PRIMARIE/ 1. Un successo. Estendiamole ai parlamentari e ai programmi politici

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Le primarie del centrosinistra sono state un grande momento di democrazia. Lo sono ancora, perché il secondo turno è importante e decisivo per le sorti di tutta l’operazione. Quindi una certa sospensione di giudizio non guasterebbe. Eppure il commento che si può fare a caldo non può non tenere conto dell’alta e ordinata affluenza ai seggi, del rilevante risultato di Matteo Renzi e della risposta positiva che, nonostante alcune inevitabili tensioni, tutti i candidati stanno avendo nei confronti degli avversari vincenti. Smentendo così pericolosi strascichi post-elettorali.

Certo hanno ragione i tre sconfitti quando dicono che, in diversa misura, l’agenda mediatica ha polarizzato fin dall’inizio lo scontro tra i due principali competitori, senza tenere nel giusto conto la pluralità di posizioni e di offerte politiche che loro mettevano in campo per il dibattito. Questo credo che sia un peccato, una diminutio, per l’intero centro-sinistra, che della ricchezza di opzioni e di ragionevoli differenze di indirizzo non deve temere le dissonanze quanto piuttosto valorizzare i possibili punti di sintesi avanzate.

Alla grande ondata di commenti che si accavallano in queste ore, mi limito ad aggiungerne solo due.

Primo: successo di pubblico e di critica, sì, ma sempre numeri molto parziali rispetto alla grande platea elettorale. Bene che vada, non si raggiunge il 10 per cento. E non si tratta di essere lagnosi o disfattisti, ma, se possibile, utili realisti. Per poter dire: continuiamo così, bene, ora estendiamo le primarie ai candidati al parlamento, e, perché no, anche al programma da portare all’elettorato, con meccanismi che, sulla base di proposte già elaborate, mettano il cittadino elettore in grado di potersi esprimere con facilità e concretezza (un certo burocratismo di questa tornata elettorale ha fatto storcere il naso, ma tutto è perfettibile) sulle proposte per il governo. Sarebbe una rivoluzione, e potrebbe solo far bene per la competizione elettorale futura, per convincere i cittadini che questo è un gruppo dirigente adeguato per ricostruire il Paese.

Secondo: mi sembrerebbe sbagliato se il successo, pur apprezzabile e significativo anche nei contenuti e non solo nei numeri, di Matteo Renzi, si ripercuotesse nelle dinamiche interne del PD. Non si rifacciano leadership e strategie basandole su queste percentuali. In questa scelta del 25 novembre e del prossimo 2 dicembre ha pesato molto il voto  di chi del Pd non è (come lo stesso sindaco di Firenze ha giustamente detto); e perché, allora, questo voto dovrebbe incidere nelle scelte di uno dei partiti della coalizione? Se Renzi ritiene di poter coltivare questo suo elettorato lo faccia: è solo una ricchezza. E si attrezzi per vincere il prossimo congresso del Pd. Anche a cominciare dall’influire su regole aperte o chiuse che (chi scrive ha sempre sostenuto le prime) potranno portargli più o meno benefici.

Non credo ai brogli interni, non credo ad ostacoli o boicottaggi. Questo partito ha ancora una volta testimoniato, pur con mille difficoltà, cosa può significare per questo Paese una vera democrazia. Quella che funziona attraverso i partiti, non unici e soli, anzi, ma in stretta collaborazione con le forze sociali che agiscono sul territorio e che partiti non sono.

Con partiti morti non avremmo più ma meno democrazia. E a differenza di qualcuno, questo, Matteo Renzi, sicuramente non lo vuole.

Vittorio Sammarco

 

 

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