Perché è ora di fare pace con Comunione e Liberazione

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Una proposta, quella dell’autore, destinata a far discutere molti degli amici di c3dem, e anche al di là di questa piccola cerchia. Una proposta che fa andare il nostro pensiero a tanti momenti del cammino percorso nei decenni passati, dentro e fuori la chiesa, e che ci spinge a fare una sorta di bilancio, guardando all’oggi

 

Penso che sia ora per l’area associativa cattolica di affrontare il problema Comunione e Liberazione, nell’intento di superare uno stato permanente di diffidenza e ostilità che, in mancanza di un’iniziativa, rischia di protrarsi all’infinito.

Sono passati cinquanta anni da quando è sorta CL e in tutto questo tempo non si sono fatti in proposito molti passi avanti; assomigliamo tutti a quei giapponesi che ogni tanto uscivano dalla foresta pensando che fosse ancora in atto una guerra che invece era finita da tempo.

Negli anni caldi, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, quando erano entrate in crisi sia GS che GL, un gruppo di persone proveniente da quella esperienza si poneva il problema di cosa fare.

Nello stesso periodo era ritornato dall’America don Giussani che riunì le persone rimaste per ricercare una nuova forma di rilancio della sua proposta.

Non erano chiare le idee, si andava a tentoni e sperimentazioni, finché si è presa la decisione di dar vita a un movimento: CL.

Le sue posizioni iniziali esprimevano una forte motivazione cristiana, inserita nel contesto di un linguaggio carico di dichiarazioni altisonanti e di termini rivoluzionari.

Ciò era dovuto in parte al momento e alla condizione ambientale, in parte si trattava di un pensiero non giunto a maturazione, in parte e infine costituiva uno scudo difensivo nei confronti delle forze di sinistra, spesso estremiste, presenti in università.

Questa esperienza ha sollevato critiche tra le associazioni cattoliche, ma non va dimenticato che ha riscosso altrettanti consensi e appoggi nella chiesa e nella politica, tanto in Italia quanto in altri paesi. Penso che si possa dire che una parte della gerarchia ha considerato positivamente CL, ritenendola un argine al dilagare tra i giovani delle formazioni di estrema sinistra. (Altri vescovi invece diffidavano perché temevano tensioni nella propria diocesi).

In estrema sintesi si potrebbero riassumere le molteplici critiche in due grandi questioni, che hanno rappresentati i nodi essenziali della diffidenza e del contrasto.

La prima questione riguarda il rapporto tra la fede e la politica (la società).

Don Giussani era un uomo di fede e un grande educatore (lo posso affermare per esperienza personale), ma non aveva certamente approfondito i rapporti tra fede e politica (mondo) in una società complessa come quella attuale, problematica su cui non aveva una concezione definita.

Da questa indeterminatezza e sottovalutazione sono derivate diverse posizioni discutibili e un eccesso di libertà, nel senso che, una volta affermata la fede, era possibile esprimersi come meglio si riteneva; eccessi sempre più visibili nel corso degli anni (in relazione all’affermazione politica dei suoi dirigenti), sino all’implosione ultima del caso Formigoni.

La crisi formigoniana è stato l’ultimo atto di un processo in atto da tempo e che ha rivelato un modo di vivere cattolicamente la politica decisamente inaccettabile.

Il secondo motivo di critica riguarda la scelta di CL di vivere del tutto separata dalle altre associazioni e dalla comunità cristiana.

In questo ha certamente pesato la convinzione di CL di ritenersi già comunità cristiana, di ritenersi già chiesa; per questo non avvertiva l’esigenza di unirsi agli altri, che spesso non la capivano.

Quando c’è stata la crisi formigoniana, mons. Carron ha preso una decisione ferma di grande rilievo: ha riportato CL a essere una comunità cristiana educante, tagliando il cordone con tutte le attività politiche e varie, e lasciando alla responsabilità dei singoli le scelte in questo campo.

Oggi in CL si esprimono una pluralità di scelte diverse, così come avviene in genere nelle altre associazioni. È finito dunque quello stretto legame tra comunità di Cl e la scelta di un partito, che costituiva uno dei grandi limiti di quell’esperienza (sia sul versante politico, ma soprattutto della fede).

Anche sul piano del “separatismo” sono in atto dei significativi cambiamenti: da molti, soprattutto da coloro che sono impegnati nel sociale, questo atteggiamento viene sempre più abbandonato, comprendendo che, se ieri poteva avere una giustificazione difensiva, rischia ora di rappresentare una strada senza prospettive.

Insomma, sembra che sulle due questioni fondamentali di divisione stiano avvenendo dei cambiamenti rilevanti e sarebbe un grave errore non prenderne atto.

A un cambiamento da parte di CL sarebbe opportuno che corrispondesse un nuovo comportamento anche delle varie associazioni e dei cattolici democratici.

Occorre avere il coraggio di riprendere dei rapporti, non sul piano del confronto sui massimi sistemi, ma su un piano reale, concreto, dove sia possibile collaborare insieme.

E’ ora di dichiarare finita la guerra e di operare costruttivamente per la pace, perché di un associazionismo cattolico più unito, più vivo, più presente socialmente, c’è un grande bisogno sia nella chiesa che nella società.

 

Sandro Antoniazzi

Settembre 2021

3 Comments

  1. Caro Sandro,
    capisco il tuo intervento, particolarmente su un punto: c’è stata una evoluzione recente e le posizioni di Cl sono molto cambiate per tanti aspetti. A leggere ora qualche loro testo sembra che abbiano fatto la “scelta religiosa” dell’Ac degli anni ’70. Quindi le ragioni di aspre contrapposizioni (per me non c’è mai stata guerra, ma profondo dissenso sì…) si sono attenuate. La comunità cristiana dovrebbe riassorbire queste situazioni se è in grado di essere quello che dovrebbe essere, cioè una sinfonia di diversità attorno a un unico assoluto, che non è nelle nostre mani.
    Però…. C’è un grosso “però”, lasciamelo dire in sintesi, ma con grande franchezza. Non è che la riconciliazione possa essere intesa come un atto volontaristico (già fortemente richiesto a suo tempo dalla gerarchia, ricordiamocelo), che faccia finta che non ci si sia divisi in passato. Bisogna pur tornare sulle questioni controverse e distinguere la ragione dal torto…! Sennò, che futuro si costruisce? La diversità va vissuta nella parresia e nella verità.
    E il punto essenziale del dissidio era uno, in fondo, dal punto di vista dei molti critici di Cl (o almeno, dal mio modesto punto di vista). E non era collocabile alla nascita di Cl, ma risaliva alle origini della storia di Gs e dei suoi testi essenziali. Lo dico qui in sintesi brutale, ma ci sono contributi che cercano di articolare la riflessione. Il punto era la considerazione per cui l’appello a un cristianesimo esperienziale di don Giussani (largamente condivisibile nella sua centratura cristocentrica), aveva un limite fondamentale: il rischio di un corto circuito permanente, per cui l’esperienza del legame con il Cristo si sovrapponeva fino ad identificarsi con l’esperienza del movimento e della sua autorità (interna). Senza riflettere adeguatamente sulle connessioni e le differenze tra movimento-chiesa-Cristo. Senza la valorizzazione cruciale di quegli essenziali elementi oggettivi (soprattutto la parola di Dio) e soggettivi (soprattutto la coscienza degli esseri umani) che permettono di connettere sempre, con una ricerca profonda, ma impediscono al contempo di confondere, volontà umane e appello divino.
    Da quella radice nascevano tutti gli altri problemi: il loro senso di separatezza nella comunità cristiana e la lotta alla parrocchia e ai vescovi (se non d’accordo con loro); la volontà di affermazione nella società come contro-mondo organizzato minoritario invece che come dialogo per la costruzione del bene comune (concezione del pluralismo); un certo machiavellismo, perché ai fini del successo del movimento molto si poteva e si doveva sacrificare. Questo per dire che è del tutto sbagliato derubricare gli eventi problematici di alcuni protagonisti del movimento ad errori personali. C’era sempre del metodo.
    Su questo metodo abbiamo riflettuto a fondo? Una vera riconciliazione – per me possibile e benvenuta – lo esige.

  2. Raccolgo la sincera provocazione di Sandro Antoniazzi. Condivido la acuta riflessione di Guido Formigoni. Offro qualche spunto personale.
    Forse oggi nessun responsabile di aggregazioni ecclesiali afferma “fate come noi, noi siamo la chiesa”. Vorrei però aggiungere che la “pace” – meglio direi il dialogo – è in atto da quando si fanno cose insieme per gli altri con gratuità e disinteresse. Non mancano oggi segni di questo genere, anche se non è facile per i movimenti guardare oltre se stessi. I movimenti spesso mi sembrano dei “monumenti” che esigono continui interventi di manutenzione. Come le parrocchie e le strutture diocesane e religiose. Il limite che vedo nei responsabili della chiesa – dopo aver preso atto che la strada di identificare la parrocchia con CL, o quella di imporre un accordo forzato tra Associazionismo tradizionale e CL, si è dimostrata fallimentare – è di pensare che si possa fare a meno di forme ecclesiali oltre la parrocchia, o gli uffici di curia. Ma forse tutti dobbiamo uscire dalla preoccupazione di sé e ascoltare cosa vibra nel cuore delle persone con cui abitiamo, parlarne da amici con Gesù, e vivere come “fratelli tutti”. Non è facile, ammettiamolo. Però è affascinante pensare che stia nascendo qualcosa di bello e di buono. Mi pare di scorgere segni di vita, incoraggiati dalla “Laudato sì”, nelle forme di vita comune, di accoglienza, di sostenibilità, di solidarietà.
    Mi sembra più urgente cercare i germogli di chiesa più che fare pace tra noi vecchietti. Riconoscere gli errori è necessario, ma prima occorre la “confessio laudis”. Poi viene meglio la “confessio vitae” e e si cammina meglio nella “confessio fidei”. Scusatemi la predica.

  3. Condivido molto gli interventi di Guido Formigoni e Franco Agnesi, molto lucidi e rilevanti.
    Li accosto,anche se su,un tema più specifico, all’articolo sull’avvenire di Luigino Bruni “Il
    discernimento dei lieviti”, che transita e coglie alcuni elementi essenziali non solo dei
    movimenti ma di una “cultura carismatica”, spesso, troppo presente nelle persone con
    ruoli di responsabilità nel nostro mondo cattolico, Dove mi pare sempre più mancare
    l’esercizio dell’ umiltà e del discernimento.
    Rimanendo sul tema della presenza dei cattolici in politica il confronto e il dialogo
    rimangono percorsi troppo importanti per abbandonarli. Interessante riprendere
    una riflessione non solo autocelebrativa ma capace di cogliere i nodi e i limiti della
    nostra presenza politica.
    Mi premetto di segnalare due tracce possibili:
    -quella di Papa Bergoglio nella rilevazione nella presenza cattolica, troppo spesso,
    di un neopelagianesimo diffuso;
    e, come seconda, apparentemente datata, ma sempre attuale, la riflessione di
    Don Giuseppe Dossetti a Villa Cagnola nel 1962: ” Gli equivoci del cattolicesimo
    politico”.
    Un fraterno saluto a tutti.

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