Moro, Dossetti e le nostre chiusure

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Pubblichiamo volentieri questo scritto che l’autore ha inviato alla redazione di C3dem

 

Quando, a pochi giorni dal suo rapimento, l’on. Aldo Moro parlando all’assemblea dei gruppi parlamentari della Dc, per condurre il suo partito alla scelta della solidarietà nazionale, non usò argomenti tattici o di piccola convenienza, e invitando ad “affinare l’anima”, con una riflessione definita a posteriori il suo “testamento politico”, esplicitamente affermò:

«Possiamo dire che abbiamo cercato seriamente e lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioè la chiave di risoluzione delle difficoltà insorte nel corso di queste settimane.[…]Ecco su che cosa consiglio di riflettere per trovare un modo accettabile per uscire da questa crisi. Io ho fiducia, con il vostro consenso, di potere immaginare un accordo opportuno, misurato, legato al momento particolare nel quale viviamo. Se mi si chiedesse se la situazione di oggi si riprodurrà domani, in elezioni più o meno ravvicinate, la prima risposta (che può essere sbagliata ma è sincera) è: sì. Se voi mi chiedete fra qualche anno cosa potrà accadere, fra qualche tempo cosa potrà accadere, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà» (A. Moro, Intervento ai gruppi parlamentari della Dc, del 28 febbraio 1978).

Il 16 marzo del 1978, a Roma, in via Fani, un commando delle Brigate Rosse, dopo aver ucciso tutti gli uomini della scorta, rapì l’on. Moro, che dal luglio del 1976 era presidente della DC. Moro si stava recando in Parlamento dove avrebbe votato la fiducia al primo governo con il sostegno dei comunisti. Durante i giorni della prigionia, i servizi segreti di tutto il mondo non riuscirono a trovare Moro. In Italia si aprì un dibattito drammatico fra coloro che sostenevano la necessità di trattare con le BR e coloro che, invece, rifiutavano di scendere a compromessi. Lo Stato non trattò e il 9 maggio 1978 il corpo senza vita dello statista democristiano fu ritrovato dentro il bagagliaio di una Renault 4 a Roma, in via Caetani, dopo aver subito un sommario “processo popolare” da parte degli “uomini delle Brigate Rosse”, terminato con una sentenza di condanna a morte. Rimane ancora oggi uno degli episodi più drammatici dell’intera storia dell’Italia repubblicana.

Il 14 maggio 1978, a pochissimi giorni dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro, don Giuseppe Dossetti pronuncia l’omelia per la domenica di Pentecoste nella cappella di casa Santa Maria, a Monteveglio. Partendo dalla Pentecoste come vittoria dello Spirito sulle nostre paure e sulle nostre chiusure, don Giuseppe così riflette: «La Pentecoste è questo. Ed io quest’anno cerco di viverla espressamente e particolarmente in questo senso, collocandomi anche nel contesto storico di questi giorni». Il testo è profondissimo, interamente attraversato da un senso di abbandono filiale e dalla piena consapevolezza della decisività del dono dello Spirito Santo nell’esistenza del cristiano, dono che, per usare una parola ricorrente nell’omelia, «segna l’apertura ormai senza più confini, senza più limiti né orizzonti del nostro rapporto con Dio». Eppure, pare dirci ancor oggi don Giuseppe, qualcosa riesce a farci vedere «la notte chiara come il giorno». Qualcuno, superando le porte chiuse del nostro umano ritrarsi, fa sì che in un momento «si spacchino i battenti della nostra anima e i catenacci cadano». È in questa luce, quella di un mistero che irrompe, che tutta la vicenda di Aldo Moro — afferma don Giuseppe — s’iscrive «in modo molto rigoroso in un ambito, in un andamento, per così dire, liturgico». Rapito pochi giorni prima della domenica delle Palme, la prigionia di Moro «ha coperto tutto l’ambito che va dall’inizio della Settimana Santa dei misteri della Passione di Cristo fino all’Ascensione del Signore: tutto il tempo di passione, tutto il tempo pasquale». Riflette ancora Dossetti: «Ogni vicenda di un uomo, e infine inevitabilmente ogni vicenda dell’umanità intera s’iscrive liturgicamente nei misteri di Cristo» ed è in riferimento a essi che ci è dato di coglierla nella sua pienezza svelata. Il dramma dell’onorevole Moro, […] ci aiuta perciò a entrare un po’ di più in quello spazio di Dio di cui la liturgia è prefigurazione terrena. «Ricevere quella pienezza di Spirito Santo — conclude don Giuseppe — […] che ci porti ad accettare le piccole morti di ogni momento e la grande morte che verrà ad un certo punto, forse nel punto in cui non vorremmo, nel punto in cui diremo a Dio e agli uomini: ma ho ancora una cosa importantissima da fare, sono ancora necessario a questo e a quello; ti supplico, Dio, rinvia! Eppure dire a un certo punto, anche soltanto nel silenzio dell’anima, “sia fatta la tua volontà”: questa è la Pentecoste» (F. Cancelli, Moro e Dossetti e le porte chiuse, Osservatore Romano – 27 maggio 2012, commento all’Omelia di Don Giuseppe Dossetti, testo raccolto nel volume “Le Omelie del tempo di Pasqua”, a cura della Piccola Famiglia dell’Annunziata, Paoline editoriale libri, Milano 2007).

Il momento attuale, tanto diverso, ma politicamente complesso e difficile quanto quello di allora, qualcosa riesce ancora a farci intravvedere: «la notte chiara come il giorno»; questo tempo, sopra ogni altra cosa, per noi rimane un tempo pasquale, che prelude a una nuova Pentecoste!

 

Lino Tosetti

Chieve, 27 aprile 2018

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