Sconsiglierei gli aut aut sulla Costituzione

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Non ho votato Renzi alle primarie, ma neppure i suoi antagonisti. Ho nei suoi confronti un atteggiamento, come usa dire, laico. Di più: dopo la sua netta vittoria alle primarie e nonostante l’oggettiva forzatura con la quale egli è asceso a palazzo Chigi, ho espresso in più circostanze l’opinione che lo si dovesse sostenere con lealtà e convinzione. Che, per esempio, non si dovesse riaprire surrettiziamente il congresso PD, come da qualche parte si è provato a fare. Non tutte le molte, troppe proposte avanzate da Renzi mi hanno convinto. Soprattutto mi preoccupa lo smisurato carico di aspettative che egli va alimentando e il metodo sbrigativo – prendere o lasciare – da lui adottato su questioni straordinariamente complesse e controverse.

E tuttavia non mi sfuggono tre decisive circostanze che suggeriscono di sostenerlo: il modo più efficace per contrastare il dilagante mix di qualunquismo e populismo è smentire in concreto l’opinione secondo la quale la politica è sterile e parassitaria; il consenso di cui egli gode può propiziare riforme da lungo tempo attese e che rappresentano la condizione e il presupposto per venire a capo di una crisi che è, insieme, economica, sociale e democratica; la convinzione che sia nostro dovere dare credito a una nuova generazione, della cui domanda di protagonismo Renzi si fa interprete.

È questa la disposizione di spirito che mi anima. Ed essa fa premio sulle pur buone ragioni che suggerirebbero un certo scetticismo o comunque la diffidenza verso un eccesso di semplificazione e di impazienza, verso il mito del fare e del fare presto più che bene. Da mesi mi affanno a suggerire ad amici e colleghi sconcertati e critici verso gli azzardi di Renzi che essi devono vincere i loro pregiudizi e persino i loro argomentati giudizi. Che si debba dare modo a questa nuova classe politica di mettersi alla prova, che si debba concederle fiducia anche se non sempre a noi, più avanti negli anni, riesce di comprendere metodi e stile un po’ troppo baldanzosi. Lo suggerisco ad altri, ma anche a me stesso.

Non sarei onesto tuttavia se tacessi che talune ultime mosse del giovane premier mi mettono in grave difficoltà. Alludo alle riforme costituzionali. Prescindo dal merito, mi limito al metodo, che tuttavia è decisivo in tema di Costituzione. Esemplifico: come si può chiedere un sì cumulativo alla riscrittura della seconda parte della Costituzione a modo di soluzione pacchetto? che si avalli la forzatura di un testo governativo su materia eminentemente parlamentare? che si condensi in una sola legge costituzionale titoli diversi a valle dei quali si prospetta un solo referendum confermativo dal sapore plebiscitario anziché pronunciamenti distinti per materie? come si possono liquidare con fastidio gli argomenti di una parte qualificata della nostra cultura costituzionalistica? che senso ha applicare la coppia conservatori-innovatori alla materia costituzionale, considerato che la durata nel tempo delle Costituzioni è spesso indizio della loro bontà (gli Usa insegnano)? come si può tacere a fronte di riforme di sistema di rango costituzionale (bicameralismo, titolo V, province) concepite e proposte sotto la voce pur popolarissima della riduzione dei costi e delle indennità?

Su altri fronti, compreso quello delicato e controverso delle riforme economico-sociali e della legislazione sul lavoro, può darsi che si debba concedere di più alla democrazia deliberativa, che si debbano sperimentare ricette audacemente liberiste.  Ma personalmente faccio più fatica ad accedere all’idea che, per cambiare la Costituzione, la drastica semplificazione sia un valore, la competenza degli studiosi un impiccio, il confronto parlamentare un optional, la democrazia decidente un totem cui sacrificare gli equilibri di cui è intessuto il costituzionalismo democratico contemporaneo.

Renzi non fa che ripetere che egli si gioca tutto, in nome del principio di responsabilità. Ma quella costituzionale non è materia di governo. Su di essa il mantra con il quale il premier annuncia solennemente che se non passasse esattamente la sua riforma costituzionale egli lascerebbe la politica non è una virtuosa prova di coraggio e di etica della responsabilità, ma un aut aut che inibisce una libera discussione.

Franco Monaco

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  1. Qui Monaco mette nero su bianco, con grande chiarezza, i chiaroscuri che circondano l’era-Renzi. Aperture di credito sì, speranze molte, altrettanti dubbi, sul metodo e, a mio avviso, anche nel merito.
    Soprattutto non si può insistere col dire, come fa il premier: “Io mi gioco tutto, ci metto la faccia, o le riforme o me ne vado”. Perché in caso di fallimento ci vanno di mezzo gli italiani, non Renzi.
    Dunque c’è da augurarsi che Renzi riesca, Pd e alleati permettendo.
    Diversamente… occorrerà trovare un nuovo premier. Infatti quello che meno mi convince in questa fase è l’accostamento fra Renzi e l’ultima spiaggia: o lui o nessuno per cambiare l’Italia. Il messianismo in politica va evitato, e affossato un presidente del Consiglio ne arriverà – fortunatamente – un altro. L’Italia non ha chiuso bottega dopo Berlusconi, dopo Prodi, dopo Monti, dopo Letta. S’è sviluppato l’anticorpo del cambio al vertice. E’ un grave limite del nostro Paese, ma è anche una modalità, tutta italiana, di sotterrare premier e di ripartire.

  2. Concordo largamente con le considerazioni svolte.
    Rilevo tuttavia che l’ “espandersi” di Matteo Renzi è diretta conseguenza dell’incapacità del PD ( più volte dimostrata ) di esprimere una linea politica chiara e ferma .
    Le argomentazioni sulla “superficialità” e pericolosità di una riforma istituzionale per molti aspetti incongrua e sostenuta da una necessità di ridurre i costi della politica sono sacrosante.
    Purtroppo anni di disinformazione politica hanno impedito il formarsi di una opinione pubblica matura ed informata che adesso attribuisce al contenimento dei costi della politica un’importanza sproporzionata rispetto ai veri problemi del paese . Per cui teniamoci Renzi ( che cavalca più o meno consapevolmente questa situazione ) sperando che non commetta errori troppo grossolani .

  3. 1. “un sì cumulativo alla riscrittura della seconda parte della Costituzione a modo di soluzione pacchetto?” veramente mi pare che il governo ad esempio sul “monocameralismo” abbia indicato 4 punti essenziali, e sia aperto al dibattito in parlamento su tutto il resto.
    2. “che si avalli la forzatura di un testo governativo su materia eminentemente parlamentare?” Scusi Monaco, ma questa obiezione è addirittura comica. Cosa ha fatto in questi decenni il parlamento? E magari rileggendo la proposta Rodotà dell’85 si potrebbe constatare che le attuali proposte del governo nascono peraltro da un lavoro parlamentare che purtroppo non ha mai quagliato. Le sembra un buon motivo per non farlo ora, a prescindere da chi – governo o parlamento – piglia l’iniziativa?
    3. “a valle dei quali si prospetta un solo referendum confermativo dal sapore plebiscitario” Ma se la Costituzione lo chiama referendum perché parlare di plebiscito? E ha presente il fatto che una riforma organica approvata senza un braccio o una gamba rischierebbe di dar luogo a incongruenze?
    4. “sotto la voce pur popolarissima della riduzione dei costi e delle indennità?” Questa è semplicemente una falsità. Moltissime volte il capo del governo ha sottolineato l’importanza di un iter legislativo più rapido come conditio sine qua non per l’uscita del paese dall’attuale crisi economica. Riforme istituzionali e superamento della crisi sono legate. Per la cronaca lo ha detto anche il viceministro dell’economia Morando parlando lunedì scorso a Palazzo Marino a Milano.
    5. “la competenza degli studiosi un impiccio” Guardi, sulla competenza (purtroppo accecata da un ideologismo straripante) ad esempio degli studiosi che hanno sottoscritto l’appello di Libertà e Giustizia la rinvio, tra i tanti, all’articolo di Ainis sul Corriere del 31.3 e all’articolo di Calise sul Mattino, stessa data.
    5. E infine mi consenta un’ultima domanda: perché lei, che ha certamente in mano gli strumenti per una valutazione completa dei fatti, vuol contribuire – con un articolo pieno di inesattezze – alla “disinformazione politica” di cui parla il lettore Vilardi? Temo che la risposta abbia a che fare con un certo retroterra che accomuna parecchi degli amici di C3DEM, a partire ad esempio da un certo tipo di fedeltà a Dossetti (ma sono passati decenni!), criticata se non ricordo male in un libro di Ceccanti. E questo retroterra ha prodotto temo anche la sciagurata adesione di Raniero La Valle all’appello di Libertà e Giustizia, in compagnia di Grillo e Casaleggio.

  4. Ringrazio Dario Eugenio Maggi per la sua puntuale ancorché critica attenzione. Provo a rispondere ripercorrendo i suoi sei rilievi.
    1. Quando scrivo della forzatura della pretesa di un “sì cumulativo” alludo a un disegno di legge del governo che comporta la riscrittura di quasi tutta la seconda parte della Costituzione. Con il che si va ben oltre il concetto di revisione puntuale e per titoli distinti contemplato dall’art. 138 per spingersi nella direzione di una impresa in senso proprio costituente la quale presupporrebbe altri strumenti e procedure. Del tipo di una assemblea costituente eletta su base proporzionale.
    2. L’inerzia o l’inconcludenza del parlamento non è ragione sufficiente per autorizzare il governo a sostituirsi ad esso in una materia – la revisione costituzionale, specie quando di così grande portata – che è in assoluto la più propria delle assemblee elettive. La revisione va fatta, ma perchè non affidarne l’iniziativa ai gruppi parlamentari? Alle Camere giacciono molte proposte e comunque i partiti che sostengono il governo o la maggioranza parlamentare più larga disponibile alle riforme avrebbero potuto benissimo presentarne di nuove.
    3. Forse non mi sono spiegato bene, ma è opinione largamente prevalente tra i costituzionalisti. Meglio sarebbe che almeno si distinguessero due titoli: revisione del bicameralismo e revisione del rapporto tra Stato e autonomie territoriali. Con due distinti disegni di legge. In modo che, a valle, in caso di referendum, i cittadini possano pronunciarsi distintamente sul merito delle due riforme. Appunto il pronunciamento cumulativo – ammoniva anche il vecchio Dossetti – conferirebbe un carattere plebiscitario al referendum. Mi spiego: sui quesiti di merito farebbe premio il quesito implicito, del tipo: acconsenti al pacchetto che il governo ti propone o sei per non cambiare nulla? Del resto, il governo si era posto il problema e, in un primo tempo, aveva considerato la soluzione di distinti disegni di legge.
    4. Anche qui evidentemente c’è un fraintendimento. Non mi sfugge affatto il nesso tra un buon sistema politico-istituzionale e il dinamismo dell’economia. Io alludevo a tutt’altro e cioè al mantra quasi ossessivo con il quale si inscrivono sotto la voce “riduzione dei costi” e cancellazione delle indennità riforme di sistema di rango costituzionale che devono essere motivate e varate sulla base (anche e soprattutto) di ben altri (e meno demagogici) argomenti. La stessa, cosiddetta cancellazione delle Province a Costituzione vigente è stata sospinta così, ma è una sorta di acrobazia istituzionale.
    5. So bene che, come è giusto, tra gli studiosi si registrano opinioni discordanti. Solo non apprezzo formule comunicative che liquidano sbrigativamente il contributo critico di alcuni di loro, spesso assai autorevoli, con battute che derubricano (esorcizzano?) rilievi di merito a fisime dei “professoroni”. Mi ricordano antichi e sprezzanti giudizi verso il “culturame”.
    6. La legittima diversità di opinione tra noi non autorizza alle scomuniche (dove starebbe la disinformazione che mi si attribuisce non mi è chiaro). Ceccanti è un fraterno amico con il quale mi confronto da anni. Su questo punto, spesso siamo in dissenso. Ma ciò non intacca stima ed amicizia. C3dem risponder per sè. Per quel che mi riguarda, Dossetti resta un riferimento. Certo situato entro un’epoca storica tramontata. Il che non autorizza a dipingerlo, come si fa da più parti, quale non fu. Un po’ per pregiudizio, molto per ignoranza. A dispetto di una mediocre leggenda, anche l’ultimo Dossetti non fu affatto un ottuso conservatore, un nostalgico ignaro della necessità di riformare lo Stato. Certo, si applicava al cosa e al come. Una colpa imperdonabile per lo spirito del tempo….

    Franco Monaco

  5. Mi limito a segnalare una questione, evitando teorie generali e attenendosi a come il testo è oggi. Il ddl del Governo mette insieme riforma del Titolo V e del Bicameralismo perché la prima alla fine è risolta nella seconda. In altri termini i confini tra Regioni e Stato sulla competenza legislativa vengono resi mobili con due clausole una di supremazia e l’altra di sperimentazione che consentono, quando serve, di spostare i paletti o verso lo Stato o verso le Regioni. Tutto ciò non si trasforma in un centralismo di ritorno se le Regioni sono presenti nel Senato. Per chi condivide nel merito questa logica, allora, non ha senso dividere in due i disegni di legge.

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