Sulla parità di genere e sull’Europa. Due note di Giancarla Codrignani

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Pubblichiamo qui, per renderli maggiormente visibili due commenti che Giancarla Codrignani ha rivolto il 14 marzo a due articoli comparsi su questo sito. Il primo commento riguarda l’articolo di Albertina Soliani, parlamentare del Pd, dello scorso 18 febbraio sulla violenza alle donne. La Codrignani scrive il suo commento all’indomani del voto con cui la Camera, il 10 marzo, ha respinto due emendamenti alla legge elettorale, entrambi sulla parità di genere, a firma di Roberta Agostini: uno prevedeva l’alternanza di genere nella composizione delle liste ed è stato respinto con 335 voti contrari e 227 favorevoli; l’altro prevedeva l’alternanza dei capilista ed è stato respinto con 344 voti contrari e 214 a favore. Rispetto al primo i no sono stati 9 in più. Il secondo commento della Codrignani riguarda un articolo di Raniero La Valle sulle elezioni europee, da noi segnalato lo scorso 12 marzo; e ribatte ai “sette punti per l’Europa” lanciati da Beppe Grillo e dal Movimento 5 Stelle.

 

IL NODO DEI PARI DIRITTI

Cara Albertina, possiamo essere desolate, ma i presupposti dei femminicidi sono complessi. Pur essendone consapevoli, crediamo ancora che il fidanzato che ci ha dato uno schiaffo sarà un buon marito.

Lo scarto da 335 “no” a 344 (e da 227 “sì” a 214) nel respingere due emendamenti a beneficio del genere segnala che gli uomini non hanno paura della nostra emancipazione ma dell’attentato al loro potere, che incomincia nella coppia e finisce nel diritto. Purtroppo anche molte giuriste (tutte studiamo sugli stessi libri e applichiamo le stesse leggi) sono d’accordo con la condanna delle “quote rosa”, termine orrendo, non inventato da noi. Prima o poi dovremo fare i conti con l’interpretazione della Costituzione e rivendicare che il “sesso” dell’art. 3 deve essere giuridicamente inteso come “genere” (e i generi sono fondanti di tutte le differenze sociali, non possono esserlo delle discriminazioni attualmente riconosciute in diritto). Bisognerà affrontare una contraddizione consapevolmente voluta da parlamentari donne e uomini di tutte le parti nel riformare l’art.51, il 7 marzo 2002, quando un voto plebiscitario convalidò l’omaggio alle donne del governo Berlusconi autore della riforma: “la Repubblica favorisce le pari opportunità” per l’accesso alle cariche elettive. Eh no, mie care: la Repubblica non doveva favorire ma “garantire”, non le pari opportunità, ma i “pari diritti”. Perché, tra l’altro, siamo il 52 % dell’elettorato e la maternità (o la non-maternità) non è ancora un diritto e, anche se la legge ci eroga benefici, siamo percepite come cattivi lavoratori se restiamo incinte. Disgraziatamente gran parte del mondo femminile si riconosce negli stereotipi familisti e mediatici, ignara di essere un “genere” e non una variante biologica.
L’ emendamento respinto con lo scarto aumentato (poi nuovamente abbassato per il terzo emendamento che si accontentava del 60 %) era relativo alle quote per i capilista. Era “il” punto nodale. Infatti il 50/50 di governo non sposta quasi nulla: se una di noi va a Bruxelles a discutere la situazione ucraina, importa poco che sia un ministro o una ministra. Ma è dal basso che si può eliminare il pregiudizio che le donne non votano le donne e incominciare la risalita. E non partendo dalle preferenze (che possono diventare clientelari, mentre poche donne hanno i mezzi e perfino la voglia delle pratiche mercantili), ma su chi è in testa alle liste. Sarebbero accontentati anche i meritocratici: le donne sono più affidabili per capacità e dedizione. Finora, tuttavia, le grandi città, le regioni, le segreterie di partito sono o maschili o affidate a donne scelte perché stanno dentro il modello neutro.
Quindi brutta giornata quella di ieri. Ma illuminante. Speriamo che il femminicidio cessi, almeno quello istituzionale; per rispetto dello spirito di una Costituzione che deve viaggiare nel tempo accrescendo la democrazia.

SETTE RISPOSTE AI SETTE PUNTI PER L’EUROPA DI BEPPE GRILLO

Mi permetto di fare mie alcune considerazioni a margine di un articolo di Lucia Serena Rossi, docente di Diritto europeo all’Università di Bologna. E’ urgente intervenire sui pericoli che rendono vulnerabili i cittadini meno informati sull’importanza dell’euro. “Rinviare la campagna sulle europee significa lasciare praterie aperte in cui nel frattempo può attecchire l’euroscetticismo rozzo e spicciolo di Grillo e della Lega o quello più ipocrita di Forza Italia”. Infatti circolano sulla rete i “sette punti per l’Europa” che Beppe Grillo doveva meglio definire “contro” l’Europa. La Rossi risponde così punto per punto:

1) La nostra costituzione vieta il referendum per la permanenza nell’euro perché è materia di accordi internazionali.
2) Se volessimo abolire il Fiscal Compact, saremmo condannati dalla Corte di Giustizia e dai mercati. Il che non impedisce di rinegoziarne il contenuto.
3) Già Prodi (e perfino Tremonti) hanno proposto gli Eurobond: si tratta di una scelta opportuna che non può essere unilaterale, ma d’intesa con gli altri Stati.
4) L’alleanza tra i Paesi mediterranei per creare un Euro 2 è un’ipotesi non solo impensabile allo stato delle cose, ma senza futuro. Tra l’altro – e questo fa pensare alla credibilità dell’euro, nell’Unione Africana circola l’idea di una moneta unica del continente, l’Afro.
5) Gli investimenti per innovazione e per attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio sono stati proposti dal governo Monti: per ottenerli è necessario l’accordo con gli altri Governi.
6) Quanto ai finanziamenti per attività agricole finalizzate ai consumi nazionali “interni” sono contrari ai trattati che abbiamo sottoscritto (e le sanzioni sono pesantissime se qualche paese le facesse. Per gli “europei” Grillo non sa che sono appena stati regolati per i prossimi sette anni.
7) L’abolizione del pareggio di bilancio comporterebbe l’uscita dal fiscal compact e, anche escludendo le obiezioni di merito già dette, richiederebbe una legge costituzionale italiana.

Giancarla Codrignani

 

 

 

 

 

 

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