No Vax e individualismo democratico.

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Non si tratta  di rimettere in discussione la libertà personale, fondamento del sistema democratico, ma di affermare che accanto alle scelte individuali sono necessarie altrettante scelte collettive di valori comuni e di  ideali sociali condivisi

 

 

Ci sono varie motivazioni apportate dai no-vax a sostegno delle loro posizioni: motivazioni di carattere medico, di non sufficiente sperimentazione dei vaccini, di dubbi sugli effetti futuri e altre ancora.

Ma non si può non rilevare, anche da affermazioni esplicite di partecipanti alle manifestazioni, che, fra tutte, la motivazione fondamentale che emerge è quella della libertà personale. “Decido io”.

Rispetto a una decisione legittima di un governo democratico, si erge la posizione di singoli che la rifiutano, sostenendo la preminenza della loro autonomia personale.

Questo sembra porre un serio problema alla democrazia e spinge a una riflessione che riguarda i suoi fondamenti.

Nella classica opera di Alexis de Tocqueville sulla democrazia in America, si descrive la nascita della prima democrazia moderna: un mondo di persone tutte uguali, privo di strutture gerarchiche e di potere, proprie dei vecchi paesi europei, e con davanti un futuro aperto e favorevole, da costruire con le proprie forze.

Si può ben dire che questa democrazia si fondi sull’individualismo democratico, come lo definisce Nadia Urbinati: è la libera espressione di questi coloni, molto simili tra loro, la vera base di questa società.

Per motivi diversi, l’altra democrazia contemporanea, quella francese, si muove nello stesso senso; in questo caso non perché trova un’ideale situazione originaria di eguaglianza, ma perché attraverso la Rivoluzione abolisce le vecchie diseguaglianze (nobiltà, aristocrazia, corporazioni); ispirandosi alla volontà generale di Rousseau, non devono sussistere strutture divisive tra lo Stato e il popolo, i cittadini, i quali sono uguali nella libertà.

Tutto questo, sia in America che in Francia, avveniva in un clima di essenziale ottimismo: l’America si presentava come un enorme paese ricco di prospettive di sviluppo; la Francia si apriva a un mondo nuovo col contemporaneo avvento della rivoluzione industriale.

In altre parole, è vero che la democrazia si fonda sull’individualismo democratico, sulla libertà delle persone, ma è altrettanto vero che quelle persone sono legate da una condizione comune, da uno spirito condiviso, da una prospettiva che le unisce.

Come diceva Sieyès di fronte all’affermarsi del potere popolare: “Come vi capirete senza una ragione comune, una credenza comune, un dio comune, una base territoriale, intellettuale, sensibile, comune?”

Ma l’individualismo di allora, intriso di tanta speranza comune, non è quello di adesso; nel tempo, le condizioni di partenza si sono dissolte e l’individualismo è diventato più possessivo e più singolare.

La nostra democrazia italiana, ad esempio, si è affermata dopo il 1945, unita prima per superare le atrocità della guerra e poi dall’opera comune di ricostruzione, ma man mano i fattori di unità del paese si sono fortemente allentati.

Così a me sembra che oggi le democrazie, in mancanza di forti valori ideali che uniscano i cittadini, si trovino sempre di più a confrontarsi con un individualismo vigoroso.

L’affermazione dell’individualismo porta con sé, logicamente e inesorabilmente, l’erosione di ogni struttura gerarchica (la religione, la famiglia, i partiti e in genere ogni struttura intermedia).

E’ quello a cui assistiamo ogni giorno e che ha varie cause, che in fondo in fondo possono essere ricondotte a questa sostanziale: l’affermarsi sempre più radicale, sempre più esclusivo, di un individualismo quasi assoluto.

Anche ciò che scrive Pierre Rosanvallon in un recente libro, secondo cui diversi movimenti degli ultimi anni nascono intorno a diritti individuali, rafforza questa tendenza.

Mi permetto di ricordare una discussione di anni fa (il 1991) nel mio ambito sindacale, in cui commentavamo criticamente il programma congressuale della Cgil, dedicato alla valorizzazione dei diritti individuali; leggendo il testo del programma si trovava un elenco di molteplici diritti, anche di terza e quarta generazione.

Secondo noi era pericoloso sostenere tanti diritti individuali non inseriti ognuno in una solida visione e azione collettiva, come parte di una prospettiva di crescita comune.

Questo è sempre stato il valore e il merito del sindacato: sapere unire le giuste aspirazioni individuali in un moto collettivo che consenta un contemporaneo sviluppo della coscienza.

Ecco, non diverso mi sembra l’attuale problema della democrazia: non si tratta certo di rimettere in discussione la libertà personale, fondamento del sistema democratico, ma di affermare che accanto alle scelte individuali sono necessarie altrettante scelte collettive di valori comuni e di condivisi ideali sociali.

Se la democrazia non ha un risveglio, se non esce da una politica di pura gestione e non rilancia idee e ideologie, traguardi più avanzati, mete ambizione di trasformazione sociale, rischia veramente di trovarsi invischiata nella costante tensione di un serpeggiante individualismo autodistruttivo.

 

Sandro Antoniazzi

novembre 2021

 

 

 

 

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  1. Di fronte all’attuale dramma della pandemia globale, di fronte alle dolorose immagini della disperazione dei migranti che fuggono disperati dalle loro terre, di fronte ai nuovi muri che i governi nazionalisti vogliono costruire per impedire il loro arrivo, dobbiamo interrogarci in quale mondo desideriamo vivere.
    Se la nostra civiltà si è sviluppata sul concetto della persona umana, aveva detto Albert Camus nel 1955 alla conferenza ad Atene, occorre affermare che mai come in questi tempi la quantità di persone umane umiliate è stato così grande.
    La civiltà europea, continuava lo scrittore francese, è in primo luogo una civiltà pluralista, il pluralismo è sempre stato il fondamento della nozione di libertà europea. La “sovranità” per molto tempo ha messo i bastoni in tutte le ruote della storia internazionale. Dobbiamo fare l’Europa finalmente dove Parigi, Atene, Roma, Berlino saranno i centri nevralgici di un impero di mezzo che può svolgere il suo ruolo nella storia di domani. Contaminiamo le idee per realizzare finalmente una vera unità.
    Jacques Maritain all’inaugurazione della seconda conferenza internazionale dell’Unesco affermava che l’unità implicava un accordo di pensiero tra uomini che hanno del mondo, della cultura e della conoscenza concezioni diverse e persino opposte. L’accordo andava ricercato non sulla base di un comune pensiero speculativo ma dell’affermazione di un medesimo complesso di convinzioni che dirigano l’azione. Occorreva soffermarsi sulle conclusioni pratiche che, pur fondandosi per ciascuno su giustificazioni diverse, costituivano per gli uni e per gli altri dei principi d’azione analogicamente comuni.
    La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata al Vertice europeo di Nizza nel dicembre 2000 parte dalla consapevolezza che l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. Essa pone la persona al centro della sua azione e contribuisce al mantenimento di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei. La continua tensione dell’unità nella diversità è stato il filo conduttore sperimentato positivamente dopo la tragedia della guerra e a partire dalla stessa fondazione dell’ONU e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948).
    Oggi che gruppi di militanti “No green pass” sostengono che la loro lotta è una lotta per la libertà, rispondo ancora con le parole di Camus: “La libertà senza limiti è il contrario della libertà. Solo i tiranni possono esercitare la libertà senza limiti. Se si vuole esercitare una vera libertà, non può essere esercitata unicamente nell’interesse dell’individuo che la esercita. La libertà ha sempre avuto come limiti, è una vecchia storia, la libertà degli altri. Aggiungerò a questo luogo comune che essa esiste e ha un senso e un contenuto solo nella misura in cui viene limitata dalla libertà degli altri. Una libertà che comportasse solo dei diritti non sarebbe una libertà, ma una tirannia. Se invece comporta dei diritti e dei doveri, è una libertà che ha un contenuto e che può essere vissuta. Il resto, la libertà senza limiti, porta alla distruzione e alla morte”.
    Ogni individuo, leggiamo nella Dichiarazione universale dei diritti, ha dei doveri nei confronti della comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

  2. Concordo con gli amici Antoniazzi e Vento e aggiungo: l’esperienza umana, la storia e da ultimo la stessa vicenda Covid ci insegnano che ognuno è in relazione ed ha – e può avere talvolta in modo insostituibile – bisogno degli altri. L’illusione che l’individuo possa decidere sempre per sè è appunto un’illusione. Anche l’amico no vax può decidere per sè fino a quando non si senta male e debba essere soccorso. Ma non ci vorrebbe il covid per scoprirlo: basterebbe chiedersi che ne sarebbe di noi se una madre non ci avesse portato in grembo e nutriti attraverso il suo stesso corpo e se, appena nati, lei o qualcun altro non ci avessero accuditi. Nel giro di poche ore saremmo morti. E da lì in poi è un continuo curare ed essere curati, dove stabilire confini puramente individualistici è solo un’astrazione.

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