiare il mondo, le idee hanno bisogno che qualcuno le approfondisca, le studi, le promuova, le applichi. Devono essere tradotte da soggetti collettivi in strutture, iniziative, progetti che utilizzano risorse, etc.. » E, in questo caso, «il soggetto collettivo che ha promosso e strutturato tale teoria è stato Labsus, che ha consentito di dare durata e solidità alle iniziative di promozione del nuovo modello di amministrazione». Qui il sorriso si fa ampio e corrisposto da chi ascolta: «Se non avessi creato Labsus 20 anni fa, adesso non potremmo festeggiare i primi 10 anno del Regolamento per l’amministrazione condivisa. Ma lo feci proprio perché ero consapevole che un’idea come quella dell’Amministrazione condivisa non avrebbe potuto affermarsi camminando soltanto sulle mie gambe, ci voleva un’associazione, un gruppo di amici e amiche che portasse avanti l’idea».

Sembra, perciò, che da queste parole, e dal tono, il modello nel Paese abbia preso effettivamente piede e con decisione. Vediamo se è vero e in che misura.

 

Gli effetti di un’amministrazione ripensata

Partiamo innanzitutto da una specie di resoconto che Bonasora fa parlando dei “Dieci anni di lavoro nei territori”. «Sono emersi – riassume – alcuni elementi essenziali che hanno caratterizzato questi dieci anni». Ribadiamo, qui, la necessaria sintesi. «Le prime comunità di pratica che, a partire da Bologna, si sono rapidamente diffuse su tutto il territorio nazionale hanno permesso il raggiungimento di due risultati fondamentali. Innanzitutto la corretta interpretazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, non una modalità di privatizzazione degli spazi e dei servizi pubblici ma la costruzione di un nuovo modello di società caratterizzato dalla presenza di cittadini attivi autonomi, solidali e responsabili capaci di uscire dal ruolo passivo di utenti della pubblica amministrazione ed essere soggetti capaci di prendersi cura di beni comuni come l’aria, l’acqua, i beni culturali, i servizi pubblici locali, la scuola, la salute e tanti altri ancora». E già questo sarebbe un gran bel risultato. Ma c’è di più. Il secondo aspetto fondamentale è «la definizione di un modello, l’Amministrazione condivisa, che oggi ha piena legittimità al pari di quello dell’amministrazione tradizionale. Un modello codificato in particolare nel codice del Terzo settore (https://italianonprofit.it/risorse/definizioni/codice-terzo-settore/), in cui i soggetti della società civile non si considerano concorrenti ma alleati per realizzare insieme alla pubblica amministrazione attività d’interesse generale».

È quindi tutto uno sviluppo in divenire, fatto di Regolamenti e di Patti di collaborazione, cura dei beni comuni, nonché «regole e strumenti che dal livello comunale si sono allargati a unioni di comuni, ambiti territoriali, città metropolitane», e che hanno costituito le basi per leggi regionali e il Codice del Terzo settore per giungere alla sentenza della Corte costituzionale 131 del 26 giugno 2020 che legittima l’Amministrazione condivisa come attività “ordinaria” della Pubblica amministrazione, non legata all’eccezionalità o sperimentalità degli interventi».

 

Ma il cammino da fare ancora è lungo

Tutto bene, dunque? In parte, perché come riconosce il presidente di Labsus, «le criticità non mancano». Si rafforza, infatti, «l’esigenza di una formazione continua per dare sempre maggiore solidità ai processi collaborativi», un processo mentale e culturale, innanzitutto, che deve trasformare «duecento anni di storia in cui la relazione con i privati era vista sostanzialmente come rapporto tra interessi contrapposti e, dal punto di vista dei cittadini attivi, la necessità di coltivare quella dimensione relazionale basata sulla fiducia e condivisione delle responsabilità».

La sfida è già alta e cresce: fare (e farne capire l’importanza) di un’Amministrazione condivisa come «ecosistema basato su una molteplicità di strumenti che non si elidono a vicenda ma possono, invece, essere utilizzati insieme per moltiplicarne l’efficacia: patti di collaborazione, co-programmazione e co-progettazione, utilizzo e valorizzazione dei beni immobili e dei beni culturali, patti educativi di comunità ecc…», e per di più in grado di coinvolgere «una molteplicità di soggetti che va dai singoli cittadini, come indicato dalla Costituzione – è bene non dimenticarlo -, sino alle associazioni, gruppi informali, enti di Terzo settore, mondo dell’impresa sociale e dell’impresa profit».

Considerato tutto ciò, ha ben ragione il presidente di Labsus nel dire che «l’Amministrazione condivisa è cura della democrazia, è capacità di riconoscere identità nuove, mobilitare risorse per la tutela di interessi generali, riconoscersi in principi condivisi e, quindi, negazione della competizione quale misura dei rapporti economici e delle relazioni sociali».

Un disegno di grande respiro, un modo di rianimare la democrazia che non ha bisogno di parole o indicazioni fuori dall’ordinario. Ha già nei fatti, una possibilità, sperimentata, di vincere la sfida.

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  1. grazie condivido tutto ma la criticità più significativa non è solo la mancanza di formazione e quindi l’istruttoria per iniziare una attività competente e di servizio ma la disponibilità a farsi carico per una consapevolezza dei principi di buona amministrazione (art 97 e altri Cost) ma il senso di partecipazione per interpretazione la amministrazione come condivisa. Una domanda che avevo posto tempo fa a Gregorio Arena che mi sosteneva. E La Difesa civica perchè non viene promossa e supportata che è molto connessa alla amministrazione condivisa. Se volete invio un piccolo testo. Mi sono associata a Labsus ma non ho mai ricevuto feedback. Io abito in Provincia di Venezia adesso potrei anche muovermi ma la missione dovrebbe essere glocale interdipendenti e in rete dato che è basata sulla governance ma temo che dia qualche evidenza di organizzazione più di lobby che pezzi di società civile come scenario, ahimè diffuso a riguardo. Spero di sbagliarmi.

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