Primarie, un sondaggio poco scientifico e poco democratico

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L’autore è presidente del Centro culturale Francesco Luigi Ferrari, realtà associativa aderente alla rete c3dem. L’articolo è apparso su notemodenesi.it all’inizio di settembre. Sul tema delle primarie aveva scritto su c3dem Vittorio Sammarco, a maggio (“Per favore non torniamo al partito delle tessere”).

 

Le primarie sono un sondaggio poco scientifico e poco democratico.
Il candidato che vince le primarie è poi quello che ha la maggiore probabilità di vincere anche le elezioni? Per decidere il loro leader o per individuare candidati a sindaco o ad altro, i partiti hanno bisogno delle primarie?
Chi scrive risponde negativamente ad entrambe le domande. Le primarie, in qualsiasi forma si facciano, sono l’espressione delle delega dei partiti all’opinione (doxa) del proprio ruolo di progettazione politica.
Con le primarie ci si affida all’opinione di un raggruppamento preselezionato di cittadini, che in ultima istanza è quella che conta, ma la rappresentatività del campione nelle primarie è meno scientifica di quella di un sondaggio sempre che l’obiettivo sia quello di raggiungere la maggioranza del consenso elettorale.
Detto in altri termini bisognerebbe che il voto/opinione per essere veramente democratico fosse libero, informato e il più ampio possibile. Nella maggior parte dei casi, però, non è così. E’ innegabile l’esistenza sotto diverse forme più o meno aggraziate del cosiddetto voto di scambio o di interesse o del voto estetico cioè di quella particolare scelta che considera se il candidato è simpatico o antipatico, bello o brutto, elegante o rozzo.
La questione che ora si pone riguarda i modi e il tempo che i partiti dedicano alla formazione dell’opinione pubblica. Quella che oggi è veicolata dai mass media appare più funzionale a coltivare l’applauso delle proprie tifoserie.

Per concludere: innanzitutto una classe dirigente che si consideri tale non si pone la questione del candidato all’ultimo secondo e non l’affida a delle primarie/sondaggio più o meno scientifiche; secondo, il contatto diretto con le persone per conoscerne i sentimenti, i problemi, le opinioni deve essere un bisogno vitale del politico al quale deve essere dedicato il tempo necessario; terzo, lo stesso tempo dedicato alla relazione calda (integrata casomai a quella virtuale) deve essere destinato a fornire le informazioni necessarie in una relazione di fiducia affinché le persone si formino una propria opinione consapevole e informata; quarto, le primarie banalizzano i temi ed estremizzano i rapporti fra le persone che da semplici competitori passano a nemici per la vita con il relativo stuolo di tifosi più o meno fedeli; quinto, l’individuazione del candidato, ad esempio, a sindaco non è un fatto “privato” interno ai partiti ma dovrebbe essere il frutto di una relazione di reciprocità della classe dirigente con il cosiddetto mondo esterno senza escludere nessuno anzi provando ad essere i più inclusivi possibili almeno fino al 51%.

 Gianpietro Cavazza

One Comment

  1. Le Primarie rappresentano una soluzione certamente troppo enfatizzata di rapportarsi del partito politico ai suoi iscritti e al suo potenziale elettorato. Ma non hanno la pretesa di essere un sondaggio scientifico perchè la funzione del loro metodo non è questa. Una soluzione tuttavia che, una volta verificate alcune condizioni procedurali e di contesto storico, potrebbe favorire la selezione di quote di nuova classe dirigente, specie di quella locale, ad una sola condizione: quella di non svuotare dall’interno il ruolo centrale e istituzionale del partito politico, della sua classe dirigente, della sua linea cultural-politica, e della sua identità e riconoscibilità nel mercato dell’offerta politica. Primarie complementari e di aiuto al partito dunque, e non sostitutive come del resto accade in Usa, patria delle primarie miliardarie, dove il partito politico è superfluo e inutile. La democrazia partecipata e diretta sottesa alle primarie, all’insegna della lotta alle oligarchie e dei pacchetti di tessere, della rottamazione e del ricambio generazionale, nel mentre risulta immediatamente percepibile e sotto alcuni aspetti legittima, a guardar bene è piena di insidie e di inconvenienti su cui prima di innamorarsene acriticamente, bisogerebbe ragionare molto.
    Molte delle impressioni di Cavazza sono giuste e condivisibili. Ma al di la dei tempi, della formazione dell’opinione, del rapporto interpersonale e di fiducia, rimane il problema se ancora vogliamo un partito politico solido con una sua fisionomia e una sua classe dirigente responsabile, con candidati scelti con criteri di competenza, meriti morali e capacità, oppure siamo già avviati sul “partito liquido” o su quello dell’opinione pubblica variabile usa e getta. Un saluto, Nino Labate

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