Viaggio in Venezuela

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Un lungo dossier sul Venezuela di questi ultimi anni, scritto da un osservatore privilegiato, nato in Venezuela da una famiglia italiana emigrata negli anni Cinquanta, poi rientrato in Italia, ma che ha mantenuto contatti per oltre mezzo secolo col paese sudamericano e che, nel novembre scorso, ha vi ha effettuato un ultimo viaggio. Il reportage è uscito in questi giorni su Via Po, il supplemento culturale del settimanale della Cisl “Conquiste del lavoro”

 

Le note che seguono sono il frutto di esperienze vissute direttamente in Venezuela, compreso l’ultimo recente viaggio (novembre scorso). Mio padre e il fratello maggiore erano emigrati agli inizi degli anni cinquanta, seguiti successivamente dal resto della famiglia; quando siamo ritornati in Italia il fratello maggiore, sposato con una colombiana, decise di rimanere e tuttora vive a San Cristóbal, città di frontiera con la Colombia.

Data la drammatica situazione attuale che impedisce la programmazione dei voli interni (nel mio caso tra Caracas e San Cristóbal) abbiamo concordato che il viaggio si svolgesse via Bogotà per poi proseguire in aereo fino a Cucuta e quindi attraversare la frontiera. Un primo impatto, questo della frontiera, davvero drammatico, per capirlo occorre ricostruire le ultime vicende: nell’agosto 2015 la frontiera è stata chiusa, poi riaperta soltanto al passaggio a piedi e non in macchina. I primi giorni della riapertura (luglio 2016) vi furono flussi di massa che dal Venezuela si riversavano in Colombia per fare acquisti di generi alimentari, di medicine  o per emigrare definitivamente; si raggiunse la cifra di centomila persone, un vero e proprio esodo di massa. Attualmente si deve attraversare a piedi il “Ponte internazionale Simón Bolívar” di oltre 300 metri, sul fiume Táchira: la gente trasporta a mano tutto l’occorrente, anch’io ho dovuto incamminarmi con le valigie, sotto il sole cocente, continuamente spinto dal flusso consistente di persone. La frontiera, durante la notte, viene aperta al transito di camion carichi di merce di proprietà di uomini della gerarchia militare o di esponenti amici del partito al potere (Psuv, Partito socialista unito del Venezuela). Circa l’80% dei flussi di traffico passano da questo ponte che – inaugurato nel 1962 dai due Presidenti della Repubblica (Romulo Betancourt per il Venezuela e Alberto Lleras Camargo per la Colombia) –  era considerato un simbolo dell’apertura democratica e della fratellanza tra i due popoli. Esso collega le città colombiane di San José de Cúcuta e Villa del Rosario (Santander del Nord) con le città venezuelane  di San Antonio e San Cristóbal dello Stato Táchira. Allora il Venezuela era il paese più ricco al quale si rivolgevano consistenti flussi di emigranti colombiani; tra il 1980 e il 1999 vi erano emigrati  oltre duecentomila persone. I due paesi fratelli costituivano per Simón Bolívar l’asse portante di una nuova entità sovranazionale, la  “Gran Colombia”, seguita alla liberazione dal dominio spagnolo di sei paesi latinoamericani (gli altri erano Ecuador, Perù, Bolivia e Panamà). Un sogno subito infranto e oggi trasformato nel suo contrario, l’incubo del caos dei transiti quotidiani, perché a Cucuta è possibile comprare qualsiasi cosa e il suo grande e moderno centro commerciale è simile a quello delle nostre città europee.

Non dobbiamo mai dimenticare che il Venezuela è un grande e ricco paese: 912.050 km quadrati di superficie e circa 32 milioni di abitanti (34 ab. per Kmq), dei quali l’85 % vive nelle zone costiere. Il tasso di natalità è di 19 per 1000 (in Italia il  7,8), il tasso di mortalità il  5,3 per mille (in Italia il 10,7). Il tasso di fecondità 2,3 figli per donna (in Italia 1,3). Ci sono 40,4 persone maggiori di 60 anni per ogni 100 abitanti minori di 15 anni.  Le riserve petrolifere ammontano a 300 mila milioni di barili, pari al 20% delle riserve mondiali. Anche le riserve del gas sono ingenti. Abbondano i terreni fertili per l’agricoltura e per la pastorizia e paesaggi incantevoli per l’attrazione turistica. Eppure oggi soffre la fame e i suoi abitanti più attivi sono costretti, per la prima volta nella storia del paese, ad emigrare. Difficile calcolarne il numero (le cifre oscillano dai 2 ai 4 milioni negli ultimi anni, di cui circa un milione in Colombia, e oltre 500 mila in Perù).  In Venezuela prospera la criminalità: nel 2017 oltre 26 mila persone uccise da delitti comuni. I comportamenti delinquenziali si esportano anche in altri paesi dell’America latina. Secondo l’Osservatorio della polizia colombiana, nei mesi tra gennaio e agosto dello scorso anno, i venezuelani coinvolti in attività di rapina ai negozi e alle persone sono stati 4.669, di cui la stragrande maggioranza giovani dai 18 ai 35 anni. Mons Jaime Villaroel, Vescovo di Carupano, in una conferenza stampa tenuta in Messico, ha dichiarato che il paese “è un campo di concentramento dove si stanno sterminando gli stessi venezuelani”.

Cerchiamo di capire, innanzitutto, le trasformazioni dell’assetto politico e  le successive degenerazioni, che hanno avuto come protagonisti principali il leader massimo Hugo Rafael Chavez Frias (1954-2013) e il successore, da lui designato, Nicolas Maduro del partito Psuv.

Anche per il Venezuela l’Ottantanove rappresenta un punto di svolta. Governava, al suo secondo mandato, il socialdemocratico (Acción democratica) Carlo Andrés Pérez (1989-1993) che, per far fronte a una fase di crisi economica, adotta un programma di misure economiche (liberalizzazione dei prezzi, aumento delle tariffe pubbliche e della benzina, impegno a non superare un deficit del 4%), sotto la supervisione del FMI, finalizzate a ottenere un prestito di 4500 milioni di dollari in tre anni. Misure che provocano la reazione della popolazione culminante nel “Caracazo”, una serie di manifestazioni (dal 27 febbraio all’8 marzo) – svoltesi in diverse città, ma con epicentro a Caracas – che furono represse nel sangue (276 morti). Nel 1992 fallisce il tentativo di golpe capeggiato dal tenente colonnello Hugo Chávez, che sarà incarcerato per due anni, mentre Andrés Pérez sarà accusato di corruzione e costretto alle dimissioni. Le successive elezioni sono vinte dall’anziano leader Rafael Caldera che, a 77 anni, uscito dal partito social cristiano (Dc) da lui stesso  fondato, crea un nuovo movimento chiamato “Convergencia”, appoggiato da una coalizione eterogenea la cui base era costituita dall’alleanza con il MAS (Movimiento al Socialismo di Teodoro Petkoff e Pompeyo Marquez, ex comunisti ed ex guerriglieri). Il popolo, diceva Caldera, non difenderà la democrazia se questa non riuscirà a dare da mangiare. Caldera eredita un paese in grave crisi e nel 1994 libera dal carcere Chávez che cominciava a rappresentare diffusi sentimenti popolari contro il vecchio sistema politico bipolare (alternanza tra Copei/Dc e Ad/socialdemocratici) in vigore dal 1958 dopo la dittatura di Pérez Jiménez.

Chávez fonda un proprio partito, il “Movimiento V Republica”, si presenta nella coalizione di sinistra “Polo patriotico” (con il Mas e il Partito comunista) e trionfa alle elezioni del 1998 col 56% dei voti, sconfiggendo l’altro raggruppamento capeggiato da Henrique Salas Romer (Proyecto Venezuela), sostenuto anche da ciò che rimaneva del partito Copei (2%) e di Ad (9%). Queste elezioni costituiscono il vero punto di svolta della dinamica politica venezuelana: il populismo, nella veste latinoamericana della tradizione del “caudillo”, trova la sua massima espressione di estrema sinistra ideologica nella figura di Chavez che subito dopo fa approvare una nuova Costituzione. Per il caudillo la legittimità viene dal mito che si costruisce intorno alla sua figura messianica. Il culto della personalità arriva a forme ridicole come quella che ho visto alla frontiera: “Qui è proibito parlare male di Chavez !” Oppure, ancora più grave, l’introduzione (un lungo giuramento ideologico) a un semplice documento di trasporto merce: “un saludo Bolivariano, Patriotico, Revolucionario, Antimperialista y Chavista”.  E alla fine dello stesso: “Chavez Vive. La Patria sigue. Independencia y Patria socialista. Viviremos y Venceremos. El Comando Estrategico Operacional es soberania e Independencia a traves de la Defenza integral de la Nación”.

La costruzione del mito si rafforza con l’adesione plebiscitaria durante le elezioni e l’uso massiccio dei media, soprattutto la televisione che penetra nei più sperduti angoli del paese e nelle zone marginali (“ranchitos”). Chavez si presenta come un leader forte e determinato e in un solo anno, 1999, in tre successive elezioni, decide le sorti del futuro: 25 aprile il referendum per una nuova Assemblea nazionale costituente viene approvato dall’88% dei votanti; il 25 luglio, alle elezioni dei membri dell’Assemblea, Chavez ottiene il 65,8% dei consensi che, grazie al nuovo sistema elettorale, raggiunge il 95% dei seggi lasciandone all’opposizione soltanto sei. L’Assemblea redige la nuova Costituzione che, al referendum del dicembre, viene approvata  dall’80% dei venezuelani: sistema unicamerale, periodo del mandato di sei anni e limite di due mandati. Nasce la “Republica Bolivariana de Venezuela”. La gente si sente protagonista. Tutte le elezioni sono vinte da Chavez, che nel 2012 ottiene il terzo mandato.

Chavez muore l’anno dopo e prende il potere  l’attuale presidente Nicolas Maduro. Alle elezioni parlamentari del 6 dicembre 2015 per il rinnovo dell’Assemblea (periodo 2016-2021), per la prima volta dopo 17 anni di potere, il chavismo viene sconfitto: l’opposizione ottiene il 56,2% dei voti e conquista 112 seggi su 167. A fronte di questa sconfitta e della perdita di consensi nel paese, Maduro contrappone l’elezione, nel luglio 2017, di una nuova Assemblea Costituente disconoscendo nei fatti quella eletta in precedenza. L’opposizione non accetta e diserta le urne. Questa nuova assemblea ha un proprio canale televisivo che diffonde quotidianamente programmi di propaganda ideologica del regime. Da questo momento inizia la crisi irreversibile di Maduro, che non viene più riconosciuto come legittimo Presidente né dall’OEA (Organizzazione degli Stati americani) né dall’UE, né da molte altre istituzioni internazionali. La CEV (Conferenza episcopale venezuelana) si schiera apertamente contro quest’ultima farsa elettorale.

Intanto la situazione economica e sociale si fa insostenibile. La politica monetaria vige nel caos assoluto, con un continuo cambio della moneta: dal Bolivar si passa al “Bolivar fuerte”, talmente forte che per l’acquisto di un caffe occorrevano 9 milioni di bolivares, impossibile da contenere in uno zaino. Nell’agosto scorso si  passa al “Bolivar Soberano” (BS) che toglie cinque zeri creando ulteriore confusione; per pagare la merce si deve calcolare il prezzo senza i cinque zeri precedenti. Il cambio ufficiale non corrisponde alla realtà. Il 21 agosto, giorno dell’entrata in vigore del “BS”, il cambio col dollaro viene fissato in 60 BS, mentre nel mercato parallelo, quello realmente utilizzato negli acquisti, il valore è di 263 BS (più di 4 volte quello ufficiale); nel gennaio di quest’anno ha raggiunto 1.572. Si calcola che ogni mese l’inflazione raggiunga il 250%, quindi fra qualche mese il governo dovrà togliere ancora altri zeri. C’è poi la farsa del “sueldo minimo” e dei prezzi controllati, che vengono periodicamente pubblicati dalla Gazzetta ufficiale. Il salario minimo prima della nuova moneta era di 2,5 milioni mensili, ma un kg di formaggio costava 2,80 milioni! Il sueldo minimo a novembre era 1.800  BS (che è anche il valore della pensione media) che corrisponde a 7,2 dollari al mese. Oggi è stato aumentato a 18.000 Bolivares Soberano (11 dollari al mese).

Per avere un’idea più precisa dell’allarmante situazione dei prezzi che sconvolge la vita quotidiana delle persone teniamo presente i seguenti dati rilevati durante la mia permanenza in Venezuela (novembre 2018): un  pollo (molto diffuso nel paese) di un Kg costa 600 BS (2,4 dollari), un chilo di carne dai 500 ai 900 BS (in media 3 dollari), una cassetta di 30 uova 900 BS (3,6 dollari), un litro di latte a lunga conservazione 200 BS, un litro di olio 500 BS. Una famiglia, col salario minimo di 11 dollari, semplicemente non può vivere. Il salario minimo in Bolivia è di 305 dollari, in Colombia di 279, in Argentina di 465 dollari. Anche i ceti professionali, come gli insegnanti o i medici, se non hanno relazioni di scambio con amici e parenti, con i loro stipendi non ce la fanno e sono costretti ad emigrare. Si calcala che siano emigrati 20 mila medici. Gli ospedali non hanno né medici né la strumentazione necessaria per intervenire. Nei servizi igienici dei ristoranti, come mi racconta un gestore italiano, manca la carta igienica perché viene regolarmente rubata dai clienti. La pensione di un medico venezuelano che vive a Cucuta è di circa 1.500 dollari al mese, quella del suo collega che vive nella vicina San Cristobal è di 28 dollari. Un docente universitario guadagna 14 dollari al mese. Un medico 7 dollari. Un ufficiale dell’esercito 80 dollari. La Federazione dei medici, per impedire la fuga, rivendicava uno stipendio mensile pari a 72 dollari. In un primo tempo la presenza dei medici cubani nelle periferie aveva riscosso un certo successo, ma poi molti di loro hanno abbandonato il paese per emigrare nei diversi paesi dell’America latina.

In vent’anni di governo “chavista” non si sono realizzate opere pubbliche di rilievo e le strade sono dissestate a causa della mancanza di manutenzione. I beni venduti con prezzi controllati nei negozi non coprono neanche lontanamente i costi di produzione: un 1 Kg di carne 90 BS (0,36 centesimi di dollaro), 1 litro di latte 48,50 (0,194 centesimi), 1 Kg di pollo 78 BS (0,31 centesimi di dollaro). Nessun imprenditore è disponibile a produrre in queste condizioni, ciò provoca la carenza di prodotti e quando ne arriva qualcuno si formano lunghe e interminabili code. Gruppi di persone si alternano nelle code e nasce un commercio sotterraneo; i beni acquistati in questi negozi sono poi venduti a prezzi più alti in giro nella città. Ho assistito  direttamente a questi scambi. Al mercato, oltre alle bancarelle legali, proliferano quelle illegali, che possono lavorare grazie al pagamento di mance alle guardie della polizia che dovrebbero intervenire per fare rispettare i prezzi. In definitiva, il salario minimo è correlato ai prezzi dei beni regolati che però non si trovano nei negozi. I pensionati fanno la coda per riscuotere la pensione e quando arrivano allo sportello si sentono rispondere che non ci sono più soldi. Alcuni beni come l’acqua, il gas, la benzina, la luce, hanno tariffe bassissime e tutte queste imprese pubbliche lavorano in perdita provocando continue interruzioni nei servizi. La luce e l’acqua vanno e vengono, le strade di sera sono senza luce, sono continue le proteste di donne col blocco della città per la richiesta delle bombole a gas (il gas di città non esiste), cumuli di spazzatura sono gettati ovunque per strada, la raccolta differenziata è inesistente.

La questione energetica è l’altro punto dolente: un paese produttore di petrolio che non riesce a fornire la benzina e il gas ai suoi cittadini. Ho visto lunghissime code di auto, compresi i taxisti che devono perdere giornate di lavoro per rifornirsi di benzina, qualcuno addirittura lascia la macchina di notte davanti al distributore per ottenere i primi posti l’indomani mattina. Qui nascono altri lavoretti per giovani che si propongono di fare la coda per poi avvisare il proprietario quando arriva il loro turno. La produzione giornaliera di petrolio crudo è passata dagli oltre 3 milioni di barili nei primi anni del duemila a 1,17 milioni delle ultime settimane. Da notare che 400 mila barili vanno al consumo interno, altri vengono inviati alla Russia e alla Cina per pagare i debiti, altri ancora a Cuba per accordi politici pregressi. La quantità di produzione in grado di produrre cassa è quasi inesistente. La rendita petrolifera non è più in grado di attivare un flusso di cassa. Nonostante tutte le dichiarazioni contro l’imperialismo americano, le uniche vendite pagate cash sono quelle rivolte alle raffinerie americane, ma anche qui ormai l’esportazione di petrolio colombiano negli Stati Uniti ha superato quello venezuelano. Negli ultimi anni alcuni dei più importanti dirigenti di Pdvsa (ente di stato petrolifero), nominati dallo stesso governo, sono finiti in carcere con l’accusa di corruzione. Nel 2002 in seguito ad uno sciopero dei lavoratori di Pdvsa furono licenziati migliaia di operai. Dal novembre 2017 si è avuta un’ulteriore militarizzazione: il Presidente dell’ente petrolifero è un generale dell’Esercito, nominato anche Ministro del “Poder popular de petroleo”, Manuel Quevedo, che si è particolarmente distinto per la repressione delle manifestazioni antigovernative. Nel settore industriale su 12 mila imprese manifatturiere esistenti nel passato ne rimangono soltanto 3 mila.

Il regime si è impossessato di tutte le istituzioni (dalle Forze armate alla magistratura e ai tribunali); è scomparsa la divisione classica dei poteri. Rimane libera soltanto l’istituzione Chiesa cattolica. In un documento ufficiale, emesso nel luglio del 2018, la CEV (Conferenza Episcopale) esprime una netta posizione: incostituzionalità dell’Assemblea nazionale costituente e della rielezione del Presidente Maduro, libere elezioni, rispetto dei diritti umani, scarcerazione dei prigionieri politici. Arriviamo così alle ultime settimane quando il nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale (quella eletta nel dicembre 2015 e valida fino al 2021), il giovane esponente del partito Voluntad Popular, Juan Guaidò, sfidando apertamente Maduro, si proclama anche Presidente provvisorio del Venezuela, in attesa di nuove libere elezioni. Un segnale  che ha risvegliato l’opposizione; in tutto il paese si sono svolte assemblee dei cittadini e “cabildos abiertos” (consigli comunali aperti) culminanti nelle grandi manifestazioni popolari del 23 gennaio: un giorno storico (come lo fu quello del 1958 contro la dittatura di Marco Peréz Jiménez), che può determinare il futuro del Venezuela.

 

Salvatore Vento

 

 

2 Comments

  1. La ricostruzione storico politica è interessante, ciò che non capisco, di conseguenza, mi viene da fare una battuta -rispettosa- a partire dal cognome dell’autore, in merito a come e chi ha creato Guaidò. Proprio una ricostruzione al Vento. Manca tutto ciò che si è mosso intorno e che ha creato Guaidò.

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