Partecipazione, una priorità politica

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Bene ha fatto C3Dem ad aprire un dibattito sulla democrazia.

Essa soffre infatti in Italia (ma non solo) di sempre maggiore disaffezione popolare, di distanza tra governanti e governati.

La mia convinzione è che il tema sia eminentemente politico. Deriva infatti dalla crisi di credibilità dei partiti (che ha avuto il suo primo picco con “tangentopoli”) ma soprattutto non è affrontato politicamente dai partiti che lo sottovalutano.

Per brevità affronterò solo due fenomeni che sono indicatori del calo di partecipazione e del disinteresse dei partiti ad affrontarlo: l’astensionismo ed il non funzionamento del decentramento.

Che l’astensionismo sia connesso alla crisi dei partiti lo dimostrano i dati. Nel 1992 l’astensionismo elettorale era al 12% (come noto gli arresti iniziarono il giorno dopo il voto), nel 2001 già al 18%, 23% nel 2008, 25% nel 2013, 28% nel 2018, 36% oggi (ma nelle europee 2019 e nelle amministrative 2021 eravamo al 45%).

I partiti non se ne interessano. Sembra che condividano il pensiero di un politologo statunitense “la democrazia è chi vota”. Come a dire chi c’è, c’è …chi non c’è fatti suoi. Come se un elettorato più ridotto fosse più affine e più facilmente orientabile.

Peccato che l’art.3 della costituzione reciti “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

E tra l’altro secondo molti ricercatori il fattore sociale (la povertà) è il fattore primo (sia perché problema più pressante sia per la disillusione sulla possibilità della politica di darvi una risposta) di distanza dalla partecipazione.

Ma esistono anche ostacoli fisiologici e tecnici all’astensionismo (oltre allo scandalo della negazione di cittadinanza ai nuovi italiani con background migratorio).

Il governo Draghi ha costituito una commissione tecnica per studiare il fenomeno e fornire proposte, presieduta da Franco Bassanini, che il 14 aprile 22 ha presentato la relazione finale dal titolo “per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”.

Tra le proposte la introduzione dell”election pass” (per risolvere il problema dei fuori sede che incide significativamente).

Capisco che lo scioglimento delle camere abbia derubricato la discussione parlamentare ma la totale assenza di dibattito politico sul tema e le proposte, anche in campagna elettorale, mi conferma il disinteresse quasi fisiologico di tutti i partiti.

Se il tema non è riconosciuto, discusso, vuol dire che non si esprime volontà politica di affrontarlo e combatterlo.

Una vicenda analoga di assenza di volontà politica si esprime sul tema del decentramento istituzionale.

Da quando Giuseppe Dossetti nel suo programma di Sindaco a Bologna (sconfitto da  Giuseppe Dozza nel 1956) introdusse i consigli di quartiere (che poi Dozza realizzò anche con il suo voto), il tema del decentramento nelle città ha sfondato.

Però la sua attuazione non ha dato i risultati di partecipazione che ci si attendeva.

Ed è stato un problema, ancora una volta di volontà politica.

Si è costruito un insieme di statuti e regolamenti sul modello parlamentare ma non si è decentrato nessun potere ne si è dato ascolto ai territori.

Addirittura siamo al paradosso (parlo di Milano che conosco meglio) che i Presidenti di Zona dei primi anni 70 (nominati dal sindaco e non eletti, con coinvolgimento di tutto l’arco costituzionale, compreso il PCI allora all’opposizione) contavano di più degli attuali Presidenti di municipio eletti.

Perché? Perché in una Milano in grande trasformazione, con case, scuole, strade da costruire, il sindaco ascoltava quasi settimanalmente i Presidenti, che avevano dietro un fenomeno partecipativo che erano i comitati da quartieri.

La politica deve decidere cosa fare dei municipi. O delega almeno una parte di gestione oppure rischiano di divenire lo sportello dei reclami. Lo sportello aperto ai cittadini sarebbe cosa utile, ma se qualcuno l’ascolta, se la loro voce è perlomeno ascoltata dal sindaco.

La riduzione dei consigli territoriali a parlamentini, a luoghi dove si gioca una politica recitata, distante dalla gente (ho visto consigli di zona votare mozioni sulla Palestina!), dove si allevano quadri politici ad una politica di schieramento più che costruttiva, non serve a nulla se non mantenere un po di attivisti per i partiti.

 

Sono convinto che la partecipazione sia oggi il più grande problema che ha la democrazia.

Deve divenire la priorità di ogni forza politica. Se non si esprime in fatti concreti (che discendono da una visione culturale), se non c’è una forte volontà politica, sarà problematico costruire un allargamento della democrazia e sperimentare (sul lavoro, sul territorio) nuove forme di responsabilità verso il futuro, i giovani,l’ambiente.

 

Pier Vito Antoniazzi

Coordinatore DEMOS Milano

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