Pensieri su magistratura e politica. Un dialogo

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L’amico Nino Labate ci ha fatto conoscere un post di Pierluigi Castagnetti scritto il 2 aprile sul suo blog a proposito dell’inchiesta della magistratura lucana che ha portato alle dimissioni del ministro Guidi. All’intervento di Castagnetti egli ha fatto seguire una sua replica. Pubblichiamo entrambi i testi.

 

Pierluigi Castagnetti

Parlerò del baccano di questi giorni. Mi scuso sin da subito della lunghezza di questo post, ma la materia è difficile e delicata. Mi riferisco all’inchiesta della magistratura che ha portato alle giuste dimissioni di un ministro pur non indagato, della quale conosco solo quanto riportato dai giornali. Premetto che non mi sono mai piaciuti i sospetti di complottismo, perché il primo dovere dei politici è quello della correttezza e della trasparenza. Epperò. La mia esperienza (sono stato presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere) mi ha consentito, attraverso la lettura per cinque anni di decine di migliaia di pagine di ordinanze e atti giudiziari, di giungere alla conclusione che vi siano diversi atteggiamenti dei magistrati di fronte alle ipotesi di reato da parte di parlamentari. Nella stragrande maggioranza dei casi le procure si comportano con serietà e responsabilità, mentre vi sono casi in cui è possibile registrare atteggiamenti pregiudiziali verso la classe politica (fumus persecutionis) e altri in cui prevale la tentazione di utilizzare le inchieste per interferire sull’autonomia del potere legislativo e altri infine che rivelano – fatta salva la buona fede dell’autorità inquirente – una clamorosa inesperienza nel trattare vicende che intrecciano le modalità operative della pubblica amministrazione, al punto da intravvedere reati dove non vi sono, che non a caso vengono demoliti nel seguito del procedimento giudiziario. Allo stato non è difficile prevedere che l’inchiesta in corso finirà nel nulla per quanto riguarda le responsabilità della politica: non è un caso che ad ora nessun membro del governo o del parlamento non solo non è imputato ma nemmeno indagato (anche se i magistrati si sono peritati di far conoscere che saranno ascoltati due ministri: perchè un tale annuncio? lo facciano e basta). Non contesto ai magistrati il diritto/dovere di indagare sui politici, ci mancherebbe!, ma penso che valutare le ricadute di tali e altri annunci sul dibattito politico e sull’immagine esterna di un paese impegnato su vari fronti (situazione internazionale, caso Libia/Isis, caso Regeni/Egitto, migranti, difficile crisi economica, referendum, elezioni amministrative) non limiterebbe l’assolvimento del loro dovere, che potrebbe avere luogo – anche a vantaggio delle inchieste medesime – con un di più di discrezione e di prudenza. Da quello che si evince, allo stato, potrebbero invece manifestarsi gravi responsabilità per la gestione dei rifiuti tossici, le quali peraltro non coinvolgerebbero i politici. Se la situazione è questa mi pare che il presidente del consiglio anzichè reagire in modo polemico – ribattendo colpo su colpo -, dovrebbe parlare con pacatezza e chiarezza al paese. Per finire mi permetto consigliare a tutti la lettura dell’ultimo libro di uno dei maggiori politologi del paese, Mauro Calise (“La democrazia del leader”, ed. Laterza), che sostiene che i “nemici (del governo) più pericolosi, insidiosi e – all’occorrenza -velenosi sono quelli nascosti. Protetti da un potere di corpo che trascende il circuito elettorale. Un potere pre-democratico e post-democratico. Sono il fattore M: la Magistratura e i Media”. Perchè, sempre secondo Calise: “Leader, media e magistratura: sono questi gli attori dominanti nella democrazia contemporanea, i pilastri di una costituzione silenziosa”. E questo è il vero problema di cui dovremmo tutti preoccuparci e occuparci.

(2 aprile alle ore 22:31)

 

Caro Pierluigi, non ci si incontra ma almeno ci si legge.

Sarò lungo anche io.

Ti devo confessare che da calabrese orgoglioso delle sue radici e della sua nobile terra  ho avuto, sin da ragazzo, un forte rispetto per la magistratura che in cuor mio ho sempre stimato per il suo operare  e per i  suoi interventi ad alto rischio personale. Senza se e senza ma, ho insomma sempre tifato per il coraggio dei magistrati  nella lotta all’illegalità, alla mafia e alla ‘ndrangheta . E – non ti sorprendere  –  in particolari momenti ho anche sognato una magistratura invadente. Capace cioè di ricollocare nel proprio ruolo istituzionale il travalicante potere che certa Politica del malaffare ha avuto in alcuni periodi della nostra storia patria, e capace di scoperchiare le magagne oscure dei rapporti fra società civile (sempre illibata…) e società politica ( sempre sporca… ). Che poi ci siano stati, e ancora ci sono, magistrati che hanno approfittato di alcune particolari situazioni per alimentare un pregiudizio verso la sfera politica non si deve negare.

Calise è uno studioso serio e attento. Che va ringraziato soprattutto perché ci ha avvertiti in tempo sulla deriva populista e, assieme a Bernard Manin, ci ha messo in guardia sui rischi antidemocratici della personalizzazione politica concentrata solo sul leader in rapporto diretto con l’elettorato, e senza partito come corpo intermedio di mezzo. Ma da quello che ho sinora capito (avevo in precedenza messo da parte anche una intervista di Marco Damilano, che ho perso… ma ora comprerò il libro) le componenti del suo fattore “M” (Magistratura e Media) andrebbero sempre  contestualizzate.                                                                                                                                     Quando i media (M) sono invadenti sulla politica, dove e perché ?  Quando la magistratura (M) è invadente sulla politica, dove e perché?

Altra cosa sono invece le tue preoccupazioni per quella magistratura “inesperta”, per quella magistratura esibizionista, soprattutto in alcune Preture come fai capire, sollecitandola a usare “discrezionalità e prudenza” nel suo operare, a ridimensionare  l’insano desiderio di interferire sui governi, e a evitare il narciso rapporto con l‘altro fattore M di Calise, (i Media) senza “valutare le ricadute per la democrazia” e per l’immagine del nostro Paese. Condivido e sottoscrivo.  Troppe volte ho letto anch’io di inchieste finite nel nulla, ma amplificate come scoop, su cui successivamente è sceso il silenzio mediatico assoluto.                                          Ho conosciuto da vicino il mondo della televisione, e conosco la politica spettacolo e la spettacolarizzazione della politica con la sua “videocrazia”, come la chiamava Leopodo Elia. Posso dunque testimoniare, caro Pierluigi, della cialtroneria e servilismo di molti giornalisti. Ma sarebbe ingiusto, anche per questa seconda “M”,   di generalizzare. Fra conflitti di interesse e interessi di parte, fra esibizionismi e vassallaggio, tra autonomia delle testate e proprietà, tra indipendenza  dei giornalisti e servilismo, il ruolo storico di questa “M” non è stato irrilevante per farci conoscere e capire molte cose che sicuramente non avremmo mai potuto conoscere.

Se non è forse già tardi… rimane invece da affrontare l’inquietante discorso legato al titolo del libro: “La democrazia del leader”. Che credo sia la parte più interessante che tratti Calise. Un pericolo soft quello del leader. Ma sempre pericolo. Questa volta presente sin dentro il Parlamento e non fuori del Parlamento.  Renzi  e le riforme a mio avviso c’entrano poco. Ma sono le istituzioni, le regole della democrazia che stiamo creando e che necessitano di forti  bilanciamenti, il malessere sociale e il clima culturale di paura che respiriamo con l’immigrazione  a spingere da un lato verso il disinteresse e la delega permanente, dall’altro verso la “svolta monocratica”. Quella del “Capo”. Una svolta che stiamo prendendo sottogamba.  E che stiamo assecondando con leggerezza. La deriva leaderistica e l’enfasi sulla necessità e “… urgenza”  del leader (sono usciti addirittura dei libri), lasciano la mia generazione pensierosa e preoccupata. Una generazione, la mia e la tua, che certamente si confrontava con dei leader, ma mai con una cultura leaderistica e di “uomini soli al comando”. Una generazione che amava la decisione, ma non il decisionismo. Che non usava vietare ma amava mediare. Che ha sempre scommesso sulla partecipazione, sul partito politico, sulla discussione, sul pluralismo di posizioni, addirittura sulla necessità delle correnti di idee per un confronto interno. Tutta roba passata? Tutta roba che dobbiamo mettere in cantina perché è scomparso il partito di massa? Osservo che oggi è solo una istituzione bimillenaria come la Chiesa cattolica che sta tentando, soprattutto con Francesco, di farsi sapienziale interprete della collegialità, rivisitando il suo storico centralismo.

Accetta un cordiale saluto.

Nino Labate

 

 

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