Papa Francesco, i movimenti sociali e noi

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Intervento dell’autore al Seminario di “Noi siamo chiesa” su papa Francesco e i Movimenti Popolari tenutosi il 4 dicembre scorso alla Libreria Claudiana di Milano (leggi qui il discorso del papa all’Incontro mondiale con i Movimenti Popolari)

 

Questo Papa rappresenta  indubbiamente una novità.  E ci parla dei tempi nuovi . Direi di più, ci introduce, ci accompagna, ad una situazione nuova.

Ricordo che anche la prima delle grandi encicliche sociali, la Rerum novarum, parlava delle cose nuove.  Ma queste cose nuove non erano tempi buoni, orizzonti di apertura, bensì una situazione che la Chiesa viveva negativamente, come minaccia, come disgregazione di un mondo in cui religione e società erano  unite. E allora la chiesa fece una scelta, in larga misura obbligata, di scendere in campo come una delle forze tra le altre (forze culturali, politiche, sociali), una delle parti, e questo ha caratterizzato la storia del nostro paese fino agli anni recenti.

Si può dire che il disegno, l’operazione, del Papa attuale sia proprio nel senso inverso.

Un Papa, dicevo, che rappresenta una novità, innanzitutto rispetto ai Papi immediatamente precedenti: personaggi tutti di rilievo, ma certamente molto più legati all’Istituzione: Paolo VI, uomo di grande cultura teso  a comprendere e definire, sulle orme di Maritain, il rapporto tra Chiesa e modernità; Giovanni Paolo II, preoccupato di ristabilire unità e autorità nella Chiesa accentuando il ruolo centrale del Sommo Pontefice; Benedetto  XVI, teologo e studioso di grande valore, preoccupato, anche per il ruolo che aveva ricoperto a lungo, innanzitutto della “verità” (preoccupazione forse  a volte  eccessiva, ad esempio nel titolo della Caritas in veritate:  la carità non è verità, e anzi la prima del cristianesimo?).

Papa Francesco non si rivolge all’istituzione. Il suo scritto più importante, la Evangelii gaudium, non è un’enciclica, non è uno scritto dottrinale, è un’esortazione,  una pagina personale rivolta non alla chiesa, ma  a noi tutti, cristiani e persone.  Il Papa non espone dottrine, propone il Vangelo. Lo espone in modo semplice, perché le cose importanti, essenziali, sono poche e le espone in modo popolare; il suo linguaggio è pieno di parole e di esempi tratti dalla vita di ogni giorno (un po’ come il Vangelo).

Da leggere sono le sue omelie a Santa Marta. Ne prendo una che ha per titolo “Nel regno di Dio con mezzo euro in tasca”, dove dice che il Regno di Dio è nascosto nella santità della vita quotidiana, della vita di tutti i giorni, nella perseveranza di tanti cristiani che portano avanti la famiglia: uomini e donne che curano i figli, i nonni, “che arrivano alla fine del mese con mezzo euro soltanto”.

La chiesa sono i cristiani, siete voi, dice il Papa, ma il Vangelo non va vissuto passivamente, al sicuro nelle chiese, tra la gente che la pensa nello stesso modo e che se la conta su.  La vita cristiana non è nel tempio , è la vita di tutti, è in mezzo alla gente (Lettera a Diogneto). Ci sono troppi cristiani e c’è troppa parte della chiesa che considera giusta, morale, spirituale la vita che si conduce nelle comunità parrocchiali e nei movimenti ecclesiali e che considera la vita del mondo che li circonda piena di pericoli e di errori,  una realtà da vivere all’insegna della prudenza e del minimo coinvolgimento. Il Papa pensa diversamente e lo esprime con una chiara indicazione: uscite!

Ritorno un momento sulle affermazioni iniziali: i cattolici si sono costituiti come una parte per difendersi e contrapporsi rispetto alle altri parti (i liberali prima, i socialisti e comunisti dopo): ciò ha portato i cattolici a rinchiudersi nelle proprie organizzazioni, a rinserrare le proprie fila. Con la fine del comunismo sovietico prima , e la crisi di quelli europei e italiani poi, questa storia è finita: i cattolici non hanno più l’esigenza di costituire un proprio blocco politico-sociale. La fede, connessa di fatto a strutture associative ed ecclesiali rivolte a questo compito storico, ritorna libera e può presentarsi oggi appunto come libera, indipendente, non ideologica, una forza fresca al servizio del compito storico che ci attende. La fede non è più coinvolta in questo  processo storico, sostanzialmente esaurito, e torna ad essere una realtà per tutti (la stessa dottrina sociale della chiesa, che in parte è servita al medesimo scopo, ora può assumere un carattere diverso).

Certamente si impone per i cristiani un’ opera seria di ripensamento personale e collettivo: sono stati troppo abituati ad una condizione di passività, si dedicano troppo alla loro vita privata e troppo poco  all’impegno per  la collettività, non sono stati educati alla responsabilità. Non si può rimanere tranquilli, mentre i problemi urgono: vivere il cristianesimo nel mondo, tra la gente, espone costantemente al rischio, all’insicurezza.  Il mondo non solo è cambiato, ma continua a cambiare: la vita di oggi non può essere al riparo dei problemi,  e la vita cristiana non ne è certamente esente, piuttosto l’incertezza deve essere vissuta come stimolo e approfondimento tanto della conoscenza quanto della fede.

Questo mi permette di introdurre un pensiero personale. Abbiamo un Papa nuovo, ma sono nuovi anche i tempi. Le due cose vanno assieme. Questo è il mio modo di vedere.

E’ finita un’epoca e abbiamo davanti una situazione del tutto nuova. Noi oggi sperimentiamo soprattutto la parte  “destruens”, ciò che è in crisi dell’assetto di ieri: crisi e scomparsa dei partiti storici ieri, crisi economica, disoccupazione, povertà, diseguaglianza, oggi. Il Papa ci invita a entrare nella nuova situazione a testa alta, a diventare protagonisti della costruzione del mondo muovo, a impegnarci a lavorare per questo.

Non è qui la sede per esaminare i problemi da affrontare oggi; ne cito dunque soltanto due che più riguardano il movimento dei lavoratori e i movimenti popolari. Lo sviluppo del nostro paese, ma in genere dei paesi europei è diventato modesto, non sufficiente per garantire l’occupazione. Non si tratta più di distribuire una  ricchezza crescente, ma di redistribuire lavoro e ricchezza  più stabili: ciò significa riduzione dell’orario di lavoro, reddito di base d’esistenza, salario minimo. In altre parole è necessaria una vera rivoluzione nel pensiero del sindacato, una nuova cultura diffusa.

Inoltre, molti problemi vengono oggi decisi a livello internazionale dove le forze liberiste sono ben più potenti delle forze sociali : sembra di assistere ad una partita con una sola squadra in campo. Qui molto è il lavoro da fare da parte delle forze sociali: noi giustamente protestiamo per la precarietà, ma nel mondo la maggior parte dei lavoratori non ha un rapporto di lavoro salariato; svolge lavori informali, precarissimi, occasionali, sottopagati, lavori parziali, sono semioccupati, poveri. Ma queste masse popolari si tanno muovendo e si muovono con le loro idee, i loro programmi, le loro concezioni; non accettano più  passivamente il pensiero occidentale e eurocentrico, anzi tendono a criticarlo.

Qui , su questi enormi problemi che ci stanno di fronte, mi sembra che insista il pensiero di Papa Francesco, qui possiamo coglierne l’importanza. Non tocca certo al papa tracciare programmi, anche se nell’incontro coi movimenti popolari ha affermato che il discorso delle Beatitudini e quello del cap.25 di Matteo ne  costituiscono una base ideale. Non lascerei cadere questa affermazione perché da richiamo morale e spirituale queste pagine diventano un riferimento per l’azione. Ma un’affermazione forse anche di maggior rilievo la troviamo nella Evangelii Gaudium quando sostiene che il soggetto storico per realizzare la pace e una società più giusta è la gente. Se con la crisi del soggetto storico classe operaia la sinistra si è trovata in serie difficoltà in Occidente, questa affermazione riafferma l’esistenza di un soggetto storico (non  è sufficiente l’opinione pubblica) e che questo soggetto è popolare: Il Papa parla continuamente di popolo, di soggetti e movimenti popolari, di “odore di popolo”. Noi poi possiamo discutere sulle diverse analisi in proposito, ma a buon conto il Papa riconosce il soggetto popolo come essenziale per immaginare il futuro, nel quale le grandi maggioranze devono avere un ruolo attivo.

In secondo luogo, richiamerei la priorità più volte sottolineata che rivestono i poveri, non come oggetto di assistenzialismo paternalista, ma come soggetto protagonista. Ciò significa che questa priorità deve entrare nei nostri programmi politici e sociali, assumendone il primo posto: come un’esigenza di sopravvivenza per molte persone, come una questione di giustizia, e infine come necessità di ricostruire un legame sociale dell’intera collettività.

In terzo luogo, vorrei sottolineare come il Papa spinga all’impegno per gli altri e alla vita comunitaria: prospettiva molto coraggiosa, perché anche in questo caso non si tratta di un invito morale, ma di uno stimolo a sporcarsi le mani. Quanto stiano a cuore al Papa queste indicazioni è dimostrato dalla sottolineatura teologica che le accompagna. L’opzione per i poveri viene riconosciuta come categoria teologica  (dunque parte integrante della vita cristiana, espressione evangelica ) e l’impegno per gli altri è definito dimensione trascendentale, perché Cristo non redime soltanto la persona ma anche le relazioni sociali tra gli uomini.

Da ultimo, non si può non sottolineare come la sua persona, il suo insegnamento, le sue convinzioni profonde, spingano e ci aiutino ad affrontare in modo nuovo i rapporti cogli altri popoli, così difficile per noi occidentali che ci portiamo dietro secoli di colonialismo e di presunta superiorità culturale (ricordo il rilievo che in passato il Corriere della Sera aveva dato agli scritti di Oriana Fallaci contro gli islamici, considerati barbari da civilizzare).

Ecco perché penso  che questo Papa sia l’uomo giusto nel tempo giusto.

Ma non accontentiamoci. Come il Papa dice spesso, tocca a noi ora portare avanti il cammino e la battaglia.

 

Sandro Antoniazzi

 

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