Reddito di cittadinanza e salario minimo. Le pretese di Conte e la realtà come la vedo io

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L’autore, un ingegnere, presidente del Gruppo Imprese artigiane di Parma, già obiettore di coscienza in servizio civile presso la Caritas nei lontani anni ’80 e tutt’oggi socio di Libera, interviene su due temi sociali molto dibattuti e oggi presenti, con più di qualche forzatura, nell’agenda sociale del leader 5 Stelle Giuseppe Conte (“bolivariano”, lo definisce l’autore, più che laburista). Sono temi su cui discutere con franchezza, a partire dai dati della realtà

 

 

La crisi di governo è grave ma non è seria, titola El Pais parlando di noi, ma alcuni temi sollevati da Conte per riportare le lancette all’indietro sono influenti sul medio/lungo periodo e non vanno perciò trascurati. Ne cito solo due per brevità, esponendo il mio punto di vista di imprenditore, e rappresentante di un’associazione locale di più di 1000 imprenditori.

In primo luogo la vexata quaestio del reddito di cittadinanza. Questo strumento è diventato (per noi, si intende) un simbolo dell’assistenzialismo portato avanti dal Movimento 5 stelle, mentre per loro è un elemento identitario. In termini concreti è anche, o è stato, importante per la constituency elettorale del suddetto movimento, nel Sud e in alcune periferie urbane, e c’è in loro la fievole speranza che da lì arrivi qualche voto alle prossime elezioni.

Nella realtà oggettiva, si è dimostrata una politica di integrazione al reddito di ceti privi di prospettive lavorative realistiche nell’attuale contesto, ed è ammesso anche da molti sostenitori, ai quali andrebbe domandato perché non si sono limitati a finanziare di più e meglio gli strumenti che già c’erano, ma non avevano l’etichetta giusta. Ne beneficiano in parte disoccupati di lungo periodo che presentano profili di vario genere che li rendono inadatti al lavoro, e in Emilia Romagna sono la maggioranza, fonte l’Agenzia del lavoro. In parte non minore si tratta di persone che, di fatto, già lavorano, ma nelle filiere del “nero”, che sono tante in Italia (soprattutto ma non solo al Sud), di cui si parla molto in termini generici, ma contro cui si fa poco nel concreto, perché di fatto ritenute insostituibili nelle realtà sociali dove prosperano. Si fa qualcosa, ma non abbastanza, quando sono controllate dalla criminalità organizzata, altro tema su cui le parole sono spesso di peso inversamente proporzionali ai fatti, dato che la politica per com’è oggi non ha la visione per una soluzione legale per questa fascia di mondo del lavoro. Poiché, tra le altre cose, le persone che lavorano in nero in questo contesto lo fanno per pochi soldi, il reddito di cittadinanza diventa quasi un fatto di giustizia retributiva. Però che non risulta che vi sia un sindacalista che la veda così, e questo dovrebbe far riflettere la sinistra populista.

Dal punto di vista dell’avviamento al lavoro legale, lo dicono i numeri, è stato un fiasco. Tra l’altro si è sovrapposto ad un sistema regionale che c’era già, in alcune aree era ed è perfino efficiente, magari perché collabora col privato, cioè guarda caso con le aziende che in fin dei conti sono quelle che assumono. Tuttavia, l’impostazione ideologica non viene corrosa dai fatti, che vengono reinterpretati, e del resto è legittimo che qualcuno odi il capitalismo in se stesso, o nella forma del capitalismo finanziario, e parta da lì nelle sue analisi.

Questa considerazione mi porta ad un secondo tema, molto caro a questo Conte “bolivariano”, che è il salario minimo. Si tratta anche di un tema tecnico che meriterebbe ben altri approfondimenti, è un’altra questione seria non andrebbe usata in modo ideologico.

Metto l’accento, per brevità, su quella che per me è il tema di fondo, e cioè l’autonomia dei corpi intermedi, tanto cari alla dottrina sociale della Chiesa. Va da sé che questi, nella cultura del Movimento 5 stelle, proprio non esistono, come del resto è nella interpretazione salviniana del leghismo o più in generale delle destre italiane (le presunte “destre sociali”, richiamanti sinistramente il peronismo), laddove è fondamentale il principio del cortocircuito tra il leader e una base fatta di individui pensati (se non costruiti) come atomizzati, che lui e solo lui comprende e rappresenta, e cui dà le risposte che servono, senza tante discussioni. Nel caso dei 5 stelle, il leader era Casaleggio senior e, mancato questo, sono rimasti solo i facili slogan.

Se i corpi sociali danno fastidio, è giusto che la contrattazione tra sindacato e imprenditori venga saltata dai provvedimenti, se non di un unico leader, del governo. Al di là di come uno pensa strutturata la sua comunità (parola grossa), come poi tecnicamente possa fare un governo, tra l’altro in un momento di inflazione i cui valori sono imprevedibili e non controllabili, a stabilire il giusto livello del salario minimo, e su tutto il Paese, lo sa forse il prof. Tridico. Del resto Mussolini aveva tagliato il nodo gordiano, e aveva riunito le parti sociali in corporazioni, in modo che non si logorassero in confronti, quando c’era da pensare alla Patria, e non agli interessi delle parti stesse. Aggiungo da imprenditore che però gli interessi dei miei predecessori venivano alla fine tutelati ben di più di quelli dei lavoratori, al costo di tollerare un po’ di minore libertà, e tanta corruzione nel sistema. Non si è mai visto nella storia un peronismo che non abbia impoverito anzitutto i poveri, ed oggi vediamo dal vivo gli effetti degli esperimenti di quell’Erdogan che soffia sull’inflazione e su una corrispondente svalutazione della moneta locale che premia solo chi ha in mano dollari. Come sarebbe successo da noi con gli Euro se fossimo tornati alla lira, come Putin suggeriva implicitamente di fare ai suoi protetti italiani.

Tornando al tema (per così dire) tecnico, se una legge sul salario minimo verrà fuori, bisognerà per forza rivedere oltre settant’anni di storia dei contratti e dei rapporti tra sindacati e imprenditori. Mi domando, dilettantismo per dilettantismo, come mai si discute così poco di obbligatorietà dei contratti nazionali, che di fatto non c’è, e ciò, dal punto di vista di molti imprenditori, significa lasciare spazio a chi su questa base ci fa concorrenza sleale. Così come mi domando perché tante chiacchiere e pochi fatti su quelle tante cooperative solo di nome che, quelle sì, pagano i presunti soci con un salario indecoroso. Ma se ne servono pure gli enti pubblici, perché quando si tratta di pagare poco un servizio tanti occhi si bendano.

Concludo sulla scia di quest’ultima riflessione, sottolineando come provvedimenti sul salario minimo non toccherebbero di fatto la gran parte delle aziende che, vuoi per contratti nazionali, vuoi aziendali, vuoi per trattamenti individuali, in un contesto di mercato pagano stipendi superiori, spesso di tanto, ai minimi contrattuali. Di converso, non servirebbero a nulla ai tanti (probabilmente diversi milioni) lavoratori che prestano la propria opera nelle filiere del nero, controllato o meno dalle mafie, o in quel grigio semilegale che è troppo complicato affrontare dalla elementare cultura economica dei populisti.

 

Giuseppe Iotti

 

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