Perché, da prete, non posso essere neoliberista

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Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo. L’autore è un prete bresciano, che ha recentemente compiuto il 63° anno di sacerdozio

 

Noi tutti, gerarchia, sacerdoti e popolo cristiano, non abbiamo né visto né sentito ciò che è successo da quando Reegan proclamò che il vitello d’oro Mercato sostituiva l’Altissimo; e i governanti non si sottrassero più dal “dire false dicerie, dal non tutelare in giudizio il povero, dal tenersi lontano dalla parola menzognera, dal non accettare doni e dal non opprimere il forestiero …”  (Deut.) perché così esigeva il nuovo Dio.  Si diffondeva così il progetto della “nuova economia”, del “pensiero unico”, del pensiero neoliberista che ha come logica la scaltrezza nel far rendere di più al proprio capitale.

Il che implica sempre alcune cose:  1 considerare l’altro come rivale;  2 affidare a pochi esperti lo stesso capitale nei giochi di borsa (interessante il termine “gioco”);   3 considerare la resa finanziaria del capitale  come primaria nei confronti della produttività aziendale e della economia reale; 4 far prevalere la scaltrezza e l’imbroglio  sulla fiducia;   5 manipolare leggi e moltiplicare i gossip per distogliere l’attenzione del popolo;    6 far entrare in azione i “tagliatori di teste” con conseguente incremento della disoccupazione;  7 mettere K. O. i sindacati dei lavoratori con blocco dei salari;  8 considerare l’uomo come risorsa solo in quanto produce (come nei prodromi della Shoah) e sfruttarlo al massimo;  9 obbligare i governanti a sottrarre risorse al Welfare  per dare più spazio di manovra al capitale;  10 alimentare il disprezzo verso i deboli e gli stranieri e lasciare mano libera al lavoro nero;   11 incensare Chiesa e non profit, perché si occupavano dei poveri e rimetterci in combutta con ladri perché facevano beneficenza e si dichiaravano difensori dei valori e della “tradizione cristiana”.

Adagio adagio queste logiche, anche attraverso l’utilizzo orchestrato dei mezzi di informazione (la televisione al primo posto), diventano categorie dello spirito comune, fino ad indurre ognuno a considerare che “non c’era altro da fare”; anzi che “era giusto così”; che non c’era altra via possibile.

Intanto queste modalità operative – ormai categorie dello spirito – portano alla diffidenza reciproca, alla sfiducia nello stato e nelle istituzioni, fanno prevalere una situazione costante di “immondezzaio” (come ha scritto Staiano), lasciano irrompere sulla scena le Società Segrete e i Patti Segreti (ciò che non è chiaro genera paura), il linguaggio diventa volgare , la derisione diventa un modo di pensare e di agire comune; la banalizzazione sembra essere l’unica forma espressiva.  (Tutto questo è il berlusconismo non inteso come persona ma come stile di vita e di governo. E noi, tanti di noi, anche preti, l’abbiamo plurivotato!). Il tutto per stravolgere la verità dei fatti e fare in modo che il popolo “senta i tuoni e i lampi” e viva perennemente “preso da timore” e si tenga “lontano dai fatti”.

Si legge nella Octogesima Adveniens del grande Paolo VI: «Il cristiano non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione… all’ideologia liberale che ritiene di esaltare la libertà individuale sottraendola ad ogni limite, stimolandola con la ricerca esclusiva dell’interesse e del potere, e considerando la solidarietà sociale come conseguenza più o meno automatica delle iniziative individuali e non quale scopo e criterio più vasto della validità dell’organizzazione sociale».( Per non citare quanto ha più volte ripetuto, attraverso i suoi consulenti, Giovanni Paolo II nelle due encicliche sociali in linguaggio altrettanto chiaro – ma, quanti leggono le encicliche? Sociali, poi! le devono osservare gli altri; a noi preti spettano solo le cose spirituali).   Tanti di noi, questa esplicita riprovazione di un sistema, o non l’abbiamo mai letta o l’abbiamo sorvolata, lasciando nell’ignoranza i fratelli del popolo di Dio, addomesticati dall’<istrione> ad avere ancora paura dei comunisti.                                                                 

Dimenticata l’Octogesima adveniens, lo slancio del Concilio, e assenti dalle trasformazioni (o: malformazioni ) culturali e sociali, perché incapaci di comprenderle, noi preti “abbiamo coltivato in noi e nel popolo cristiano uno strano miscuglio di spiritualità, di difesa dei principi astratti, di infantilismo religioso, di violazione della morale predicata; abbiamo sostituto l’accoglienza con la rigidità delle forme, con la meschinità delle beghe comunitarie, con l’avidità di denaro, la critica facile ai vescovi e ai confratelli; nuovamente rincorso la carriera sdraiati  sulla certezza dello stipendio fisso” (da editoriale di Presbyteri n.9).   Gli scandali privati e pubblici dei nostri governanti, la manipolazione  delle istituzioni, non ci trovarono “sentinelle vigilanti”.      

Rubare divenne la logica dei governanti e, noi preti, neppure di fronte a questo, abbiamo osato alzare la voce” per timore e tremore di perdere clienti e benefattori.“ Non abbiamo né visto, né sentito” e ci siamo trascinati in un processo di desertificazione – ne abbiamo individuato anche la categoria culturale, secolarizzazione! -, mentre il popolo cedeva alla durezza del cammino, ai poveri facevamo dono delle briciole che avanzavamo dai molti “restauri  sempre necessari”,  i giovani sono diventati “la prima generazione incredula”, ”le quarantenni disertano la Chiesa” e la voce roca degli anziani ha risuonato sempre più flebile nelle nostre “devote liturgie” e nei devotissimi pellegrinaggi sponsorizzati anche dalla guida spirituale di vescovi.

Ha detto Gesù che “è bene che ci sia lo scandalo”. Il guaio è che noi non ci siamo neppure scandalizzati; anzi, abbiamo dato due mani all’ inimicus homo.

In base a tutto ciò – è peccato oggettivo – i sostenitori di questo pensiero economico non possono avere il mio voto. Perché sono prete!

. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi” (Benedetto XVI).

. La libertà cristiana nessuno ce la può togliere, neppure la persecuzione. Ce la toglie però il tradimento del Vangelo, quando diventiamo supporto dei potenti (S. Fausti sj).

 



[1] Negli anni 70  –  in accettazione delle teorie dei “Chicago Boys“, sotto l’egida di Milton Friedman e Arnold Harberger – si teorizzarono riforme basate sulla liberalizzazione e privatizzazione del monopolio pubblico. La teoria dei Chicago Boys è stata applicata per anni in tutto il mondo, soprattutto in quei paesi che chiedevano prestiti al Fondo Monetario Internazionale, in quanto lo stesso FMI poneva come condizione per l’ottenimento dei prestiti l’applicazione di politiche economiche neo-liberiste, anche contro l’orientamento dei governi a cui si rivolgeva.

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  1. Grazie.Una regalità travolgente.Una liturgia,che infatti attacca dal “kyrie” e dal “confiteor” (“Noi tutti..non abbiamo nè visto nè sentito…”) e non dal “gloria” a se stessi come si continua a sentire nelle istruzioni preelettorali del vari vescovi.

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