Rapporti tesi tra le Confederazioni sindacali.

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di Sandro Antoniazzi

I rapporti attuali tra le confederazioni sindacali sono motivo di serie preoccupazioni.

Non solo questi rapporti sono tesi, ma è facile che possano tradursi in divisioni, che sarebbero una sciagura per il mondo del lavoro e, direttamente o indirettamente, anche per il paese.

Già una frattura si è verificata a proposito degli infortuni sul lavoro con uno sciopero di Cgil e Uil, da cui la Cisl si è distaccata.

Le posizioni di merito sono a riguardo molto diverse: in sintesi si può dire che la Cisl ritiene le proposte del governo una prima “avance” utile su cui lavorare, la Cgil e la Uil sono invece contrarie e chiedono interventi penalizzanti molto più decisi.

Questa linea è ulteriormente rimarcata dal sostegno accordato alla proposta di legge sugli “omicidi sul lavoro” che viene a completare il quadro degli interventi relativamente agli infortuni sul lavoro; dunque, un insieme di interventi punitivi, anche piuttosto pesanti, che non sono certo il miglior modo si confrontarsi con gli imprenditori (che infatti vengono trascurati).

Questa linea politica soffre di contraddizioni piuttosto evidenti:

1.Pensare di risolvere questioni di lavoro con interventi legislativi repressivi-punitivi non ha mai dato risultati soddisfacenti e non sembra una strada che porti lontano. La strada della prevenzione e della formazione è certamente più valida e promettente. Basterebbe pensare all’ultimo incidente sul lavoro, i cinque morti in provincia di Palermo.

2.Scegliere la strada della legge in un periodo in cui al potere c’è la destra – che certamente si opporrà a queste proposte – o ha un significato di propaganda e di agitazione oppure significa andare incontro a un insuccesso del quale bisognerà rendere conto ai lavoratori.

3.Non è chiaro perché per affrontare i problemi del lavoro si preferisca rivolgersi al governo invece che agli imprenditori. La controparte naturale del sindacato sono gli imprenditori e con loro andrebbero affrontati i problemi prima di rivolgersi alle leggi e al governo. Invece è da tempo che – sbagliando – il sindacato si rivolge al governo lasciando indisturbati gli imprenditori.

Ma la frattura che si è verificata in tema di infortuni sul lavoro potrebbe essere sanata con qualche valida iniziativa unitaria che dimostrerebbe che i rapporti si possono rinsaldare.

Ora invece ci troviamo ci fronte a un pericolo ben più grave: i quattro referendum sul lavoro avanzati dalla Cgil, a proposito del Jobs Act.

Sono dei referendum che guardano al passato piuttosto che al presente e al futuro, ai problemi di ieri e non a quelli di oggi: due sono sui licenziamenti, ma in realtà in questi anni non ci sono stati casi significativi o una diffusione di licenziamenti ingiustificati.

Sembra dunque una battaglia di bandiera: non per nulla si chiamano referendum contro il Jobs Act, che molti lo vedono come un fatto puramente negativo, senza alcuna valutazione di merito.

Un terzo referendum è sui contratti a termine. Ma si sono accorti i proponenti che ormai le assunzioni sono prevalentemente con contratti a tempo indeterminato, mentre si assiste a un continuo calo di quelli a termine?

Il motivo è semplice: le aziende hanno bisogno di lavoratori e quando li trovano che vanno bene tendono a tenerseli stretti, perché è mutato il mercato di lavoro.

E nei tempi attuali chi rimane in un’azienda per tutta la vita, come succedeva una volta? Per migliorare si cambia lavoro anche di frequente (questo è stata in Italia, la great resignation); dunque c’è un’alta mobilità e gli imprenditori hanno spesso interesse a frenarla.

Il quarto e ultimo referendum riguarda i lavori in subappalto: è l’unico che ha qualche ragione a suo favore perché in proposito si è fatto veramente poco.

Però il referendum ha un limite: pone il problema, ma non basta un sì o un no per risolverlo, occorre una legislazione specifica e accurata (basterebbe ricordare che il Testo Unico sugli appalti è composto da centinaia di articoli, per dire quanto la materia sia complessa).

Al di là del merito dei singoli referendum, il problema più serio però è un altro: cosa succederà con il voto?

Quello che si può ipotizzare è una spaccatura verticale non solo a livello sindacale, ma anche a livello del paese (i referendum naturalmente sono votati da tutti i cittadini); un’analoga divisione avverrà a livello del PD perché, se la segretaria Schlein ha scelto di firmare i referendum, molti sono i contrari.

E’ questo ciò che vuole Landini?

Ritengo che il segretario della Cgil abbia in mente un modello di agitazione sociale popolare piuttosto che una seria politica sindacale.

Se si vogliono ripristinare buoni rapporti tra le organizzazioni e anche avere un sindacato che porti un contributo rilevante all’evoluzione dei lavoratori e del paese, è assolutamente necessario ritornare sulla via maestra della contrattazione.

La Cisl può avere posizioni più moderate, ma se si tratta di proposte sindacali, non mancherà certo di essere d’accordo.

In questa prospettiva tutte tre le confederazioni devono muoversi e presto, perché i rischi di uno scontro sono ben presenti e tutto ciò che serve a evitarlo costituisce indubbiamente un contributo importante.

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