MI CANDIDO A GUIDARE IL PD /2. MARCO MINNITI ?

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Tommaso Ciriaco, “Pd, la tentazione Minniti. Renzi: lui può battere Salvini” (Repubblica). Annalisa Chirico, “Come nasce la candidatura Minniti” (Foglio). Carlo Bertini, “Pd, la sfida sarà Minniti-Zingaretti” (La Stampa). Stefano Ceccanti, “Sulla candidatura di Marco Minniti” (Blog). E a sinistra del Pd? Antonio Panzeri, “Leu è finita” (intervista al Manifesto).

 

 

 

 

 

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  1. Che il PD stia vivendo la fase più difficile della sua vita in cui si sommano sconfitte elettorali, divisioni e difficoltà nel definire una proposta, una strategia politica e un gruppo dirigente in grado di tradurla in consenso elettorale, è cosa nota ai più.
    Ciò nonostante, o forse proprio per questo, il dibattito politico registra grande interesse per il PD e il suo futuro. E’ indubbiamente un dibattito che provoca, anzitutto il PD destinatario primo di quanto di lui si scrive e si dice, ma anche coloro che, per molte ragioni, non possono non votare il PD.
    Sono tra quanti non possono che votare il PD e come tale intendo esprimere le seguenti considerazioni:
    1) non perché l’ha detto Cacciari, ma la nascita del PD è realmente stata una “fusione fredda”, determinata dalla necessità di aggregare in un unico partito forze politiche “anti – berlusconiane” che fosse in grado di competere sul piano elettorale con il Partito delle Libertà. Ovviamente la ragione politica era più nobile di questa ed era quella di portare a compimento il processo avviato con l’esperienza dell’Ulivo del 1995.
    Va altresì ricordato, e questo per la mia esperienza è stato importante e determinante, che la nascita del PD è avvenuta nella fase conseguente allo scioglimento della Federazione Unitaria CGIL, CISL e UIL che registrava il livello più basso dell’iniziativa unitaria e, conseguentemente, anche dell’unità di azione.
    In quegli anni, venuto meno l’obiettivo dell’unità sindacale, ogni organizzazione sindacale ha pensato più a evidenziare la propria identità che non a ricercare e costruire terreni di incontro, confronto e di iniziativa per meglio difendere gli interessi dei lavoratori. La considerazione che allora era condivisa da larga parte della CISL era la seguente: se su temi e problemi meno complessi di quelli del governo del Paese quali sono quelli dell’iniziativa sindacale, non si riesce a costruire una proposta unitaria ma anzi si ritorna ad un passato fatto di divisioni e contrapposizioni, che prospettive può avere un partito che ha l’ambizione di mettere assieme culture e tradizioni politiche che non hanno retto sul piano sindacale?
    Considerando l’esperienza non certo brillante del PD di questi anni, mi pare di poter affermare che questa sia figlia di quella “fusione fredda” e dei limiti di un parto senza entusiasmo. Se si vuole, anzi, si deve ricostruire, di questa storia passata e dei suoi limiti non si può non tenerne conto.
    2) Mi si dirà che il PD oggi c’è e che bisogna farsene una ragione, essendo impensabile smontare quanto, nel bene e nel male, si è costruito. Vero, bisogna farsene una ragione, anzitutto una ragione se la devono fare coloro che nel PD hanno ruoli e responsabilità. Non è da adesso che sostengo che ciò che serve al PD è quanto nel 1959 hanno fatto i socialdemocratici tedeschi con il Congresso di Bad Godesberg, che ha segnato una rottura con il passato e avviato un percorso fortemente innovativo per il partito e per il Paese.
    Se il prossimo Congresso del PD non è in grado di provocare questa rottura e non si pone come capofila di una coalizione che si riconosce su alcuni principi fondamentali e alcune proposte di Governo alternative e credibili rispetto a quelle di M5S e Lega, credo non serva a nulla sia il Congresso che il PD, tanto meno servono i molti e marginali cespugli che vivono alla sinistra del PD.
    3) Il dibattito interno al PD è tuttora parziale, in quanto più interessato alle candidature che ai programmi.
    Rinviando ad altri momenti la discussione sui programmi che mi auguro verranno proposti, su due temi mi pare opportuno intervenire: il superamento della “vocazione maggioritaria” che ha caratterizzato gli ultimi anni della vita del PD e la revisione radicale dello statuto del PD.
    Mentre condivido il superamento della “vocazione maggioritaria” non condivido il percorso e le modalità congressuali delineate dallo Statuto, ritenendo più funzionale quello in vigore ad esempio nella CISL che prevede la predisposizione di tesi congressuali che contengono le proposte dei singoli candidati, la loro discussione nei Congressi di base, provinciali, regionali e nazionale e l’elezione di delegati al congresso del livello successivo.
    Non condivido altresì il metodo delle primarie perché continuo a pensare sia l’abdicazione del ruolo degli organismi dirigenti che non essendo in grado di decidere affidano ad un soggetto terzo, gli iscritti e i simpatizzanti, la scelta del leader. Con tutte le negative conseguenze “elitarie” che abbiamo conosciuto in questi anni e che non hanno saputo coniugare la partecipazione democratica con la qualità e l’efficacia delle decisioni.

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